Mi chiamo Silvia e di sicuro voi
non sapete che significa essere sposata ad un rappresentante delle forze
dell’ordine. Mio marito era un ignorante che si occupava di questioni
amministrative. Lo avevano messo a raccogliere le denunce e quando mi picchiò
per l’ennesima volta la mia denuncia avrei dovuto rivolgerla proprio a lui.
Essere
sposata ad un uomo che fa parte di un gruppo, un corpo militare o comunque un branco di soggetti che
vengono addestrati a coprirsi le spalle e a trattare da nemici tutti coloro che
stanno fuori dal cerchio, significa non poter contare su niente e su nessuno.
Mi
dicono che va un po’ meglio da quando ci sono anche le donne e in generale pare
ci sia più sensibilità verso i problemi che riguardano le donne vittime di
violenze. Ma a quel tempo davvero non potevo contare su nessuno.
Mio
marito pensava di poter restare nel regno dell’impunità perché indossava una
divisa e quando ascoltavo la televisione dove dicevano che le forze dell’ordine
dovevano tutelare la mia sicurezza mi veniva da ridere.
Non
dico che non intervengano quando c’è da sedare una lite “domestica” in cui c’è
una donna piena di lividi e un uomo che si giustifica in mille modi. Accade,
certo, ma chi interviene quando quelle violenze sono compiute da un
rappresentante delle forze dell’ordine?
A
chi dovevo rivolgermi io? Scelsi la strada più logica: mi rivolsi ad altre
donne. Nella mia città non c’era un centro antiviolenza e dunque la mia rete di
amiche si improvvisò tutela, protezione, difesa, rete di salvataggio.
Non
avevo figli, altrimenti non avrei potuto fare quello che ho fatto. Ma le
calunnie mi rincorsero per tutta l’italia.
Prima
fece finta di essere preoccupato nonostante gli avessi lasciato un chiarissimo
messaggio in cui gli dicevo che ero stanca delle violenze e che non desideravo
più vederlo. Disse in giro che qualcuno mi aveva costretta a scrivere il
biglietto. Che sicuramente ero diventata matta, che ero in pericolo, che mai e
poi mai io avrei scritto quello che avevo scritto.
Chiamai
la mia famiglia per rassicurarli e confermai tutto. Lui continuò nella sua
patetica gara di vittimismo e fece perfino una denuncia per cercarmi ed è lì
che ti chiedi come sia possibile che i soldi dei contribuenti vengano spesi per
soddisfare le esigenze private di vendetta di un singolo uomo.
Mi
trovarono in una città a migliaia di chilometri di distanza. Confermai che ero
andata via volontariamente e per quanto lui cercasse di convincere tutti che mi
serviva un po’ di manicomio i suoi colleghi dovettero lasciarmi stare.
Qualcuno
mi disse che rischiavo di perdere tutto per via dell’abbandono del tetto
coniugale. Dissi che era stato abolito e che se le forze dell’ordine non erano
aggiornate in proposito era una cosa davvero grave.
Pensate
al livello di pregiudizi che una donna che andava a denunciare violenze subite
dal marito doveva affrontare non appena varcata la soglia di una caserma.
Fui
perseguitata per tanto tempo, tramite gli amici del mio ex e tramite lui
stesso. Allora non c’era la legge contro il reato di stalking e quindi
bisognava sopportare tutto.
Me
lo ritrovai sottocasa una mattina, con tutte le informazioni prese dai colleghi
che erano stati ben attenti a non tutelare la mia privacy. Mi picchiò
lasciandomi quasi in fin di vita. Non fu mai processato per questo e per quello
che ne so è rimasto a lungo nello stesso ufficio a prendere denunce.
Immagino
cosa potrebbe accadere oggi, in una situazione in cui tutti tendono a
ritagliarsi situazioni di impunità, in cui i maschi violenti chiamano altri
maschi violenti per indicargli un modo per sfuggire alle proprie
responsabilità.
Immagino
cosa potrebbe accadere ad una donna con un figlio. Come potrebbe salvarsi la
vita sapendo che c’è un branco che è pronto a credere al suo carnefice invece
che a lei che è una vittima?
Come
si può immaginare di essere tutelate da uomini che sono nella posizione di
poter abusare dei propri poteri per tutelare se stessi?
Questa resta la mia domanda.
Volevo segnalarvi questo video:
http://www.youtube.com/watch?v=PT5WYMZZzqo
Personalmente non sono, non sono stata, non sarò una donna “in rinascita”.
Una donna non rinasce, casomai: RESISTE, LOTTA, SI RIBELLA, VA AVANTI…
Il mito dell’araba fenice non mi appartiene. Ma soprattutto, come dovremmo rinascere? Hanno forse deciso come??? Ancora pretese sulla nostra vita! Ancora affissioni di cartelli sui nostri corpi. E tutto questo, a volte, solo per far sentire altruisti e sensibili alcuni uomini!!!
e un film… “4mesi, 3 settimane e 2 giorni”, di Cristian Mungiu – Romania 2007
Leila