Una
delle cose che alle donne invischiate in relazioni pessime capita di frequente
è sicuramente quella di incontrare una donna che prima o poi, con labbra a culo
di gallina, schiuse in un ohhhh di sorpresa, flap flap delle ciglia, vi
rivolgerà la seguente domanda: “ma come fai a stare con un uomo così?”.
Quella
domanda è abbastanza retorica, dice tutto e dice niente. Vuole accusare più che
consolare, vuole dire “io sono migliore di te” oppure “a me non capiterebbe
mai”. E’ una domanda di accusa e di difesa. Preventiva a qualunque possibilità
di empatia, di costruzione di intimità con l’altra donna.
Perché
tutto questo non accade tra due donne a caso. Accade tra due donne che hanno
entrambe moltissimi problemi. L’unica differenza è che la prima, quella che sta
parlando con onestà della propria situazione privata, è finalmente entrata in
relazione con se stessa. Non si vergogna di manifestarsi. L’altra invece è ancora
incastrata in una costruzione mistificata della propria realtà.
Non
è difficile da capire e non è una cosa che distingue le qualità dell’una o
dell’altra donna. Se entrambe sono persone intelligenti capiranno se e
quando sarà il momento di dirsi quello che si pensa davvero. Perché in queste
situazioni bisogna tenere conto di un fatto molto speciale che dovrebbe essere
collante di ogni rapporto fatto di complicità, solidarietà, comprensione,
sorellanza.
Non
c’è uno schema e non c’è uno standard fisso. Parliamo qui di una situazione che
può manifestarsi in milioni di forme e con milioni di altre complesse
caratteristiche.
Quello
che però è evidente e dovrebbe essere abbastanza diffuso è il fatto che quando
una donna riesce a trovare la forza e il coraggio per apparire intera, con la
sua vita imperfetta, piena di buchi, una barca che potrebbe affondare o potrebbe
essere riparata, uno sbaglio, un fallimento, una cattiva scelta della quale si
assumerà la responsabilità di ogni conseguenza, ecco che ne appare un’altra che
non può fare a meno di blindare la sua vita, dietro un make up correttivo che si
svela in tutta la sua miseria.
Se
incontrate una donna così, ebbene, avete trovato una persona alla quale offrire
una mano perché state certe che ne avrà bisogno.
Una
persona fatta e finita, serena e in costante rapporto con se stessa non ha
alcuna ragione di prevaricare l’amica con frasi che ribadiscono esclusivamente
la sua superiorità.
La
società per come la vedete è tutta finta. Richiede donne mutilate ma felici,
disoccupate ma felici, povere e sfrattate ma felici, violentate ma felici.
Richiede donne perfette, puntuali, mai stressate, mai in ansia, mai con un
dubbio e se gliene viene uno le massacrano di creme, cremine, operazioni di
chirurgia estetica, psicofarmaci.
L’apparenza,
l’apparire, diventano più importanti dell’essere. E queste non sono parole
ripetute e ricopiate da uno dei tanti intellettualoidi da salotti tv che amano
dirlo senza neppure sapere di che parliamo.
Si
tratta di una trappola che impedisce a ciascuna di noi di svelare alla nostra
amica più cara, a nostra sorella, a nostra madre, qualcosa che ci riguarda
profondamente e che rovina l’idea di perfezione che vorremmo dare di noi.
Comunicare
l’imperfezione, i propri limiti e i propri errori di valutazione, e poi l’aver
subito violenze, pressioni, ricatti, l’aver sopportato situazioni devastanti, è
la cosa più coraggiosa e difficile di tutte.
Quante
sono le donne che incontrate e che guardandole negli occhi sfuggenti vi sembra
si perdano in mille segreti, che non raccontano a se stesse e che dunque
certamente non possono raccontare a voi?
Quante
sono le donne che non riescono a offrirvi uno sguardo diretto, che non
accettano di essere viste fino in fondo, che si nascondono, si tutelano, come
se considerassero un rischio maggiore il rivelare i problemi che stanno vivendo
piuttosto che i problemi in se’?
E’
veramente difficile trovare donne con le quali si può riuscire a instaurare un
rapporto “non giudicante”, privo di abusi, amichevolmente parlando, giacchè
quando una amica personalizza la tua “confidenza” e la rende funzionale al
proprio bisogno di apparire migliore si tratta sempre e comunque di
prevaricazione.
