di Feminoska
Mi sono allontanata dalla quotidianità per qualche giorno, allo scopo di ricaricare le batterie dopo un anno faticoso.
Non ho voluto con me null’altro che il rumore del mare e un libro difficile, che credevo avrei terminato in pochissimo tempo, e che invece ho dovuto sorbire a piccole dosi: il titolo è “Donna contro Donna”, o meglio in inglese “Woman’s inhumanity to woman”… un libro – quasi un’arma – capace di aprire in me profonde ferite. Ritorno, e mi immergo nuovamente negli errori e orrori quotidiani. Mi colpisce in particolare leggere, in più di un documento, quanto riguarda il supposto “silenzio delle donne”, e ancor più mi lascia perplessa il fatto che tale grave accusa di inerzia venga propugnata da altre donne: e non donne qualsiasi, donne che si dichiarano “dalla parte delle donne”, ma che mi danno l’impressione di comportarsi come dei olimpici, che con disprezzo guardano alle tragedie in cui si dibattono le mortali inermi.
Poche violentissime parole: “il silenzio delle donne”,“debolissime”, “complici” bastano a scandalizzarmi, torturarmi, farmi provare una rabbia inaudita.
Come essere umano, da sempre rivendico il dovere etico di trasformare il potere da sopraffazione a sforzo propulsore verso un diverso modo di concepire e agire l’esistenza. La salvezza dell’oppresso non può e non deve dipendere solo dalla sua personale capacità di opporsi alla violenza: l’oppressore è anch’esso un essere umano, e per pochi oppressori efferati e consapevolmente crudeli, tanti ne esistono di inconsapevoli.
La continua sopraffazione che caratterizza i nostri tempi, agita più o meno consapevolmente in nome dell’interesse personale, è la cifra con la quale si manifesta la totale mancanza di sviluppo etico dell’intera umanità. La vita appare davvero ormai una continua guerra combattuta su molteplici livelli: a chi dice che lo è sempre stata rispondo che avrebbe potuto andare diversamente.
A chi accusa le donne di essere silenziose rispondo con convinzione: le donne non sono silenziose, ma ridotte al silenzio … E in questo c’è una grossissima, insopportabile differenza. Molto spesso ciò avviene con la complicità di persone – uomini e donne – che, se non riducono al silenzio, quantomeno sono o diventano sorde al grido di dolore.
Le donne sono sempre più isolate nel loro dolore. Lo sono da sempre, e ogni volta che hanno cercato di opporsi a questo stato di fatto, molte hanno dovuto pagare con la loro stessa vita il legittimo desiderio ad una vita dignitosa e autodeterminata.
Alle donne è da sempre tolta la voce. In alcuni casi in maniera eclatante, in altri in maniera più sottile. E’ dare veramente la voce, lasciar parlare per poi non ascoltare – o farlo selettivamente secondo i propri scopi – denigrare, mettere in dubbio, manipolare la realtà? La voce delle donne è sistematicamente preda di un gioco di retorica che ha come scopo quello di distorcere e tacitare levoci del dissenso, le voci del dolore.
Una donna denuncia una violenza, e viene messa alla moderna gogna, utilizzata come capro espiatorio dagli uomini per mantenere la propria impunità di classe, da alcune donne per un crudele gioco di “mors tua,vita mea” tanto in voga tra chi non ha la forza o l’opportunità di farsi valere davvero.
Quelle che continuano a indignarsi e cercare la forza di parlare vengono tacciate di essere estremiste radicali (perciò pazze, perciò inascoltabili). Altre soccombono schiacciate dalla pressione sociale, e in alcuni casi vengono addirittura sbranate dalle loro simili come animali feriti in un branco di carnivori.
Ci sono anche quelle che in qualche modo si adeguano, e sono quelle con le quali vorrei cercare un dialogo.
E’ molto difficile farlo, perché questa categoria è formata da persone che apparentemente dicono di sentirsi vicine alla categorie degli oppressi, quando poi nella realtà, essendo riuscite a svincolarsi dalle miserie più nere di tale condizione, dimostrano una totale mancanza di qualsiasi capacità empatica (falso feticcio da sempre affibbiato alle donne come caratteristica innata).
