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Un padre che stupra una figlia uccide il suo presente e la priva del futuro!

http://femminismo-a-sud.noblogs.org/gallery/77/antipedofilia-1.jpg

Marcella ora ha 38 anni. Fino a 16 anni è stata abitualmente violentata da suo padre. Poi la sorella maggiore, che aveva subito violenza anche lei, riuscì ad andare via e la portò con sè.

Il padre non era stato così prodigo nell’aiutare le figlie a crearsi un percorso autonomo, così la sorella maggiore aveva preso semplicemente il primo traghetto utile, un altro uomo.

Si separarono poco tempo dopo perchè anche lui era abbastanza manesco anche se prima di lasciarla in pace le fece fare quattro figlie, una dietro l’altra.

Nel frattempo però lei riuscì a fare completare gli studi a Marcella che non appena ottenuto il diploma si mise a cercare un lavoro. Quando lo trovò con i primi soldi utili si iscrisse all’università e la seconda cosa che fece fu quella di trovare una stanza assieme ad altre coetanee, studentesse, per riuscire finalmente a respirare come respira una ragazza normale, che vive, si diverte, esce, conosce qualcuno, magari si innamora.

Marcella non sapeva che quello che aveva vissuto con suo padre non l’avrebbe abbandonata per lungo tempo. Erano stati anni lunghi e le attenzioni erano cominciate sin dall’età di sette anni. 

Lo ricorda ancora come se fosse accaduto appena ieri, i gesti, le frasi, le mani, l’ambiguità, il gioco, il senso di colpa, la vergogna, le botte se lei per caso veniva vista con un compagno di scuola a chiacchierare.

Negli anni successivi Marcella faticò moltissimo. Puntuale, ordinata, non si lamentava mai e aveva un gran senso dell’umorismo. I lavoretti che dovevano essere precari diventarono l’unica prospettiva possibile perchè tanta era la fatica e studiare dopo aver lavorato per ore non fu affatto semplice.

In seguito conobbe uomini solo nell’ambito del suo lavoro, di scarsa formazione culturale, scarso grado di istruzione, in almeno un paio di casi abbastanza maneschi perchè quello era il modello d’uomo dal quale lei aveva suo malgrado imparato ad essere dipendente.

Dopo tanta fatica e molte ferite Marcella rispose al padre che le chiedeva di passare a salutarlo prima o poi.

Non voleva vederlo, non aveva nulla da dirgli, non c’era neanche più il rancore, non lo odiava, gli faceva pena. All’improvviso Marcella capì, però, che la pietà è lo strumento comodo che hanno gli uomini per scansarsi dalle responsabilità. Chiedono di essere coccolati e capiti anche quando sono degli uomini di merda. Se hai subito violenze e chiedi all’uomo che te l’ha inflitta di assumersi le sue responsabilità quello prima nega e poi riesce perfino a farti passare per una donna cattiva, vendicativa, in un modo o nell’altro comunque colpevole per il fatto di esistere, "esserti fatta stuprare" e poi essere sopravvissuta fino al momento in cui chiedi conto di quello che ti hanno fatto.

Marcella non trovò nessuno che la consigliasse perchè a parte alcune associazioni che raccolgono denunce ancora oggi ci sono davvero poche organizzazioni presenti in maniera capillare e in grado di dare supporto psicologico, legale e pratico alle vittime di pedofilia. Ce ne sono molte invece a sostegno del pedofilo, con obiettivo di cura, per alleviargli le pene e per creare cerchie ristrette di addetti pedofili che si scambiano opinioni e pareri, descrizioni psicologiche e pensieri filosofici, perchè in fondo questi individui si sentono esseri superiori, come se solo loro avessero colto il senso della bellezza dell’amore. Non puoi chiamarli neppure malati perchè sono uomini che semplicemente ritengono di essere una elite di perseguitati per qualcosa che immaginano essere assolutamente naturale. Immaginano di essere delle menti eccelse, dei in terra, illuminati da un sapere che solo a loro è dato, una sorta di setta che promuove un modello di vita in cui l’uomo, il padre, dovrebbe essere al di sopra di tutto, e la donna, in questo caso la bambina, dovrebbe essere felice di essere "sacrificata" in una ritualità che del suo bene se ne frega. In nome di una idea superiore che è tanto misera quanto è rattrappito e misero il pene di chi la mette in pratica.

Le venne così l’idea di andare dal commercialista del suo datore di lavoro. Le spiegò tutto in maniera seria e senza pause mentre quello era a bocca aperta, imbarazzato, a tratti sconvolto.

L’idea di Marcella era piuttosto semplice. Suo padre l’aveva invitata? Lei sarebbe andata a presentarle il conto. Non le interessava che lui andasse in galera. Le bastava che nel luogo in cui viveva sapessero per impedirgli di fare del male ad altre bambine e poi voleva essere risarcita.

Il commercialista sudò copiosamente mentre calcolava ogni strusciamento, ogni eiaculazione, ogni penetrazione, ogni molestia e violenza psicologica, ogni violenza fisica, ogni gioco che le era stato impedito di vivere, ogni momento che non avrebbe più recuperato, ogni amore adolescenziale al quale aveva dovuto rinunciare, ogni anno di istruzione perduto, ogni anno di possibilità di una prospettiva migliore che aveva accumulato, ogni anno di fatica fatta con un lavoro che poteva essere diverso se solo avesse avuto una vita normale con un padre normale in una casa normale, ogni amore che le era costato altre violenze, sofferenze, dipendenza, incapacità di reazione, ogni minuto trascorso nel senso di colpa e nella vergogna.

Non siamo in grado di spiegare quale fu il calcolo esatto e in che proporzione il commercialista calcolò tutte quelle mancanze e quei danni da risarcire. Il risarcimento incluse anche il futuro, quello che comunque lei non sarebbe stata in grado di costruire come avrebbe voluto in assenza di presupposti decenti.