Incontrarsi
tra donne, ma incontrarsi per davvero, è una delle esperienze più liberatorie
che si possano fare. Non è semplicemente un esercizio di sorellanza ma è il
necessario percorso che ti porta a guardare a te stessa e alle altre con
affetto.
Se
una donna non sa stare bene con se stessa forse non sa stare bene con le altre
donne perché nelle altre in fondo si finisce per odiare tutto quello che per
noi costituisce una debolezza, un rischio, una specie di baratro nel quale
immaginiamo un giorno o l’altro di poter cadere.
Quando
abbiamo guardato in fondo al baratro e abbiamo scoperto come fare a non cadere,
magari a risalire, ad atterrare senza danni (chissà che in quel famoso baratro
la vita non sia anche più interessante che nei mondi in superficie) e siamo
riuscite a parlare francamente con noi stesse allora siamo generose anche con
le altre. E proveremo affetto, comprensione e tenerezza per quell’altra donna
che non si vuole ancora scoprire.
La
costruzione di una sorellanza è preliminare a qualunque vittoria per se stesse.
Diventa traino, transito, una specie di surf sul quale reggersi in piedi mentre
si cavalcano le onde e di queste metafore un po’ sceme potremmo dirvene a
milioni.
Il
fatto vero è che per fare pace con se stesse bisogna fare pace con le donne
della propria vita. Bisogna immaginarsi ancorate, come parti non residuali di
una grossa alchimia che può darvi forza. Le chiamavano streghe e per questo le
hanno bruciate.
Ci
chiamano ancora così, non a caso, perché da sole siamo in balìa di tutto il
peggio che ci impongono, insieme siamo una forza.
E
quando le donne parlano di forza non si tratta di quella roba distruttiva, militaresca, tutta
machista che sottomette il mondo e lo schiavizza con guerre e devastazioni.
E’
la forza soggettiva, interiore, privata, ottenuta grazie alla condivisione di
mille parole e segreti, di trucchi e ricette per vincere il dolore, superare le
difficoltà, ridirigere la propria vita, autodeterminarsi sempre.
E’
la forza che costruisce, crea, che ci libera dalla schiavitù distruggendo le sovrastrutture che ci
tengono in catene e i pregiudizi e le superstizioni e le religioni e il
maschilismo e le culture patriarcali. Ed è una forza che fa paura perché è
dignitosa, perfetta, profonda, pulita, che riscopre il mondo e lo rilegge con
gli occhi di chi sa pronunciare ogni parola adeguata ad ogni situazione e lo
affronta con gli strumenti meravigliosi di lettura radicale del pubblico e del
privato.
E’
la forza che svela le crudeltà e smaschera le ipocrisie. Quella stessa forza
che fa sentire meschini certi miserabili uomini, che si produce in
consapevolezza da regalare al mondo per liberare non una ma mille altre
schiavitù.
Capite
quanto è grande quello che potete esprimere?
A
partire da voi e dalle vostre storie. A partire dal fatto che da ora in poi
guarderete le vostre imperfezioni e i vostri problemi come una opportunità di
crescita per voi stesse e per tutte le altre e non come qualcosa di cui vergognarsi.
Le
vostre storie ci interessano. Le vostre vite ci interessano.
Noi
siamo qui e quello che vi succede ci riguarda tutte.
Grazie!
grazie per questo articolo!! GRAZIE!
Che emozione leggere questo post! Avevo proprio bisogno di una compagna che mi ricordasse l’importanza di sentirsi intere per darsi valore ed autostima e per darlo alle altre. A volte capita che, nei momenti di crisi, quando si perde la serenità, non si ha la stessa capacità di combattere i maledetti stereotipi che ci hanno inculcato dalla culla e il rischio è quello di assumere atteggiamenti e compiere scelte che in altre situazioni avremmo ritenuto impossibile fare. Inventare se stesse e creare nuovi rapporti, lontani dai patetici modelli imposti, è faticoso, può anche essere un percorso solitario, ma è necessario. Condividerlo con le compagne e con i compagni ci da sempre un nuovo punto di vista e rende più concreto e meno impossibile continuare a lottare.
Un abbraccio
Fra