Personalmente, al contrario, reputo l’empatia non come un dono naturale di “genere”, ma bensì come uno sforzo razionale, estremamente lucido e faticoso, di scollarsi di dosso la propria pelle per entrare in quella di un altro. In una pelle scomoda, sicuramente, una pelle lacerata e piena di tormenti.
Dov’è il senso di responsabilità personale di chi si erge a giudice, tirandosi comodamente fuori dall’impaccio? Chi scrive del silenzio delle donne, cosa fa concretamente di positivo e propositivo per far sentire le loro voci, tramite la propria se necessario? Quali iniziative, dal suo osservatorio privilegiato, porta avanti in loro nome? Le donne sono state ammutolite e ridotte in schiavitù: come animali rinchiusi da troppo tempo, anche quando vengono liberate dalla prigionia rimangono ferme, terrorizzate da troppi orrori vissuti sulla propria pelle. Dunque sarebbero per questo motivo da biasimare, invece che da sollevare, incitare, sostenere? Parole come quelle che ho letto, che ho sentito, sono armi affilate regalate al violento, all’oppressore.
Il rinforzo che questa pratica di rimprovero sdegnoso dà allo status quo è enorme, la responsabilità di simili atti, di simili parole è raggelante: del resto qualunque oppresso si trova nella sua condizione in virtù della repressione del violento, del silenzio dell’indifferente e della collusione del debole.
Ghandi diceva “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”. Dobbiamo davvero esserlo, incarnarlo, non impedirlo con noncuranza. Se davvero crediamo in quell’ingiustizia, prendiamo voce per prime con la nostra vita per le donne. Le maggioranza delle donne non ha più voce, o non l’ha mai avuta? Allora gridiamo noi per loro, e gridiamo più forte che mai!
Gran parte della salvezza dell’oppresso sta non solo nella sua forza di reagire, ma soprattutto nella ferma convinzione di ogni essere umano di avere il dovere etico di dare voce, forza e salvezza a chi non ne ha.
Se l’antica sorellanza, che spero mai del tutto cancellata, deve ancora dimostrare qualcosa, forse è proprio l’impegno nel realizzare l’enorme sforzo etico di lasciarsi alle spalle dinamiche di potere così abusate: e quando le donne cadono, aiutarle a rialzarsi, quando ammutoliscono, donare loro la propria voce, la propria forza, la propria incrollabile convinzione di poter determinare quel cambiamento così fortemente desiderato.
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—>>>La foto viene dall’album di Imprecario della manifestazione contro la violenza maschile sulle donne del novembre scorso.
Ciao PTQ, forse mi hai frainteso: anche per me l’essere inconsapevoli nell’epoca dell’informazione è il più delle volte un bel paravento utilizzato allo scopo di non cambiare di una virgola il proprio modo di guardare all’esistenza. E se è vero che molte cose non ce le fanno sapere, molte altre invece che dovrebbero scatenare un’indignazione travolgente passano sotto un vergognoso silenzio…
SallyG,
siamo veramente tutte ma proprio tutte con te! :)*
Ti abbracciamo forte forte e nel caso avessi qualcosa da dire, avessi bisogno di parole, gesti, di metterti in contatto con compagne che stanno nel tuo territorio (se ci scrivi e ci dici dove sei possiamo indicarti collettivi di compagne alle quali riferirti)…
insomma non stare da sola, non sentirti sola, non sei sola. in qualunque modo vada comunque tu hai fatto la differenza, hai già vinto. hai deciso che non è colpa tua e che hai subito un’abuso.
ti abbracciamo ancora
e grazie a te di questa battaglia che condividi con noi
non lo fai solo per te ma per tante come te e come noi
ciao
a presto
“nat-alias ma dici proprio che dovremmo rispondergli?”
