di iO nOn pOrtO il reggisenO
Una sera, da Gad Lerner, l’on. biancofiore disse: “Occupiamoci più delle velate che delle veline”. Da questa affermazione scaturisce una riflessione che ho voluto applicare alla realtà; può sembrare banale ricordare che non è la quantità di vestiti che una donna ha addosso, a essere l’unità di misura attraverso la quale capire quanto una sia emancipata, quanto piuttosto la coscienza di se stessa.
Ma a questo punto, guardando la realtà, mi rendo conto che in fondo non è poi così scontato. Ciò che quella sera la biancofiore disse è il motto che molte ragazze di oggi adottano come stile di vita: adottare atteggiamenti maliziosi, dire cose provocanti e superficiali è la nuova maniera per affermare se stesse.
Come ho avuto modo di osservare chiaramente, è passato e ormai maturato il concetto di “o troia o suora”, un’etichetta che rende la vita più facile a tutte le ragazze. Da una parte, vedo le cosiddette “suore”: giovani ragazze che pensano/dicono/fanno tutto ciò che ci si aspetta dal modello di donna ottocentesco. Vanno in parrocchia, fanno le educatrici [cioè insegnano catechismo], aiutano a casa. Poi però se chiedi loro cosa ne pensano di argomenti importanti per le donne quali l’aborto, oppure la mercificazione dei corpi, o ancora qualcosa in materia politica, le risposte possono essere o l’omelia del papa, oppure un netto e secco: “Non lo so.”
Dall’altra parte, invece, si trovano quelle che la cultura patriarcale definisce “troie”: quelle che sognano di vivere in Sex and The City, di vivere una vita di soldi, sesso e successo. Generalmente passano le loro serate in compagnie dove ci sono anche ragazzi: la cosa più misera è vedere come si lasciano offendere, denigrare, solo per far vedere agli altri che “io sono una ragazza dalla mentalità aperta, mica me la prendo per certe cose”.
Solitamente queste ragazze hanno ben chiaro quello che vogliono dalla vita; mi permetto, a tal proposito, di riproporvi qui cosa ho letto in una conversazione su feisbuk:
Prima ragazza, rivolta all’amica : “come deve essere la nostra giornata, S?”
Seconda ragazza: “allora.. Mattina: colazione insieme alle amiche nel più lussuoso bar a milano.. poi lavoroPranzo: un semplice pranzo in una delle vie + care di milano..Pomeriggio: shopping aperitivo.. Cena: o fuori o a casa…”
E, la conversazione continuava, con uno slogan: Per quelle ragazze che vorrebbero la vita come in Sex and The City. Un’altra volta, invece, una ragazza ha scritto, sempre su feisbuk:
“Io sono una ragazza religiosa, che davanti alla cappella mi inginocchio.”
Il tutto, ovviamente, passa in cavalleria come uno scherzo, un gioco: si ride, ci si prende in giro, cosa sarà mai. Certo che se però è la società in cui vivi ad obbligarti a scegliere in quale modo essere etichettata, allora non è uno scherzo: allora le ragazze stanno pagando le scelte pubblicitarie, televisive, ma anche purtroppo politiche senza sottoporle ad alcuna critica.
Leggendo il libro “Ancora dalla parte delle bambine” della Lipperini, poi, si capisce come già fin dalla più tenera, anzi, tenerissima età le future ragazze sono obbligate a ricoprire un ruolo: mi vien da dire che è naturale che se da piccola siccome sei una femmina ti devi mettere i vestiti rosa e fare giochi per bambine, allora da ragazza ti viene naturale decidere se essere una suora oppure una puttana.
Questa descrizione è quella che io dedico alla mia generazione, salvo pochi stupendi casi; ragazze accusano altre ragazze, in un continuo non-essere una delle due categorie, in una continua danza da un burqa all’altro: immagino che tra vent’anni (ma anche meno), saremo o spose devote o battone di strada.
—>>>immagine da hardcore judas
@ Mat siamo qui apposta per ribellarci e non essere più passive, anche se a volte è veramente difficile!!
@ eva io sex and the city non l’ho mai visto, ma so che è una serie idoltrata, e considerata come la dimostrazione della vera donna emancipata.
Il punto sono i “modelli sociali”: se tu ad una ragazza che vive in una situazione economica-sociale-culturale in cui ci sono determinate problematiche, le ragazze, a parte rari casi, non si preoccuperanno di cercare di fare qualcosa per cambiare la realtà in cui vivono, ma di sognare di cercare di diventare come le protagonisti del telefilm. Che poi ci sta pure Gossip Girl e altre cazzate simili: il messaggio è lo stesso per tutti: arricchisciti e sii stronza. E’ l’unico modo che hai per salvarti dal mondo. Non devi lottare CON gli altri, ma calpestarli: vedere solo l’obiettivo, in nome del dio capitale.
Tutto ciò è assurdamente disgustoso perchè come al solito il soggetto passivo che è la donna, anche quando crede che calpestando le sue compagne ne esca vincitrice… In realtà ha perso. E pure tanto.
Sex and the city ha i suoi limiti. E la società che lo promuove limiti ancor più grossi.
Perchè passi che la vita di ragazze privilegiate e affermate professionalmente debba essere affrontata partendo dall’esigenza di trovare qualcuno con cui fare sesso o addirittura sistemarsi. Ma consideriamo che la seconda ossessione è l’acquisto di vestiti firmati e scarpe.
Non vi è libertà e il fine della realizzazione personale è essere consumatrici.
Purtroppo regna il deserto culturale e la superficialità, la frivolezza sciocca e inconsapevole.
Per cui capita che si arrivi a sostenere anche una cosa pazzesca come quella che la libertà della donna si misura dal numero di vestiti che ha indosso.
Faccio notare tra l’altro che questa è un’altra di quelle strategie che servono a far definire la donna da qualcosa di altro da lei, e quindi in sostanza da renderla un soggetto passivo: questo qualcosa d’altro possono essere i vestiti o il velo. Così è quel genere di abito che rende la donna puttana o suora come i luoghi che frequenta, le sue amicizie e così via. non è una sua scelta, ma è la scelta della moda, dello stilista o di coloro che la “definiscono”, una imposizione della società.