Mi chiamo Adriana e lavoravo per un uomo italiano che ancora odia le donne. Ci insultava continuamente, me e le altre impiegate, nonostante ci pagasse una miseria e ci
facesse fare orari terribili.
Non potevamo fare niente perché se ci rivolgevamo al sindacato ci avrebbe licenziato, se facevamo sciopero ci avrebbe licenziato, se ci licenziavamo per protesta c’erano altre mille donne pronte a fare la fila alla ricerca di uno straccio di lavoro.
Questa è una delle cose che continuava a dirci, che dovevamo essergli grate, che senza di lui non avremmo fatto niente nella vita, che lui ci manteneva, come se noi non facessimo niente per meritarci quei soldi.
Il metodo di un padrone lo distingui anche da queste cose, dal modo in cui continua a vessarti e a incrinare la tua sicurezza. Come se non bastava quello che poteva succederci fuori. Come se non bastava la precarietà che ci costringeva ad accettare situazioni così ignobili. Come se non bastava il fatto che quando si tornava a casa potevamo trovare un marito a dirci le stesse cose nonostante il lavoro casalingo che avevamo il dovere di svolgere dopo aver lavorato per uno schiavista.
In entrambi i casi ci sentivamo trattate da puttane. Il primo pensava di poterci trattare con disprezzo per la miseria che ci pagava, si aspettava riconoscenza e atteggiamento compiacente. Il secondo pensava di poterci trattare con disprezzo perché secondo il suo punto di vista ci aveva regalato un ruolo sociale “rispettabile”, quello di moglie e madre.
Ho trascorso quindici anni della mia vita a sentire sempre gli stessi discorsi e a restare incastrata in questi due mondi paralleli e in un certo senso identici con la consapevolezza che prima o poi avrei dovuto prendere una decisione.
Un giorno decisi che li avrei lasciati entrambi, mio marito e il mio datore di lavoro.
Il datore di lavoro rifiutò di darmi la liquidazione che mi spettava, mi riempì di insulti e mi accompagnò alla porta con un “ma chi ti credi di essere, ne trovo mille come te e invece tu te ne andrai a fare la puttana…”. Mi chiedevo: “perché? Fino ad ora cosa ho fatto?”
Mio marito si rifiutò di concedermi la separazione consensuale, andò in guerra per l’affido del figlio minore (l’altro era maggiorenne) nonostante lui non volesse saperne di suo padre, mi rubò la casa che aveva comprato per me mio padre e che io sono stata così stupida di mettere a rischio con la comunione dei beni, non mi lasciò niente e mi accompagnò alla porta con un “ma chi ti credi di essere, ne trovo mille come te e invece tu te ne andrai a fare la puttana…” Anche in quel caso mi chiedevo: “perché? Fino ad ora cosa ho fatto?”.
Andai a vivere in affitto e se non fosse stato per l’ultimo stipendio e quei due soldi della disoccupazione all’inizio avrei fatto la fame. Non c’è lavoro per chi si ribella alla schiavitù. Se hai superato una certa età sei buona solo come immondizia. E quelli che forse sarebbero interessati ti chiedono come mai ti sei licenziata dal precedente lavoro e appena capiscono l’antifona decidono che una impiegata ribelle non gli sta bene. Le vogliono sottomesse e disponibili a farsi mettere fuori dalla porta quando i padroni lo preferiscono.
Dopo un paio di mesi di ricerca e di lavoretti saltuari mi chiamò una mia ex collega e mi disse che anche lei si era licenziata e non sapeva dove andare. Così nel mio piccolo bivani cominciammo ad abitare in due. Lei mi disse che conosceva un tale che aveva una agenzia di telefonia erotica e che volendo potevamo fare quello in attesa di altre possibilità.
La paga era veramente misera ma non era certamente più misera di quella che percepivo prima. Così cominciammo quell’avventura. Ci affibbiarono dei nomi improbabili e ci dissero di curare la dizione della lingua madre perché i clienti non amavano sbavature dialettali.
Ci dissero che molti tra quelli che avrebbero telefonato non avevano una idea gentile delle donne che parlavano male, specialmente se avevano, come me, una cadenza derivante dal mio essere straniera. Poi ci dissero che molti si eccitavano solo se ascoltavano una donna con un lieve accento dell’est, così imparai a simulare l’accento dell’est. La nostra insegnante era bravissima e il nostro datore di lavoro faceva finta di essere il cliente per correggerci quando non eravamo molto convincenti.
In pochissimo tempo imparai a interpretare il ruolo della perfetta abitante di quella nazione, della donna dell’est, della donna esotica, della lesbica che parla delle proprie
esperienze lesbiche per eccitare l’uomo etero (una stronzata senza pari), della trans. Si, sono riuscita ad imitare perfettamente anche la tipica trans brasiliana.
Mi erudirono su tutte le possibili sfaccettature del sesso telefonico, sulle corde da toccare, sul tono di voce e scoprii che quel mondo era assai più complicato di quello che credevo. Dopo il lavoro andavamo tutte a cena e ridevamo come matte prendendo in giro quegli uomini così patetici. Imparai ad imitarli, a imitarne il tono, le inflessioni dialettali (loro potevano permettersi lo slang) e perfino i grugniti dei loro orgasmi.
Il posto in cui andavamo a mangiare era frequentato da gente simpatica e aspettavano noi per ridere grazie ai nostri racconti e alle nostre risate.
Quelle chiacchiere di fine lavoro diventarono uno spettacolo di cabaret. Nulla di professionale, solo una esperienza da cantina teatrale arricchita di costumi, trucco, arredo di scena.
Sono una telefonista erotica professionista. Io sono la voce che risponde quando gli uomini abboccano agli annunci e pensano di trovare all’altro capo del telefono illusioni e immagini di donne che li aiutano a non rimettersi mai in discussione, ad avere un orgasmo senza compatirsi, a recitare il rosario della misera e banale vita sessuale dei misogini immaginando che le donne stravedano per quel frasario idiota. Ora guadagno abbastanza per vivere decentemente. Il mio datore di lavoro è una persona gentile, mi ha aiutato in
almeno due pessime occasioni, ha trovato il modo di far fruttare anche il nostro estro artistico e la nostra autoironia e ha preso in gestione un locale dove noi siamo la principale attrazione.
Io e i miei figli, che vivono ora entrambi con me, siamo una famiglia unita e non sono stata così serena e piena di energia come in questo momento.
Volevo dirvelo perché mi dispiace che tante donne non trovino il coraggio per fare scelte faticose ma che poi portano frutti meravigliosi.
Dimenticavo, credo lo abbiate capito, ovviamente tutto ciò non è accaduto in italia. Cambia qualcosa?
In Italia cambia che i lavori che altrove ti permettono di essere indipendente qua ti fanno sentire ancora più sfigato di un disoccupato.