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Il sessismo diffuso nelle scuole: quei professori intoccabili protetti dagli adulti

[Il video che vedete sopra è un cortometraggio dal titolo "Piccole cose di valore non quantificabile". Non c’entra molto con la storia che stiamo per raccontarvi o forse in qualche modo si, però ve lo proponiamo perchè possiate goderne dopo che grazie a Sgrunt abbiamo potuto goderne noi. Buona visione!]

Una nostra sorella – che chiameremo Sister Elle – ci scrive dopo aver letto il nostro post sulla denuncia che Dominique, una coraggiosa studentessa universitaria di catania, ha fatto a proposito del suo docente che chiedeva prestazioni sessuali in cambio di buoni voti [Guarda i video e leggi di Dominique].

La sua lettera è veramente interessante. Potremo dire che ciascuna di noi ha più o meno vissuto quello che Sister Elle descrive. A volte abbiamo vissuto di meglio, a volte persino di peggio. Quel che è certo è che Sister Elle ha ragione quando dice che non si tratta di fatti isolati ma di una mentalità con la quale tutti e tutte convivono, dove è sempre la ragazza che finisce per essere colpevolizzata – persino dalle donne che interiorizzano il sessismo come mezzo di moralizzazione delle fanciulle – mentre gli uomini si proteggono tra loro.

Capita non di rado, soprattutto in piccoli centri del meridione, che gli insegnanti siano anche figure di spicco della società locale, ammanicati in politica, intoccabili in molti sensi. Siamo sicure però che qualunque scuola voglia parlare di violenza contro le donne e di sessismo non può prescindere dal fatto che deve prima risolvere il sessismo del quale è complice al suo interno.

Le ragazze devono sapere di poter trovare adulti che le ascoltano e i ragazzi devono sapere che quanto fa o dice il loro insegnante non è giusto. Altrimenti non serve dire che l’ignoranza produce comportamenti sbagliati perchè in realtà spesso proprio i luoghi di istruzione sono veicolo di una educazione sbagliata.

Vi lasciamo alla lettura del testo di Sister Elle che ringraziamo moltissimo per aver regalato a noi e a chi la leggerà la sua esperienza. Buona lettura! 

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Care femministe a sud,

dopo aver letto la storia di Dominique ho iniziato a riflettere su tutte le situazioni che, direttamente o indirettamente, ho vissuto all’interno delle strutture scolastiche e in cui si rileva un sessismo diffuso.

La questione delle molestie sessuali è molto più profonda e complessa di quello che si vuole far credere. Guardando la puntata delle iene, ho pensato che potesse passare il messaggio che “all’università ci sono dei professori che molestano le studentesse, ma che sono casi sporadici”. Beh, questo è falso! Le molestie che le studentesse subiscono all’interno delle scuole/licei/università hanno forme diverse, ma un unico comune denominatore: il sessismo.

Proprio per sfatare il mito “del caso singolo” ho deciso di condividere le mie esperienze.
Premetto che derivo da una famiglia molto bigotta, che fin dall’infanzia mi ha inculcato un senso di pudore molto forte e questo mi ha impedito, per molti anni, di valutare le situazioni che vi racconterò per quello che sono: molestie.

Le prime esperienze di molestie che ricordo risalgono al tempo delle medie. Frequentavo una scuola che era situata in periferia, vicino alle palazzine che sono destinate a chi una casa non può permettersela. Ricordo che in quegli anni, noi tutte, iniziavamo ad avere i primi sintomi dello sviluppo… il seno si pronunciava, il sedere si iniziava ad intravedere e arrivava per molte anche il primo ciclo mestruale.

I primi ad accorgersi di questi cambiamenti furono i bidelli, che senza alcun motivo reale, ma con la scusa di controllare se fumavamo o meno, entravano nel bagno delle ragazze, che non sempre riuscivano a chiudere la porta (dato che spesso era senza sicura), e che quando camminavi nei corridoi e il tuo sviluppo era più evidente rispetto alle altre, te lo facevano notare con battutine sotto voce di cattivo gusto.

Anche i professori fecero la loro parte, ma si “accontentavano” solo di guardare le forme di alcune di noi. Ma quelle più sessiste erano le professoresse che ci mortificavano, umiliavano davanti all’intera classe se solo ci truccavamo in maniera un po’ più evidente, ricordandoci che quel trucco era da “battone”. Forse per questo motivo ho odiato il trucco, fino al quarto anno di liceo.

Uno degli episodi che non dimenticherò mai è stato quello di una professoressa di italiano che inveì contro una mia compagna, che le aveva risposto in malo modo, e per umiliarla le ricordò che lei era come sua sorella che era rimasta in cinta a 13/14 anni, e che per questo era una “cattiva ragazza”. In realtà non fu mai detto che era stata colpa del ragazzo che essendo più grande doveva, per salvaguardare la sua salute e quella della ragazza, usare il preservativo.

A quel tempo, nonostante sentissi che quelle accuse fossero ingiuste, non riuscivo a prendere le parti della ragazza, perché per quello che mi avevano insegnato “era sempre colpa delle donne se erano incinta, perché bastava non fare sesso”.

