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Come demolire il muro invisibile dell’indifferenza?

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MA E’ POSSIBILE VIVERE COSI’?

Mi sveglio, in una calda notte d’estate,
al frastuono di grida e pietre martellate sui pali della luce: mi
affaccio alla finestra aperta chiedendomi cosa stia succedendo, e vedo,
giù in strada, un gruppetto di persone che protesta di fronte all’alto
muro di cinta grigio che si erge di fronte alla mia casa. Infastidita mi
infilo qualcosa addosso e scendo –  ancora non mi
è chiaro a cosa devo tutto quel clamore –  ma ho
un solo scopo: tornare a dormire. Giù, in strada, vado decisa verso una
delle persone accampate sotto al muro e le grido in faccia che devono
smetterla, che io ho il diritto di dormire! E quella mi dice che stanno
protestando contro il CIE, che stanno esprimendo ad un uomo,
rannicchiato sopra un tetto con un telefono in mano, la disperazione
sotto la pelle e la speranza nel cuore,
la propria solidarietà …
nell’unico modo possibile! Io chiedo cos’è un CIE: per me oltre quel
muro di cinta non c’è mai stato niente, niente che mi riguardasse,
niente che potesse in qualche misura entrare a far parte della
quotidianità della mia vita.

Mi spiegano, come ad una bambina, di chi sono le vite rinchiuse in quelle mura così alte e
così grigie: persone ree di cercare una nuova opportunità, persone
scappate da paesi nei quali non esistevano prospettive, paesi dilaniati
da guerre o povertà o dittatura. La loro colpa? Quella di voler vivere, e
di voler vivere in maniera dignitosa.

Penso alla mia bella casa. Penso alla mia
comoda macchina. Penso al mio frigorifero, sempre pieno. Penso alle mie
preoccupazioni, dove andare in vacanza quest’estate, se comprare o meno
quell’enorme televisore nuovo.

E realizzo che, a pochi metri da me,
giusto oltre quell’alto muro grigio costruito per nascondere, ci sono
persone in cerca di una vita che ancora non hanno, e alle quali viene
negato persino il diritto ad averla. Ci sono persone colpevoli di
scappare dalla povertà, dal dolore, dalla morte. E io non sono mai
dovuta scappare, da nessuna di queste cose. Persone private della
libertà per aver osato ribellarsi ad un infame destino … e io non sono
mai stata costretta dietro un alto muro grigio, vittima di soprusi
quotidiani e totalmente in balia di decisioni più grandi di me, volontà
estranee che mi considerano solo un numero scomodo, un numero da
cancellare velocemente tirando una riga sul foglio, e non pensarci più.

Quasi non mi sembra di essere io, quella
che allunga la mano sul selciato per prendere un sasso spigoloso tra le
dita. Ma non ho più sonno, ormai. Qualcosa dentro di me, nel profondo,
si è svegliato una volta per tutte. E quel muro grigio non è più solo un
muro grigio, ma è il confine che separa i miei sonni tranquilli dalla
cancellazione dell’esistenza di altre persone come me, nate nel posto
sbagliato e scappate in un posto ancora più sbagliato. Ora che so cosa
c’è dietro il muro, non posso più dormire. Finché quel muro esisterà, io
sarò complice di quel muro e di quello che avviene al suo interno.
Finché quel muro esisterà, io avrò accettato di dividere il mondo in
maniera arbitraria in vincitori e vinti, sapendo
di far parte per diritto di nascita dei primi e non dei secondi. Finché
quel muro esisterà, scegliere di ignorarlo e scegliere di ignorare cosa
avviene al suo interno sarà come dormire su cataste di corpi dilaniati e
putrescenti, cullati dal suono di pianti e grida e suppliche
provenienti da file sterminate di donne e uomini, di bambini e vecchi
mentre ottusi funzionari di governi autoritari li pungolano e spingono,
disperati, al massacro.

MA E’ POSSIBILE VIVERE COSI’?

Questo si chiedono gli abitanti di Corso Brunelleschi
nell’illuminante pezzo uscito oggi su La Stampa  e guarda caso la stessa domanda rivolgerei anche io a
loro, in primis, e a tutti gli altri abitanti del nostro paese in
seconda battuta. Perché la prima parte della storia è solo di fantasia
purtroppo, mentre la realtà è ben altra. Tutti quelli che abitano di
fronte a quel muro sanno cosa sono i CIE, ma non raccolgono pietre, né
espongono striscioni. Si lamentano del clamore di poche persone che
tentano di far sentire i prigionieri meno soli, e che forse con quel
frastuono sperano di farsi sentire anche dalla
generalità delle persone ormai cronicamente ammalate di indifferenza. E’ davvero possibile accettare in silenzio di
affacciarsi ogni giorno di fronte ad un lager, e non esserne toccati? E’
davvero possibile, affermare credendoci “Ma noi, chi abita qui, non
abbiamo colpa per quanto accade all’interno del Cie”… perché se è così
vuol dire che non viviamo più in una democrazia rappresentativa, ma in
una dittatura, alla quale però nessuno si ribella, e questo dà da
pensare. Italia, paese di sudditi o paese di mandanti e di collusi?

Come far capire alla Signora Maria e al Signor Carlo che quel
muro è lì e la cosa li riguarda, che quel muro è lì perché anche se non
lo hanno costruito con le proprie mani hanno lasciato che quelli che si
fanno a torto chiamare  “rappresentanti dei
cittadini” lo costruissero e lo riempissero di povera gente,
testimonianza scomoda di un mondo ben diverso da quello in cui viviamo e
prosperiamo in barba a tutto il dolore e la sofferenza che ci circonda?

Signora Maria e Signor Carlo, voi che vivete di fronte al CIE,
aprite gli occhi: i poliziotti non sono “poveri ragazzi”, i manifestanti
non sono quelli violenti e voi non siete le vittime. Avete le idee un
po’ confuse. Se ve la prendete con chi lotta per la solidarietà, siete
parte attiva dell’oppressione. Se ve la prendete con chi lotta, scegliete
di stare con il più forte di fronte al più debole ed inerme. Scegliete
di chiudere gli occhi alle altrui sofferenze, di lavarvi le mani del
sangue di innocenti, mentre la Domenica, come i migliori farisei, andate
a Messa vedendovi tanto tanto buoni senza esserlo veramente.

Vi hanno insegnato che conta solo l’apparenza, ma non è così:
che ve ne rendiate conto o meno, trapela dalle vostre parole troppo odio
e fastidio e indifferenza. Voi subite oggi quel disagio perché siete
parte di un sistema che erige muri per schiacciare i più deboli, perché
anche voi respingete invece di accogliere, allontanate invece di
abbracciare e consolare. Non conoscete nemmeno più la pietà. Voi non
siete vittime, siete carnefici, e lo siamo tutte e tutti finché
accettiamo in silenzio tutto questo.

Quel muro grigio si potrà forse un giorno anche demolire, ed è
ciò che dovremmo augurarci con tutto il cuore… ma come demolire questo
enorme, invalicabile e ormai endemico muro invisibile di indifferenza,
quando non vero e proprio odio e manifesto razzismo?

—>>>Sabri, il ragazzo che ha resistito sul tetto per tre giorni, è stato tirato giù. Tutte le info su Macerie.

Posted in Anticlero/Antifa, Corpi, Omicidi sociali, Precarietà.