Direi proprio di no. Perché ho la vaga sensazione che quel “inseminatori” e “avere tra le mani una giovane ragazza nuda senza impazzire per trovarne una, esercizio che per il maschio medio normalmente significa trenta serate nei locali, cento abbordi sempre difficili, e altre mille assurde peripezie che noi uomini dobbiamo inventarci per avere finalmente una o due magre occasioni di sesso”, già di per sé risponde ampiamente ai requisiti che dovrebbe possedere “una donna” (più che altro “una cosa”, “un coso”, boh, “qualcosa”!). Quindi, niente commenti, dal momento che è un a-priori evidentissimo, il suo: voglio una donna che me la dà senza “tanti problemi” (cioè, tradotto, senza parlare e pensare, prima di tutto). Che c’entra con il fatto di non rispondergli? Mi spiegate come si fa a rispondere ad uno che già si è risposto da solo (l’a-priori implica che la donna deve concedersi, punto, senza parlare tanto, quindi anche noi, che parliamo a fare sul suo blog)?
Ciao, ciao care ragazze. Vi leggo da una vita. E solo oggi ho deciso di andare a denunciare la persona che mi stuprò tanti tanti anni fa. Io spero che andrà bene, che giustizia sarà fatta, ci voglio credere, non posso lasciar cadere tutto così. In più ho solo vent’anni. E me ne sento dentro duemila. Lo stupro invecchia l’anima, perchè il tuo corpo è stato violato.
Io spero che le cose cambieranno. Io credo però che se una persona come me trova la forza per fare un’azione simile, bè, possiamo davvero cambiare l’ordine delle cose. Non smettiamo mai di lottare. Grazie per ogni singola parola che mi ha rinforzato più che mai.
Grazie compagne.
SallyG
Ciao!
Non so come ho fatto a finire qui, ma mi piace quello che scrivi/ete (non so quanti siano gli autori).
Ad un certo punto dici:
“Come essere umano, da sempre rivendico il dovere etico di trasformare il potere da sopraffazione a sforzo propulsore verso un diverso modo di concepire e agire l’esistenza. La salvezza dell’oppresso non può e non deve dipendere solo dalla sua personale capacità di opporsi alla violenza: l’oppressore è anch’esso un essere umano, e per pochi oppressori efferati e consapevolmente crudeli, tanti ne esistono di inconsapevoli.”
Ecco, non condivido del tutto quest’idea.
Mi spiego meglio, trovo l’inconsapevolezza colposa.
Magari non dolosa, ma colposa.
Questo non vuol dire che vado alla ricerca di un’efferata vendetta su tutti gli oppressori.
Anzi!
Muta solo il mio giudizio di merito.
Poi condannare l’oppressore a vivere una vita senza oppressioni sarebbe già una bella cosa.
Di nuovo, bel blog…
Ciao Ciao
nat-alias ma dici proprio che dovremmo rispondergli?
l’articolo in questione è questo. a me sembrano un cumulo di stereotipi e luoghi comuni.
parla di donne programmate a preservare la specie, di donne che controllano l’offerta di sesso, di donne che in definitiva devono dargliela gratis senza che lui faccia fatica. cioè: lo disturba avere un rapporto sessuale paritario dove lui sceglie e la donna pure, libera quindi di mandarlo a quel paese se non le piace e poi lo disturba comprare sesso sbrigativo.
così davvero: il problema di paolo barnard è trombare gratis? invece che parlarne con le donne perchè non ne parla con i suoi simili e perchè non lascia le donne libere di scegliere cosa fare e non fa una crociata per legalizzare la prostituzione?
mah.
e poi dicono che certa gente è intelligente!
abbraccio a te cara 🙂
pardon sorelle…
dimenticavo …il post in questione ha titolo “Sono andato a puttane” o qualcosa del genere…
🙂
Buongiorno a tutte voi, vi leggo spesso con immenso piacere…
Oggi ho letto un articolo di paolo bernard sul suo sito, ma potrete trovarlo anche ampiamente commentato, poichè egli desidera aprire un ampio dibattito soprattutto con le donne, su comedonchisciotte…
Il vostro intervento mi sembra assolutamente indispensabile, riservandomi di dire la mia!
A presto!
Un abbraccio da sorella del sud.