Poi venne il periodo del liceo, e lì le cose si fecero più chiare e anche più difficili da sostenere. Ho frequentato il liceo scientifico della mia città e già dai primi anni capii che certi professori era meglio evitarli. Le molestie erano di vario genere: c’era quello che per una maglietta un po’ più scollata o un pantalone attillato, durante le interrogazioni, ti dava quel sei anche se non eri proprio preparata (e proprio per questo per tutti gli anni di liceo, ogni qual volta mi si chiamava alla lavagna, io mi mettevo una felpa sui fianchi ); poi c’era quel professore che mentre camminavi per i corridoi, non si sa perché, non si sa percome, ma prendendo come scusa il fatto che erano stretti e sempre affollati, una mano sul seno non se la faceva scappare… proprio per questo molte di noi cercavano di guardarsi bene in giro, e se si avvistava il professore solito a queste toccatine indesiderate, gli si stava lontane, a distanza di sicurezza; inoltre c’era quello che le mani addosso te le metteva e senza nessuna scusa valida, tant’è che durante una lezione di tecnica un mio professore, mentre girava tra i banchi per controllare i nostri lavori, si fermò dietro la sedia di una mia amica e le infilò le mani dietro la nuca, dentro la maglietta.

Furono 2 minuti di panico, perché tutti/e eravamo sbalorditi, ma alla fine la mia amica riuscì a liberarsi. Uno di questi professori, che non andavano tanto per il sottile, era noto a molti/e nella scuola ma era il vicepresidente della nostra succursale e quindi un’intoccabile. Fortunatamente quando finii il biennio lui fu trasferito ad un’altra succursale.

Il problema più grave, non erano solo i professori-maiali, ma anche le professoresse che con i loro atteggiamenti sembravano quasi giustificare queste molestie. Alcune nostre professoresse iniziarono una vera lotta contro le ragazze che si vestivano in maniera non “consona” al luogo: se ti presentavi a scuola con una maglietta un po’ scollata o che mostrava l’ombelico (moda indiscussa dei miei tempi) o una gonna un po’ troppo corta (tipo quelle a tre/quarti) potevi essere umiliata pubblicamente in classe, oppure addirittura ti veniva impedito di entrare a scuola: ricordo infatti una mia professoressa che sul portone della scuola impedì ad un’amica di entrare perché la sua gonna era troppo corta.

Tutto questo accadeva, e adesso me ne accorgo, perché si voleva, anche in questi casi, dare colpa alle ragazze, o meglio far passare il messaggio che “se ti vesti in un certo modo, poi non puoi lamentarti se ti toccano”.

Alla fine arrivo all’università, e lì le cose non è che cambino così tanto. Anche in questo luogo, il sessismo e le molestie ci sono, e si vedono. Si passa dal fare le “carine con i professori” per ingraziarseli ed aspirare ad un punto in più all’esame, a scene davvero sgradevoli come queste due:

– Nella facoltà di mia sorella, qualche anno fa, è accaduto un fatto gravissimo: durante un esame, un professore molto noto soprattutto per le sue sfuriate, chiama la ragazza per interrogarla. Lei si alza e tutti notano, compreso il professore, che indossa una minigonna. Lei si siede e il professore le dice “Fuma?” lei dice di sì, e il professore “Si accenda una sigaretta,” e lei “ma siamo in sede d’esame, non ci è consentito”, ma lui insiste e alla fine per non farlo arrabbiare lei si accende una sigaretta e il professore esordisce “ecco la caduta della troia fumante”. La cosa è gravissima, ma sapete come è andata a finire? Che nessuno si è scandalizzato, nessuno ha sporto denuncia (perché questo è un pilastro della facoltà) e lui è ancora lì ad insegnare.

– Le mie sorelle vanno dal rettore perché hanno un problema da risolvere con gli esami, ma appena arrivano la custode le ferma e dice loro che devono aspettare. Mentre attendono, arriva un’altra ragazza, che si dirige dritta alla porta del rettore e quando la custode le chiede chi è lei risponde che è la nuova segretaria, e la custode le ricorda che comunque il rettore era occupato ma la ragazza, come se nulla fosse, dice “ma per le ragazze belle l’entrata è libera” ed entra ugualmente. Insieme alle mie sorelle, assiste anche un professore che ai loro sguardi sbigottiti e increduli, risponde “Ma perché non lo sapevate che funziona così?”

Ecco, queste sono state le mie esperienze fin’ora, che non arrivano al ricatto sessuale per eccellenza, che però so essere dietro l’angolo. Ho voluto raccontarvi queste cose perché voglio far capire alle ragazze che non si tratta di sporadici episodi, di individui isolati e deviati, ma bensì di persone che rientrano in un sistema più complesso dove ci sono numerosi/e complici.

Inoltre mi preme ricordare che tutti quegli atti che ci insegnano essere “normali” perché compiuti da uomini, che si sa come sono fatti, che se sono provocati non sanno resistere, sono molestie che non hanno giustificazioni se non nel considerare le donne degli oggetti sessuali.

Le ragazze devono impedire ai genitori, parenti, amici e persino professori/resse di considerarle come coloro che “provocano”, che “se la vanno a cercare”, perché non è così.

Noi siamo libere di vestirci, parlare, camminare, guardare, truccarci come più ci piace, e questo non deve essere un alibi sotto cui celare le vere responsabilità, quelle di una cultura che oggi come 50 anni fà ci divide ancora fra “sante” o “puttane”, una società in cui alle donne non viene data alcuna autodeterminazione, non c’è libertà di essere ciò che si desidera, c’è solo la scelta di essere l’una o l’altra cosa.

Un abbraccio, Sister Elle

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Storie violente.


7 Responses

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  1. Silent says

    @Ale: No, Psicologia1. Ma a quanto pare, di casi del genere ce ne sono tanti.

  2. Davide89v says

    Vorrei aggiungere un altra cosa, prendiamo per esempio la campagna di sbattezzo promossa dall’uaar.
    E’ una cosa che dovremmo fare tutti atei e non, in quanto la Chiesa è una associazione a delinquere basta leggere Vaticano Spa o tantissimi altri libri dove si parla dei traffici illegali dello ior.
    Quindi non è una cosa legata solo agli atei, inoltre la maggior parte delle persone è cattolica a verso proprio quindi per coerenza dovrebbe dire di “non essere cattolica ma cristiana al massimo”
    Detto questo nella mia campagna di sbattezzo ho incontrato gente che quando parlavo dei crimini della Chiesa tra cui anche del vecchio compito di Ratzinger che era quello di silenziare le vittime di abusi sessuali commessi dai preti ricevevo queste brutte risposte “sono uomini e come tutti sono imperfetti e sbagliano”, cioè questa frase giustifica la Chiesa, sta semplicemente dicendo smettila di combattere che tanto il mondo è questo e non lo puoi cambiare.
    Frasi del tipo “l’uomo è così per natura vuole distruggere l’altro e non può cambiare”, ma come si fa ad accettare una realtà così buia, non hanno problemi di coscienza sporca?

  3. Davide89v says

    Io il mondo proprio non lo capisco, pensare che non me lo immaginavo proprio così. Quando ascoltavo al tg di molestie pensavo a casi isolati invece la realtà è totalmente opposta.
    Qualche giorno fa si parlava con un collega universitario e immaginando se l’insegnante fosse stata una donna ha risposto che lui ci sarebbe andato a letto per un 30, tanto se la cosa saltava fuori era LEI che faceva brutta figura proprio perchè è una DONNA mentre per un UOMO è diverso, ha avuto proprio il coraggio di dirmelo in faccia, io non lo… la gente è strana.
    Non solo c’era una collega con noi è non ha detto praticamente nulla al collega ha solo confermato che gli uomini si vantano delle donne che si portano a letto mentre le donne no :O, sono rimasto sbalordito, ho cercato di dirle che dovete vivere la vostra sessualità come meglio credete e lei ha detto che le sono piu’ gli uomini che si comportano così (cioè come se fosse una cosa negativa vivere la propria sessualità, mah)
    E’ proprio vero meglio soli che mala accompagnati.

    Ale supporto pienamente l’invito alla solitudine e allo scherno sociale, non ha senso avere la considerazione di persone bigotte, che sorridono solo quando ti sottometti al loro ego, dico questo a tutti i ragazzi e ragazze che non trovano il coraggio di allontanarsi dalla massa per trovare finalmente se stessi.

  4. Am says

    Molto interessante, anche se l’episodio della ‘troia fumante’ mi è stato raccontato da persone di università diverse, di età diverse e relativamente a docenti diversi: magari è successo davvero, ma siamo nel campo della leggenda metropolitana. Questo, ovviamente, non cambia la validità della tesi esposta.

  5. Ale says

    Silent, per fortuna che è una cattedra di psicologia (per curiosità, Psicologia 2? Se così, capisco perfettamente ciò che hai scritto…).

  6. Silent says

    Collaboro con una cattedra universitaria della facoltà di Psicologia della Sapienza, e posso solo confermare quanto sia diffuso il sessismo in ambito accademico. Mi è capitato di dover interrogare agli esami insieme ad altri colleghi uomini, i quali si “spartivano” le studentesse da loro ritenute appetibili. Uno in particolare, dichiarava “scherzosamente” di arrotondare i voti sulla base della misura di reggiseno. Un altro invece, fingendosi al di sopra di questi sessismi, affermava con sicurezza “se una ragazza mi si presenta in minigonna, io tanto già so che è una cretina”. Bell’ambientino.

  7. Ale says

    Sì che abbiamo autodeterminazione. Dipende da quanto riusciamo a rimanere nel disagio. Io per rimanere fuori da quegli schemi, sono stata brutalmente abbandonata e criticata. Il problema non è la mancanza di autodeterminazione, quanto di coraggio, e del numero di persone che sempre di più si opporranno a quegli schemi per il futuro di altre donne (le piccole, le infanti, quelle che devono ancora nascere), creando i presupposti per un totale ribaltamento della situazione.
    E allora, invito a desiderare anche la solitudine e lo scherno sociale, pur di creare un futuro pieno, per queste bambine. Ci vuole coraggio coraggio coraggio.