Ne venne fuori una cifra enorme, a tanti zeri, talmente grande che il commercialista si vergognò moltissimo e fu preoccupato che una ex fidanzata o la moglie sapessero quanto era grande il valore di uno schiaffo, di una offesa, di una semplice prevaricazione anche involontaria.

Marcella era decisa e con quei conti si recò presso suo padre. Non gli disse niente, gli presentò il documento, firmato e vidimato dal commercialista, e gli disse che se non accettava di pagare entro trenta giorni lei si sarebbe immediatamente rivolta ad un avvocato. E in quel caso avrebbe pagato il doppio perchè alla sua testimonianza si sarebbe unita quella di sua sorella.

Il padre pagò. Non tutto perchè la cifra era davvero enorme, ma "conciliarono" per buona parte della somma. In più promise, per iscritto, che alla sua morte le figlie avrebbero ereditato la casa in cui viveva. 

Marcella divise quei soldi tra le sei donne che erano venute al mondo svantaggiate per responsabilità di quell’unico uomo che aveva compromesso la vita a tutte loro. Lei, la sorella e le sue quattro nipoti. Perchè un singolo atto di violenza uccide molte vite e molte generazioni, perchè compromette le possibilità di una persona che potrebbe diventare qualcos’altro e che potrebbe dare prospettive diverse e migliori alle figlie e così via all’infinito.

Marcella continuò a fare il suo lavoro di sempre. Al lavoro seppero della sua storia, della sua dignità e della sua forza e la premiarono con una mansione meno faticosa. Pensarono che tanta violenza e tanta fatica sarebbe potuta bastare a rompere la schiena a chiunque. Il commercialista volle insegnarle il suo mestiere che non le avrebbe dato quello che meritava ma almeno non le avrebbe spaccato le ossa quanto quello che faceva prima.

Anche sua sorella continuò a lavorare giacchè il suo ex marito non l’aiutava neanche un pò. Anzi era tornato a ronzare attorno alle figlie appena aveva sentito odore di soldi.

Le ragazze hanno studiato (tutt’ora studiano) e per ogni anno scolastico superato le sei donne hanno festeggiato e festeggiano: per aver invertito la rotta, per aver dimostrato che il futuro poteva essere cambiato, perchè il coraggio le ha aiutate a tenere dritte le spalle e ha ravvivato i loro sguardi, perchè erano e sono vive e nessuno avrebbe più rubato e potrà rubare una briciola del loro ossigeno.

Marcella, che si chiama in altro modo, ci ha scritto questa storia perchè ha letto un paio di post che l’hanno fatta arrabbiare moltissimo. Ci tiene a dire che la pedofilia non è una violenza che commette il predatore di passaggio. E’ sempre il padre, l’insegnante o il prete. Comunque una persona con cui cresci, vivi, di cui ti fidi, che sfrutta l’intimità per disorientare, rendere ambiguo un legame che dovrebbe essere di fiducia, di rispetto, di pulizia.

Non ci sono scuse per i pedofili, non si può capirli, giustificarli, filosofeggiare su di loro. Si tratta di persone molto egoiste che pensano solo a se stesse e che costruiscono la propria vita e le relazioni con gli affetti interamente misurate attorno al proprio ego. Gli interessa esclusivamente di se stessi, se vengono accusati piangono, si dicono perseguitati, negano, si giustificano, scaricano la colpa sulle donne, sui gay, sulle femministe, sulle madri che denunciano e che tentano di proteggere i loro figli.

Non vanno compatiti, vanno responsabilizzati. Invece certi ragionamenti li deresponsabilizzano. Le campagne di taluni individui volte a screditare chi denuncia atti di pedofilia e a classificarli come falsi, come suggestioni, come follie di chi denuncia, sono ne più e ne meno che atti criminali.

I pedofili devono risarcire perchè hanno rubato il futuro alle loro figlie, alle figlie delle loro figlie e via così fino alle generazioni successive.

Noi sappiamo che tutto quello che lei dice è assolutamente vero e non possiamo che restare di stucco quando leggiamo di cifre consistenti di padri pedofili e di altri uomini che godono nel vedere immagini tremende.

Ci piacerebbe tanto, ma davvero tanto, che si concentrasse l’attenzione sulle vittime immaginando provvedimenti che le risarciscano e che restituiscano il futuro che a loro è stato rubato. Sarebbe un inizio. Un nuovo inizio per ogni vittima che non può più cambiare il passato ma alla quale deve essere permesso almeno di cambiare il suo futuro. A cominciare dal fatto che alle bambine, alle ragazzine, alle donne che denunciano un atto di violenza bisogna credere, sempre.

—>>>L’immagine fa parte di una campagna brasiliana contro la pedofilia

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Storie violente.


2 Responses

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  1. viviana says

    Mi è venuto da piangere… non so che dire. Penso che gente così mi fa schifo e non riesco ad immaginare cosa vuol dire subire ripetute violenze da un padre… la sola idea mi fà venire da vomitare. E’ vero, il passato non può essere cambiato ahinoi, ma il futuro sì, e Marcella ci ha dimostrato che non è solo una teoria. Si può ricominciare a vivere, a respirare ed amare, si può affrontare il passato e non lasciarsi schiacciare… per questo c’è bisogno di maggiori organizzazioni, associazioni, centri ed ecc che aiutino le donne e le/i bambin* che subiscono violenza a trovare la forza di reagire. Ti ringrazio di cuore di aver condiviso la tua storia che, ti posso assicurare, può essere utile a tantissime persone.
    un abbraccio fortissimo

  2. Emanuele says

    Finalmente una storia positiva!