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Stavo per uccidere mio padre

Lei la chiamiamo Simona. Ci scrive un fiume di parole che bisogna selezionare. Troppe e tutte assieme fanno male solo a sentirne l’odore. E’ giovane, Simona, e ci scrive dopo aver letto dell’ennesimo femminicidio. Un lui che ammazza di botte una lei. Talmente banale da fare rientrare la notizia tra le brevi di cronaca. Le mogli che vengono ammazzate da uomini italiani, talvolta assieme ai figli e alle figlie, non si chiamano Sanaa. Non c’è nessun@ che andrà a strappare metri di stoffa dai corpi delle donne cristiane all’uscita di una chiesa, nessuno che analizzerà in dettaglio i perchè si e i perchè no la nostra cultura produca assassini di donne. 

"Stavo per uccidere mio padre", introduce Simona. Ed è una doccia fredda. Un impatto cruento che sembra sintetizzare la storia in appena cinque parole. "Non ce la faccio", prosegue e racconta di una vita fatta di pressioni, di ricatti, circostanze, episodi. Frasi brevi, tutto appena accennato, come si trattasse di un tragico singhiozzo, di un rigurgito di malessere che bisogna buttare fuori perchè bisogna buttarlo fuori e basta.

Simona va al secondo anno di università. Ha due fratelli e una sorella, tutti più grandi di lei. Sua madre ha lavorato in una ditta tal dei tali e ora è in pensione.

L’equilibrio di famiglia si regge sulla capacità di questa donna di rassicurare il marito per qualunque cosa. Lui è un uomo pieno di paure, che non si fida di nessuno e che ha cresciuto i figli senza mai concedere loro una iniezione di sicurezza. Nulla. Con l’età è anche peggiorato e la sua vita è fatta di paranoie e di tensione nervosa. Vive nel terrore che la sua casa possa bruciare, che moglie e figlia, le uniche persone che oramai vivono con lui, possano dimenticare il gas acceso, la porta e la finestra aperte. Tutto per lui è un pericolo. Sua moglie è il grande cuscinetto, un parafulmini, un caproespiatorio che lo conforta e lo consola, che lo mette a proprio agio e lo fa sentire al sicuro, come farebbe con un bambino.

Simona ci dice che è sempre stato così. Lui non sa vivere in condizione di stress. Nei momenti critici della famiglia lui è sempre fuggito via. Ha trovato il modo di tirarsi fuori. Si è deresponsabilizzato. La malattia della moglie era colpa della stessa moglie, l’incidente del figlio era colpa del figlio, la precarietà dell’altro figlio era colpa dell’altro figlio e le sfighe di Simona sono ovviamente colpa di Simona.

In una situazione del genere si era trovata Carmen, della quale avevamo raccontato la storia a metà tra il reale e la fantasia perchè è una storia dolorosa e non volevamo renderla neanche lontanamente riconoscibile. Era importante mettere a fuoco i dettagli per analizzarli. Il resto, così ci aveva scritto Carmen, non era fondamentale.

La questione vera della storia che ci racconta Simona è che suo padre si sente costantemente in pericolo. Tutto gli sembra una minaccia e non si tratta di un uomo "depresso", di un malato che non compie i suoi doveri. Lavora, porta il pane a casa, assolve alle sue incombenze, fuori è stimato e riverito, riesce persino simpatico. Dentro casa però si lascia prevaricare dalle sue fragilità: come un pallone che si sgonfia gettando l’aria in faccia alle persone che gli stanno attorno.

Non è semplice per Simona volere bene a suo padre. Ha vissuto in un clima di complicità con i suoi fratelli e sua sorella. Sua madre ha sempre diretto i lavori e ha chiesto a tutti di adeguarsi perchè "tuo padre è sempre tuo padre". Fratelli e sorelle però, com’era ovvio, hanno fatto in fretta ad andare via per lasciare prima possibile quella casa. E’ da un anno quindi che Simona si trova senza un complice che viva sotto il suo stesso tetto. Nessuno con il quale o con la quale condividere il dolore.

Legatissima ai fratelli, gli unici che erano in grado di opporre testosterone a testosterone, non prova alcuna stima per la sorella che si è semplicemente sposata per allontanarsi. Si è sposata un buon diavolo. Hanno fatto due figli. In casa è lei che vive di riflesso il ruolo paterno. "Con mia sorella non si può parlare", ci dice Simona e in qualche modo capiamo il perchè. 

Simona vuole finire gli studi e poi trovarsi un lavoro ed andarsene. Tutto regolare, senza forzature. Oltretutto non se la sente di rompere il fragile equilibrio che sua madre riesce a tenere in piedi. Riesce o riusciva. Preferisce lasciare una situazione nella quale poi saranno i coniugi a stare tranquilli. "Abbiamo avuto problemi solo per via dei figli", dice a Simona suo padre. Senza i figli dunque non dovrebbero avere più problemi. Avere "piccolini" di trent’anni e passa in casa certo può essere un bel casino. Simona ha osato sottovoce, raramente, chiedere "ma allora perchè li avete fatti ‘sti figli?".

Perchè si fanno i figli? Gran bella domanda, Simona, alla quale noi non siamo certo in grado di rispondere in senso oggettivo e in poche parole. 

La madre di Simona negli ultimi tempi ha dei problemi. Ha già superato la menopausa ma si vede che sta male. Suda, è collerica, impaziente, intollerante. Non si capisce che abbia. Quello che Simona sa è che sua madre è la persona che tiene insieme i pezzi del puzzle e senza di lei tutto crolla miseramente.

La madre sta male e suo padre è fuori di testa. Urla che è colpa sua. Ha mangiato troppo, cammina male, prende troppo freddo, tiene il riscaldamento acceso per troppo tempo. Tutto pur di non interessarsi a lei per davvero, una povera donna che per lui si è fatta in quattro e che certo meriterebbe un po’ di attenzione.

La madre sta male e tollera poco. Perciò non sta più zitta. Risponde a tono, urla anche lei, si è messa anche a lanciare oggetti e ogni tanto minaccia di farla finita perchè non ne può più. Quando questo avviene lui di colpo si calma. Tace solo di fronte alla sconcertante prospettiva della morte di sua moglie. Poi capisce che lei non lo farà e ricomincia. Tutto da capo. Sempre peggio.

Un po’ di sere fa Simona vede suo padre rosso in volto, trema come una foglia per i nervi e non c’è niente che possa farlo stare meglio. Simona si preoccupa e gli chiede se può fare qualcosa per lui. Glielo chiede con il terrore in mano per cercare di tenere sotto controllo la situazione e per guadagnare la benevolenza del carnefice. Sua madre è in un’altra stanza e ha un labbro rotto. "Ho sbattuto sulla mensola…" è la scusa, ma la mensola è più alta di lei di almeno venti centimetri. 

Papà e mamma di Simona non si parlano e dormono in due letti differenti. Lui si chiude nella stanza che era del figlio maggiore e lei resta in camera da letto. L’aria è apparentemente calma. Una quiete strana, presagio di cose negative. Simona tenta di saperne di più e la madre dice soltanto che sarebbe meglio se lei – riferito a Simona – andasse a stare per qualche giorno dal fratello "finchè le cose si sistemano".

Simona chiede cosa c’è da sistemare. Soprattutto chiede a sua madre di andare via con lei. Lui, il padre, può sistemare tutto da solo, no?

La madre sembra rassegnata. E’ come una resa dei conti, mezzogiorno di fuoco, la notte delle matite spezzate, quella dell’assalto dei poliziotti alla diaz. Quiete, silenzio, di morte. Simona si rifiuta di lasciare sola sua madre e chiama i fratelli per chiedere i rinforzi. Loro hanno tanti impegni e abituati come sono a vivere in costante emergenza pensano si tratta di una delle solite crisi. "Stavolta è diverso!", chiarisce Simona, "è diverso!", ma non li convince. Sua sorella è irragiungibile e le lascia un messaggio in segreteria. Non spera certo che quella stronza egoista possa voler fare qualcosa ma tentare non nuoce.

Arriva la sera più buia della vita di Simona. Respira male, accende e spegne la luce del corridoio, resta a leggere finchè può. Stare sveglia è importante. Lui potrebbe arrivare da un momento all’altro. Lui in effetti arriva e le fa una scenata per via della luce accesa perchè è tardi e leggere a quell’ora significa consumare elettricità. Simona spegne. Con calma spia tutti i rumori, ne sente uno, impercettibile, un fruscìo. Si mette in piedi e corre veloce in camera di sua madre. Dorme, coperta fino ai capelli, nessuno movimento, forse non respira. Simona avvicina l’orecchio e trattiene il fiato. E’ viva, sua madre è viva. Allora corre in cucina e prende quello che trova: uno spray per uccidere le mosche, un martello, un coltello.

Simona è terrorizzata, si sente in pericolo, è sicura che suo padre farà qualcosa e lei è pronta a reagire. Non vuole scappare, d’altronde non potrebbe. La sua stanza è l’ultima del corridoio e per andarsene dovrebbe passare davanti quella in cui è chiuso suo padre. 

Accade tutto in un attimo: suo padre esce, calmo, cammina verso la camera di sua moglie, la scopre e le mette le mani attorno al collo. "Poi sarà il mio turno", pensa Simona. Si precipita e si accorge che ha preso l’arma che fa meno male perchè lei non sa uccidere suo padre. Arriva appena in tempo, spruzza l’insetticida, sua madre strabuzza gli occhi, il campanello suona, ancora insetticida, suo padre tossisce, sua madre non ha più fiato, il campanello suona, l’insetticida è finito, Simona prende un maglione e lo infila in testa a suo padre e lo spintona, prova a spostarlo, lui non lascia la presa, il campanello suona, qualcuno sfonda la porta, arriva sua sorella con il marito, strappano via il padre e lo gettano in un angolo, ha gli occhi persi ma comincia a bestemmiare, a suo parere bisognava lasciarlo fare, la moglie non respira, simona apre la finestra, l’insetticida ha tolto ossigeno anche a lei, sua sorella trascina sua madre verso l’aria, è viva.

Sua madre non ha voluto chiamare la polizia "perchè sono cose di famiglia". Sua sorella ha portato suo padre in ospedale per "un crollo nervoso". Suo padre non ha la più pallida idea di quanto fosse sbagliato aver rischiato di uccidere la moglie e di conseguenza aver rischiato di essere ucciso da sua figlia. Simona è l’unica che sta male. Stava per uccidere suo padre, ne aveva l’intenzione, se non arrivava sua sorella lo avrebbe fatto, lo avrebbe picchiato in testa fino a farlo morire, lo avrebbe fatto per salvare sua madre e se stessa. 

Simona non dimentica la sensazione che ha provato, sentirsi in pericolo, organizzare la difesa, restare viva, restare viva, restare viva, poi la scrittura cambia tono, il flusso angoscioso, nel ricordo di quei brutti momenti, quelli in cui ci trascina, volge al termine e lei recupera razionalità e ci scrive che tutto questo è avvenuto solo perchè negli ultimi tempi aveva fatto attenzione a quanto accade alle altre donne.

"L’informazione è vita", ci dice, "senza informazione non avrei mai potuto pensare che mio padre – capite? – proprio mio padre potesse volerci fare del male". L’informazione è vita e fanno di tutto per annacquarla, per non farci sapere, per farci pensare che ammazzano solo gli stranieri o quelli cattivi cattivi, così lontani da noi. L’informazione è vita e nessuno a parte pochissime persone, quasi sempre donne, ci dice che chi uccide è una persona come le altre. Chi non passa le informazioni corrette condanna a morte tante donne.

L’informazione è vita. Aiuta a fidarsi delle proprie sensazioni. Aiuta ad amare tenendo alta la guardia. Aiuta a perdonare gli assassini perchè c’è il modo di difendersi da essi, di prevenire un femminicidio, di impedirgli di commettere un errore irreparabile. L’informazione è vita. Perciò Simona ci ha scritto. Felice di non aver ucciso suo padre e ferita a morte per aver rischiato di farlo. Sola in mezzo a tanto dolore. Curiosa di conoscere meglio questa sorella che al momento opportuno si è presentata a salvare la sua vita e quella dei suoi cari. Curiosa di vivere il futuro. Terrorizzata di restare ripiegata sul passato. 

Sono tutti vivi. Per merito di due donne. In una catena di solidarietà al femminile. 

Simona sta bene. Ha rischiato la galera destinata alle donne che reagiscono e non si piegano. Simona sta bene ed è protetta dall’abbraccio di tutte noi. Grazie.

—>>>Foto da qui 

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Storie violente.


6 Responses

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  1. fikasicula says

    grazie a te roberta,
    grazie per il lavoro che fate!
    un abbraccio

  2. roberta says

    grazie del tuo splendido blog (luce morale, lucidità, umorismo) e di questa storia. darò pubblicità ad entrambi.
    un abbraccio a simona e a te.

    http://www.amnesty.it/…BLOB.php/L/IT/IDPagina/25
    http://www.amnesty.org/…p-violence-against-women

  3. l'informazioneèvita says

    Cara simona ti ringrazio per aver voluto condividere tutto questo con noi… sai anche per me l’informazione è vita. La tua storia, quella di una violenza domestica (fisica e psicologica) è più comune di quanto pensi, personalmente ti dico solo che capisco che cosa vuol dire aggredire il proprio padre per salvare la propria madre. Per me è difficile parlarne, quindi ammiro il tuo coraggio e spero di averne anch’io un giorno. Grazie davvero di cuore per la tua storia che sono sicura sarà d’aiuto a moltissime donne. Un abbraccio forte

  4. cassiana simontacchi says

    non ho qualcosa di particolare da dire a Simona, ma tanta ammirazione per il grande coraggio che ha dimostrato in un momento così terribile, e tanta tristezza per l’ingiustizia che ha dovuto subire; tutti abbiamo il diritto di avere un padre che ti protegge e non “doversi proteggere dal proprio padre”, non ci sono commenti a tutto questo…..Un abbraccio

  5. /g)ilda says

    anche io ti dico grazie, per essere così instancabile nel mantenere viva l’informazione, nell’esprimere senza sosta quello che in tante sentiamo e pensiamo

  6. miba says

    grazie anche a te per aver messo in parole in tutto questo