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Il burocrate indifferente

– Sono sicura di non averlo mai detto, ma sapete… un paio di anni fa ho avuto un principio di infarto.

– E a cosa era dovuto, signora?

– Mi hanno detto che dipendeva dallo stress emotivo al quale ero sottoposta.

– Che tipo di stress?

– Vivevo con un uomo che mi aveva condizionato senza lasciarmi neanche un attimo per respirare.

– Si spieghi meglio.

– Non riuscivo a liberarmi di lui. Ero terrorizzata. Vivevo in uno stato d’ansia continuo. Un paio di volte ho avuto dei terribili attacchi di panico.

– Di cosa aveva paura esattamente?

– Di lui. Della sua presenza. Di quello che sarebbe potuto accadere. Avevo paura di morire.

– Correva davvero il rischio di morire?

– Io mi sentivo gravemente in pericolo. Lui non mi lasciava respirare…

– Ma la picchiava?

– Si anche, ma non era quella la cosa più brutta.

– E cosa allora?

– La sensazione di non riuscire mai a essere libera. La brutta sensazione di essere sotto sequestro.

– Non era libera di andarsene?

– Certo che no. Lui non lo permetteva.

– E allora cosa ha fatto?

– Sono andata via.

– Di punto in bianco?

– Si. Altrimenti lui me lo avrebbe impedito. Avevo paura di morire.

– E poi cosa è successo?

– Lui non accettava che io me ne fossi andata e ha cominciato a cercare mille modi per restare in contatto con me.

– Che vuol dire che non accettava che se ne fosse andata?

– Che non accettava di essere tagliato fuori. Non accettava che io mi sottraessi al suo potere. Per gli uomini come lui il controllo è tutto. Perdere il dominio e il controllo gli riesce insopportabile.

– E cosa ha fatto per restare in contatto con lei?

– Quello che fa qualunque persona che ha una maniera distruttiva di relazionarsi: mi provocava. Voleva provocare una mia reazione.

– E lei cosa faceva?

– Niente. Non facevo niente. Avevo accettato le sue provocazioni per tanto tempo. Non riuscivo più a farlo.

– Mi spieghi meglio.

– Quando vivi prigioniera di un uomo violento impari a capire come fare per sopravvivere. Non hai un rapporto paritario. Lui diventa un bambino da compatire. Un bambino viziato che devi accontentare.

– Quindi lei avrebbe potuto farlo smettere?

– No. Lui pretendeva che io lo trattassi come si tratta un bambino ma lo amassi e lo stimassi come si ama un adulto. Arriva il momento in cui di un uomo che devi compatire, che non stimi e del quale hai paura vuoi solo liberarti.

– E se ne è liberata?

– Le ho detto che sono andata via.

– Ma mi ha anche detto che lui ha cominciato a provocarla.

– Si. Il suo gioco di provocazioni si spingeva sempre più avanti. Tutto pur di attirare la mia attenzione. Faceva i dispetti, era violento, aggressivo. Mi minacciava, intimidiva, mi sorvegliava. Controllava ogni cosa di me. Proprio non riusciva ad accettare il fatto che io non volessi avere a che fare con lui. 

– Quindi lei non era libera.

– No. Non sei mai libera fino a che la persona che pensa di averti in suo potere non ti lascia andare. Quasi mai lo fa volontariamente. Più spesso deve accadere qualcosa di grave.

– E a lei cosa è accaduto?

– Le sue minacce avvenivano su due piani diversi. Da un lato cercava di attirare la mia attenzione in ogni modo possibile e dall’altro mi minacciava di farmi passare ogni tipo di guai.

– Che guai?

– Mi diceva che mi avrebbe denunciato per varie questioni.

– Quali questioni?

– Le bollette arretrate, le spese di condominio, la bambina e per calunnia.

– Voleva la bambina?

– Voleva solo vendicarsi. Era un modo per restare in contatto con me. Minacciava di chiamare i servizi sociali, di farmi togliere mia figlia.

– E la calunnia?

– Io l’ho denunciato per violenza e secondo lui una donna che subisce violenze non ha il diritto di denunciare il suo persecutore. Per come la vede lui pensa di aver avuto il diritto di farmi del male.

– Perché pensa che si tratti di vendetta?

– Perché rientra sempre nel suo modo malato di attirare la mia attenzione. Farebbe di tutto perché io restassi ancora concentrata su di lui invece che sulla mia vita.

– Come chiamerebbe questo genere di comportamento?

– Stalking giudiziario. E’ il modo di tenermi sotto ricatto. Si tratta di una costante minaccia. E’ un modo per farmi smettere di vivere.

– Come si vive in questo tipo di situazione?

– Male. Si vive male. Si vive in uno stato di latitanza. Come se fossi una criminale. Non puoi progettare il futuro. Non puoi vivere il presente. Sei prigioniera di un uomo violento a prescindere dal fatto che tu viva sotto il suo stesso tetto oppure no.

– Lei mi sembra molto lucida, pensa di sapere a cosa va incontro?

– Penso che sono una donna maltrattata e che lui non mi lascerà mai libera. Non sarà mai soddisfatto fino a quando non mi avrà uccisa.

– Cosa intende fare?

– Andarmene. Lontano.

– E perché lo dice a me?

– Perché è lei che mi proibisce di allontanarmi da questa città con la mia bambina. Lei non può chiedermi di restare qui a morire.

– Non glielo chiedo. Lei può andarsene. Ma perderà l’affido della bambina.

– Credo che lei non abbia capito bene qual è il problema.

– Io ho capito il suo problema ma questo non riguarda sua figlia. La bambina deve essere disponibile alle visite del padre. Se lei si allontana il padre non potrà vederla.

– Lei sa che lui non la vede mai e che quando la vede lo fa semplicemente per torturarmi.

– Questo succede ora. Potrebbe non accadere in seguito.

– Potrebbe…

Sofìa uscì da quell’ufficio rassegnata a morire. Aveva tentato di scalfire il cuore rigido di quel burocrate senza riuscirvi. Il giorno dopo il suo ex si presentò all’appuntamento per la visita alla figlia. Aveva con se’ un lungo coltello da sub. La colpì decine di volte, poi tentò il suicidio. Lui sopravvisse e fece qualche anno di carcere. La bambina rimase orfana. Nessuno le ha ancora detto perché la mamma, quel giorno, aveva il vestito tutto macchiato di rosso.

—>>>Questa è una storia di pura invenzione. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.

Posted in Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali.