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Il peso della superficialità sociale

di iO nOn pOrto il reggisenO

La storia di quella che chiamerò Iris, nome di mia invenzione, è molto comune. Talmente comune che ormai non fa più notizia poichè è entrata nell’ordine delle cose.

Iris ha diciannove anni e soffre di bulimia da quando ne ha quattordici. Vive in un quartiere molto periferico di Roma, nelle ex case popolari; vive con la madre, una donna sui cinquant’anni che fa la maestra; il padre, un uomo che di lavoro fa lo psicanalista in un centro d’igiene mentale, e la sorella di venticinque anni, ex bulimica fissata con il mangiar sano.

Iris è stata la mia compagna di banco al liceo per due anni, cioè finchè non ha lasciato la scuola per andarsi a curare.

Non avevo capito la gravità del suo problema sino a che non è arrivata a vomitare bile, perché non aveva più niente nello stomaco. Facevamo colazione insieme, prima di entrare a scuola, con un cappuccino e un cornetto che io mi mangiavo con gusto, e che lei dopo al massimo due ore rigettava. Si teneva in piedi con un pranzo ipervitaminico che la sorella teneva da parte per lei, e che poi andava a vomitare, prima di iniziare a studiare.

Quando ho intuito che il vomito era un rito, ho capito la gravità del problema. La malattia diventa grave nel momento in cui vomitare è come lavarsi i denti. Non potevamo iniziare a studiare prima che lei avesse vomitato, passava intere ore chiusa in bagno.

Alla madre lo dissi io. La mandò da uno psicologo di un ospedale, e venne anche sottoposta al giudizio dei nutrizionisti. Perse quasi un anno e mezzo in queste cure, che non fecero nient’altro se non peggiorare la sua situazione.

Un giorno ebbe un malore, venne ricoverata e tenuta dentro per un bel po’ di settimane. Quando tornò a casa le facemmo una festa, io e altre amiche. La sorella ci disse che era sbagliato: lei cercava attenzioni, e noi gliele avevamo date tutte. La ignorammo completamente, perché a sedici anni pensavamo che se un’amica è malata allora bisognava aiutarla. Purtroppo ciò che aveva detto la sorella si rivelò completamente vero: e allora, iniziarono le discussioni tra noi, le amiche, e Iris.

Iris, perché lo fai? Perché vomiti? Perché non ti fidi più delle persone? Perché vuoi morire?

Perché a lei tutto ciò piaceva. A lei piacevano le domande, gli interessamenti, piaceva dirmi "Accompagnami in bagno che sto male, ti prego, svengo, aiutami". Lei aveva deciso che era l’unico modo attraverso il quale gli altri la potessero amare. E putroppo si capì anche come mai.

Iris aveva frequentato un corso di danza per un lunghissimo periodo, prima di iniziare il liceo e quindi prima che io la conoscessi, corso del quale non ci aveva mai parlato. La pesavano, ci raccontò sua madre, la sgridavano se aumentava di peso. Lei la obbligò a lasciare il corso di danza appena apprese ciò che le facevano, ma la vocina dell’inadeguatezza ormai era dentro di lei, e probabilmente non se ne andrà più.

Quando si è adolescenti è veramente difficile. Si è una sorta di non-adulti e non-bambini che la società usa e riusa a proprio piacimento. Per la moda, i film, l’amore, le amicizie. Come devi essere? Guarda, lo leggi sul libro di Moccia. Come devi parlare? Tranquilla, te lo dice la televisione.

Non tutti sopravvivono a queste imposizioni. Ci si adeguano, certo, ma c’è chi, come Iris, ha un’interiorità che si ribella. La bulimia è l’espressione più grande della contraddizione sociale. L’essere che si ribella all’imposizione da parte di una società che non ci accetta con i nostri unici e bellissimi difetti.

Al di là della storia personale di Iris, per noi cinque ragazze che le siamo state vicino, è stata uno specchio. Tutte noi, dopo che Iris lasciò la scuola per concentrarsi su una terapia più seria in una struttura più adeguata al suo problema, ci siamo chieste perché ci fossimo date tanto da fare per il suo bene: perché noi vedevamo noi stesse in lei. Dopo aver capito questa cosa, io e le altre non siamo più state amiche come prima, non abbiamo retto un colpo che non si può spiegare con le parole.

Ci siamo rese conto di essere state tutte, più o meno, delle mancate bulimiche. Ognuna di noi ha riversato l’inadeguatezza in un altro aspetto della propria vita. Io non mi lascio mai in pace, per esempio. Non sono mai soddisfatta di come faccio le cose. Di come studio, lavoro, amo. Di come vivo.

Ho saputo recentemente che Iris non si è ancora ripresa dalla malattia. Che ora è alta centosettanta centimetri e pesa quaranta chili, meglio di prima, che ne pesava trentotto. Quest’anno ha deciso di iscriversi di nuovo al liceo, e cercare di prendere il diploma.

PROBLEMA

Quanto pesano gli effetti del malessere personale, causati da una evidente superficialità sociale?

RISOLUZIONE

Tutti i chili che tutte le ragazze come Iris non hanno più.

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio.


2 Responses

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  1. roz says

    storia terribile…

  2. Mat says

    E’ una storia davvero triste, io sarei andato dall’istruttore di danza e l’avrei preso a calci in culo.