Come vi avevamo già anticipato il quotidiano L’Altro ha dedicato due pagine a due differenti spazi web. Beatrice Busi ha intervistato Monica Pepe di Zeroviolenzadonne e ha fatto una bella intervista anche ad una di noi. Se non ci credete potete trovare i pezzi scannerizzati qui e qui. Sotto, grazie a Beatrice, la trascrizione completa arricchita di qualche link che qui può avere una sua funzione. Buona lettura!
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Le femministe parlano sul web
Gli stessi giornali che censurano il femminismo lo accusano di stare zitto. In questi decenni il movimento ha sempre manifestato e prodotto pensiero. E ora lo fa via internet.
Di Beatrice Busi
Sono passati quasi venticinque anni da quando le sociologhe Anna Rita Calabrò e Laura Grasso descrissero il passaggio “dal movimento femminista al femminismo diffuso”: se durante i Settanta, il movimento – inteso come soggetto collettivo della mobilitazione politica -, aveva raggiunto la sua massima visibilità, negli anni ottanta, accanto al processo di istituzionalizzazione degli spazi di incontro creati negli anni precedenti (sedi, librerie, centri di documentazione, centri per la salute), le donne scelgono di re immergersi nel sociale e nel privato per sperimentare, attraverso percorsi più individuali che collettivi, quella pluralità di modelli inediti dell’identità femminile prefigurata dalla precedente stagione di lotte.
E’ negli anni novanta che inizia la ricostruzione di quel tessuto di gruppi, associazioni e collettivi che oggi agiscono sui territori un’incessante azione “micro politica”, sulla violenza maschile, sul nesso tra sessismo, razzismo e fascismi, sul controllo biopolitico dei corpi delle donne, dalla legge 40 contro la fecondazione assistita ai continui attacchi – rigorosamente bipartisan – all’autodeterminazione sessuale e riproduttiva. Ma, con l’inizio del terzo millennio, è emersa anche una rinnovata capacità delle micro politiche lesbiche e femministe di fare rete in base a relazioni di affinità.
A Milano nel 2006, 250mila persone hanno manifestato contro gli attacchi alla legge 194 sull’aborto. A Roma nel 2007, in occasione del 25 novembre, la giornata mondiale contro la violenza alla donne, erano 150mila le donne in piazza, non solo contro la violenza maschile, ma anche contro la strumentalizzazione razzista dell’omicidio di Giovanna reggiani operata dal “pacchetto sicurezza” del governo Prodi. I media mainstream, dopo l’iniziale curiosità per queste “neofemministe venute dal web”, decisero di bollare come “antipolitica” la radicalità espressa da quel corteo, con le contestazioni alle ministre che avevano sostenuto quelle politiche securitarie, culminate nell’occupazione simbolica del palco allestito in piazza da La7.
Di quanto sia centrale e problematico il rapporto tra i movimenti delle donne – da sempre in conflitto con la politica rappresentativa – e il sistema “ufficiale” dell’informazione italiana – completamente autoreferenziale e tutto schiacciato sulle vicende dei palazzi – se ne è discusso anche sabato scorso in un’assemblea alla Casa internazionale delle donne di Roma, a proposito delle iniziative in cantiere per il prossimo 25 novembre. Se per la politica femminista è ancora così difficile “bucare lo schermo” ed emergere dai fangosi meccanismi di costruzione della “notizia”, la rete internet ha invece rappresentato un prezioso strumento di visibilità. Anziché perdersi nei pretestuosi dibattiti su un immaginario “silenzio delle donne”, dunque, è meglio valorizzare le voci delle donne che, autorganizzandosi, non hanno mai smesso di fare comunicazione, informazione e politica.
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«Il nostro è un lavoro collettivo»
La rete non è uno spazio neutro. Parla FikaSicula.
Fikasicula è un nome collettivo a geometria e geografia variabile che sta per una piccola grande comunità di femministe tecnologiche – in principio era una, poi trina, ora sono sette, cinque del sud e due del nord -. Irriverente, acida, ironicamente spietata, sempre politicamente scorretta, a cominciare dalle immagini spiazzanti che accompagnano ogni post del suo blog, Femminismo a sud. Ogni giorno «commenta le notizie di cronaca e offre spunti di riflessione su femminismo e civiltà», parla sempre di tutto e non risparmia mai nessuno. Il blog (http://femminismo-a-sud.noblogs.org) è nato tre anni fa sulla piattaforma Noblogs, l’ultimo degli spazi liberati sulla rete dallo storico server indipendente Autistici/Inventati che la battaglia per il diritto alla comunicazione libera e accessibile l’ha sempre fatta molto concretamente. Senza alcuno sponsor, costruito dal lavoro volontario degli attivisti e dalle donazioni degli utenti, mette gratuitamente a disposizione spazi web, posta elettronica, mailing-list e chat a tutti e tutte coloro che si riconoscono nella policy del progetto: antifascismo, antirazzismo, antisessismo e non commercialità. Ma questa è solo apparentemente un’altra storia. Perché Fikasicula nasce e cresce proprio dentro le comunità digitali, agendo da sempre con la consapevolezza (leggi: l’Abc della femminista teknologica) che nemmeno la rete è uno spazio “neutro” (http://la-rete-non-neutra.noblogs.org/). Di questo e d’altro, ne abbiamo parlato con la “grande madre” di tutte le fikesicule.
Vorrei che mi raccontassi da dove nasce l’idea del blog femminista e qual è la sua “missione”, fuori e dentro la rete.
Il tema del femminismo/antisessismo è storia vecchia con la quale ho rotto le scatole assieme ad altre all’interno delle comunità digitali (miste) che ho attraversato. La mia esigenza era provare a raccontare in modo semplice alcune questioni che tante ragazze e ragazzi che ho conosciuto ritenevano scontate, superate, da archiviare. Ma nasce anche per reagire ad una colonizzazione culturale del femminismo con la F maiuscola, per come ce lo hanno insegnato. Il blog è diventato poi un esercizio quotidiano di lettura commentata di quello che ci accade attorno. Cose delle quali informalmente discutevamo tra noi. Quando ci siamo rese conto che i punti di vista che venivano fuori erano interessanti non solo per noi ma anche per chi ci stava a sentire, condividerli attraverso il blog è stato un passaggio naturale. E proprio perché per noi la condivisione è centrale, i contenuti del blog sono sotto licenza Creative Commons. Perciò possono essere usati da chiunque citando la fonte, ma mai per scopi commerciali, perché nessuno deve appropriarsene per farci soldi. I saperi delle donne non dovrebbero mai essere sottoposti a copyright, devono essere liberi da speculazioni, poter viaggiare di scritto in scritto, di bocca in bocca, per costruire un sapere nuovo che finalmente comprenda anche noi.
Cosa c’è dietro alla scelta del nome del blog e del vostro nome collettivo?
Il blog è caratterizzato da una dimensione “postcoloniale”, quindi più che essere collocato geograficamente a sud, è schierato a sud, con tutte le differenze in termini di posizionamento e prospettive sul mondo che questo comporta. Il nickname collettivo Fikasicula prende spunto dal pezzo “Cunt” dei Monologhi della vagina di Eve Ensler, a proposito dell’innominabilità di questa parte del nostro corpo. Quindi, fika perché ce l’abbiamo, a prescindere dall’uso che intendiamo farne rifiutando le imposizioni giustificate con la “biologia”. E sicula perché anche la fika è postcoloniale e sceglie una collocazione culturale precisa.
Raccontavi che a un certo punto vi siete rese conto che il vostro punto di vista era interessante per tante e tanti altri. Mi pare che Femminismo a sud sia molto seguito, i suoi post rimbalzano da un nodo all’altro della rete e in qualche modo, anche in mezzo al rumore bianco di internet, riescono a “fare opinione”.
Sì, le visite sono veramente tante. E’ un blog linkatissimo e usato per tante ricerche, tesi, discussioni in rete. Noblogs, per il rispetto della privacy, non traccia i visitatori e le visitatrici, quindi il dato che ho è approssimativo. Certamente è in crescita, secondo l’evoluzione del rank e dell’indicizzazione in rete. Nelle classifiche blog ormai siamo tra i primi cento in Italia, che per un blog a firma femminile che parla di questioni spinose e non è gestito da persone note e popolari è veramente tanto. I nostri visitatori e le visitatrici partecipano attivamente alle discussioni, scrivono, suggeriscono, segnalano. E’ una partecipazione multipla per uno strumento, una risorsa, che per sua natura è collettiva. Infatti Femminismo a sud è in rete con tanti altri blog e siti gestiti da donne: una ricchezza immensa che dimostra che di donne silenziose qui non ce ne sono.
Sul blog ho letto spesso storie di vita e di violenza maschile contro le donne raccontate in prima persona o restituite da voi. Sono pugni nello stomaco, perché vengono raccontate senza i filtri della spettacolarizzazione e della banalizzazione dei media mainstream.
Le donne ci scrivono per raccontarci le loro storie, perché vogliono che le raccontiamo a chi ci legge o semplicemente perché si sentono finalmente capite. Quindi, non solo nessuna di noi sta in silenzio, ma le nostre chiacchiere tra donne sono diventate un incoraggiamento per fare uscire dal silenzio anche altre. Forse proprio perché Femminismo a sud non parla di cose di femmine, parla piuttosto di un modo di intendere e vedere la società da un punto di vista di genere, il nostro genere, i vari generi discriminati, o anche il maschile etero che ha un modo differente di intendere la propria mascolinità.
Hai nominato spesso la questione del silenzio. Ogni riferimento polemico al dibattito estivo dell’Unità sul silenzio delle donne è puramente casuale?
Non lo é per nulla. Il riferimento é preciso. A un giornale che per autopromuoversi ha usato un fondoschiena femminile come biglietto da visita. Che, in perfetta linea con le posizioni delle donne del Pd, non è impegnato a delegittimare le politiche securitarie e razziste compiute “in nome delle donne”, che non denuncia le politiche liberiste che hanno tolto lavoro anche alle donne, ma che invece ripropone e promuove insistentemente un progetto di welfare nel quale la donna é l’unico ammortizzatore sociale a cui delegare ogni tipo di lavoro di cura. Le stesse che ci ignorano sistematicamente quando parliamo di precarietà, del legame tra la violenza maschile e l’assenza di reddito che spesso costringe le donne ad una condizione di dipendenza. Che non sono state in grado di difendere il minimo principio laico a garanzia della nostra libertà di scelta, che in televisione le vedi parlare delle "clandestine" con ammiccamenti bipartisan. Un branco rosa che va dalla Turco alla Mussolini, dall’istituzione dei Cpt fino agli attuali lager chiamati Cie, senza soluzione di continuità. E che ora hanno deciso di occuparsi del sessismo del premier in una chiave moralista, unendosi al coro ecclesiastico, trasformandolo nell’argomento centrale della propria opposizione, mentre la loro politica somiglia parecchio a quella del centrodestra. Da loro, noi e moltissime altre, che abbiamo sempre parlato, manifestato, partecipato e organizzato iniziative di piazza, che ci siamo opposte alle politiche sessiste, razziste e fasciste del governo di questo paese, abbiamo ricevuto indifferenza o etichette denigratorie. Ma tradurre la censura verso i nostri contenuti e le nostre iniziative in un silenzio immaginario, proponendosi come paladine del genere femminile, è davvero troppo. (B.B)
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«Link per fare controimmagine»
Un sito contro i luoghi comuni. Intervista a Monica Pepe
Il sito Zeroviolenzadonne.it (www.zeroviolenzadonne.it) è stato lanciato a febbraio ed è già un imprescindibile punto di riferimento quotidiano per chi fa comunicazione femminista, in rete e non solo. E’ «un progetto di informazione dedicato alle donne e alla loro capacità di reagire alla violenza maschile, la forma di controllo sociale, economico e politico più estesa al mondo». Ogni mattina offre una rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali, ogni due settimane pubblica uno speciale che, a partire dall’editoriale periodicamente affidato a femministe di generazioni diverse, dalla vignetta e dalla “citazione”, aggiorna i materiali contenuti nelle varie sezioni. Ci sono le pagine dedicate alle “Donne nei territori” che raccolgono eventi e iniziative politiche organizzate dai gruppi femministi e lesbici in tutta Italia. C’è la pagina dedicata ai “Centri antiviolenza” e alle Case delle donne, con gli indirizzi e i contatti regione per regione. C’è la sezione “Diritti delle donne” e una sezione nella quale vengono raccolti dati e statistiche sulla violenza maschile, sul diritto alla salute, sulle donne in politica e nel lavoro. Infine, c’è la rubrica “Controimmagine”, curata in collaborazione con la semiologa Giovanna Cosenza e il suo blog dis.amb.ig.uando (http://giovannacosenza.wordpress.com/), che decostruisce, analizza e denuncia gli stereotipi di genere costruiti dalla pubblicità e spesso anche dalle campagne di comunicazione pubblica. L’ideatrice del progetto, Monica Pepe, ci ha spiegato in che modo un sito di informazione esplicitamente diretto alle donne possa fare la differenza.
Da professionista e osservatrice della comunicazione, quali sono secondo te le storture, i pregiudizi e gli stereotipi di genere che i media mainstream riproducono e veicolano?
Il grande “classico” riguarda il ruolo tradizionale della donna, funzionale alla rassicurazione degli uomini e della loro sessualità: il corpo della donna come oggetto di piacere, bello, provocante ma al tempo stesso inanimato. Poi c’è quello “eterno” che va dalla mamma sempre sorridente che prepara la tavola per tutti alla figlia che lava i piatti in piedi sullo sgabello sognando un mondo di sottilette. La maggior parte delle pubblicità continua a riproporre vecchi modelli, sganciati dalla vita delle donne in carne ed ossa, godendo del potere invasivo che può avere un’immagine rapida e liquidatoria. La nostra rubrica Controimmagine, tra le più seguite, intende proprio fornire gli strumenti per smascherare questo trucco. In questo senso è molto importante avere a disposizione più letture di riferimento. Per noi, infatti, sono fondamentali la collaborazione e lo scambio con altre donne e i loro blog, come quello di Loredana Lipperini (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it), Femminismo a Sud (http://femminismo-a-sud.noblogs.org) o Vita da Streghe di Giorgia Vezzoli (http://vitadastreghe.blogspot.com).
Due anni fa, insieme ad altre compagne di Roma, hai lanciato un appello per una manifestazione nazionale contro la violenza maschile alle donne. Come una valanga, assemblee di donne si sono autoconvocate un po’ dappertutto e alla manifestazione hanno partecipato 150mila donne. E’ nata Sommosse, la rete nazionale dei gruppi lesbici e femministi, lo scorso anno c’è stata un’altra grande manifestazione a Roma e se ne prepara un’altra per quest’anno. In questo processo la comunicazione via internet è stata fondamentale. In che modo Zeroviolenzadonne si inserisce in questo percorso?
Nel fare rete con tutte le altre donne nei territori, della forza reciproca, fornendo un contenitore di informazioni che aiutino percorsi di consapevolezza individuali e collettivi. Credo che, più di ogni altra cosa, le donne e il movimento femminista e lesbico debbano far valere la straordinaria varietà di competenze, di pensiero e di azione che hanno espresso in tutto il territorio nazionale. Ma la pretesa – imposta dalla cultura maschile – che le donne che fanno politica debbano sempre andare d’amore e d’accordo è assurda. Applicata alla politica maschile farebbe ridere. Anche il conflitto fa bene, quello che conta è condividere i “fondamentali”, smascherare le strategie di potere maschili che tendono a neutralizzare la libertà delle donne, soprattutto all’interno dei partiti. E non farsi mai strumentalizzare.
Durante l’estate L’Unità ha pubblicato diversi interventi di donne, docenti, giornaliste e politiche, che auspicano la nascita di un “nuovo femminismo”, riferendosi ad un presunto silenzio delle donne sul rapporto tra sesso e potere. Cosa ne pensi?
Penso che oggi il femminismo sia più vivo e nuovo che mai e che, quella delle donne, continui a essere l’unica rivoluzione permanente in tutto il mondo. Perché parla di civiltà nella relazione tra i sessi e di libertà di scelta sessuale, perché lotta contro la violenza maschile che uccide, contro lo sfruttamento delle donne, per principi di uguaglianza che dovrebbero ormai essere patrimonio comune. Il “silenzio delle donne” è solo un ritornello a uso e consumo di uomini che non vogliono o non possono cambiare. Una dimostrazione che le donne non tacciono per nulla sta nella rete, piena di siti e di blog. Il docufilm Videocracy mette bene in evidenza come la dis-cultura televisiva berlusconiana, in vent’anni di martellamento, abbia imposto un immaginario distorto dove “esisti solo se appari”. E ovviamente a decidere quando e come appaiono le donne sono soprattutto uomini. L’oscuramento del pensiero critico delle donne di tutte le generazioni e la rappresentazione distorta che ne fanno i media mainstream dimostra solo il terrore che gli uomini hanno di perdere i propri privilegi. Ma le donne hanno saputo brillantemente superare l’ostacolo, pur scontando un’evidente disparità di mezzi. Il vero problema è che sono gli uomini a non saper cogliere questo momento storico per ripensare la propria sessualità nella relazione con le donne, a non voler cambiare pelle, liberandosi da questo ruolo di eterni clienti. Durante la puntata di Anno Zero di giovedì scorso, il direttore di Libero Belpietro continuava a ribattere con aria sprezzante alla direttora de L’Unità Concita De Gregorio che Patrizia D’Addario è solo una prostituta, dimostrando ancora una volta la miseria delle argomentazioni maschili utilizzate in questa vicenda. Si vergognassero loro, che di prostituzione intellettuale e di prestazioni “orali” ne fanno ogni giorno. (B.B)
Grazie per quello che state facendo, per questo blog, per il coraggio con cui sfidate le orde di cretini e cretine che si appoggiano a pacchetti di “valori” precostituiti, comodamente confezionati quando ancora si festeggiava l’aratro col vomere. So cosa voglia dire dare testate a un muro di gomma che si erge tra citazioni bibliche, esempi di ComeFosseBelloIlMondo quando le mamme non facevano carriera e c’era la zuppa dell’orto a tavola, e sane crescite di bambini con donne completamente spersonalizzate a loro dedica. Così apprezzo il vostro lavoro ancor di più.
p.s. Spero di non aver sbagliato il post cui il commento si riferisce!
In bocca al lupo e grazie ancora!!!!
complimenti per l’intervista, molto bella!