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Le donne non devono accontentarsi mai

Update: appena finito di scrivere questo post ho letto di un’altra donna morta ammazzata dal suo uomo. A Napoli, per gradire.……………………….

A palermo un militare ha sparato ad una ragazza e poi si è ammazzato. Lei è stata operata ed è ancora viva. Lui è morto. Il motivo è sempre lo stesso: lei voleva lasciarlo e lui – che tutti definivano un ragazzo "normale" – normalmente le ha sparato. Qui potete vedere il tg regionale nel quale viene intervistata la madre della ragazza che si dichiara incredula per quello che ha fatto l’ex di sua figlia.

Una volta di più si dimostra che per le donne il pericolo è molto più spesso dentro casa, tra i suoi affetti, nella cerchia di amicizie. Ancora una volta si capisce che le donne non sono per nulla brave a percepire il pericolo quando ce l’hanno accanto. Ciascuna delle donne morte o sopravvissute ad atti di violenza maschile, violenza di genere, deve il rischio che ha corso alla campagna di rassicurazione che le istituzioni irresponsabilmente compiono spostando l’attenzione verso il mostro che viene dall’esterno.

Appena ieri hanno trasmesso l’ennesima puntata di Amore Criminale, su rai tre, con una Camila Raznovic che regala elementi di riflessione stando attenta a non ferire le famiglie di provenienza ma commettendo spesso lo stesso errore delle campagne istituzionali: la separazione tra l’uomo "normale" e quello con un lato oscuro, come lo chiama lei. Sarebbe forse più opportuno dichiarare che ogni uomo, e certamente anche ogni donna, è un soggetto complesso con zone variamente cromate, una persona che ha limiti e punti di forza, fragilità e nevrosi. 

Tutte le storie raccontano stranamente che ad un certo punto lui è cambiato. So per certo, per averlo vissuto personalmente, che quello che cambia è la nostra percezione, è il fatto che cominciamo a fidarci del nostro istinto. Siamo noi a risvegliarci, a spogliarci di uno strato enorme di luoghi comuni e stereotipi, a liberarci della nebbia che tutta una cultura ci ha consegnato assieme alla nostra vita, a fare la differenza tra quello che vogliamo e quello che non ci meritiamo, a destrutturare i segni e a ricomporli in un modo completamente diverso.

Anche le storie che racconta la Raznovic seguono questa narrazione, come se il racconto si risvegliasse con le donne protagoniste. Qualche volta però le famiglie offrono una analisi matura, semplice e terribilmente chiara.

Ieri sera si raccontava di Marianna di Palagonia, un paese in provincia di Catania. Una ragazza coraggiosa che aveva smesso di lavorare per chiudersi in un rapporto viziato con un ragazzo tossicodipendente. Contrari i suoi genitori l’hanno comunque sempre aiutata economicamente. Le hanno dato appoggio con i figli, tre in tutto, e tuttavia le hanno imposto un atteggiamento coerente. La madre, una donna che in dialetto locale e in un italiano stentato ha detto cose che mi hanno fatto piangere, ha scoperto tardi che lui la picchiava regolarmente e quando la figlia volle lasciarlo la accolse a casa, assieme ai tre figli, imponendole di non tornare più indietro.

Marianna ricominciò a lavorare e denunciò suo marito, prima per percosse, maltrattamenti e poi per le mille volte in cui lui la molestava, la inseguiva, tentava di entrare in casa di lei buttando giù il portone. Quando sembrò che lui si fosse calmato lei acconsentì a fargli vedere i figli. Nel frattempo aveva già avviato le pratiche per la separazione legale e la richiesta di affido dei bambini. 

Quei figli non tornarono più. Lui non glieli riportò e li tenne chiusi in un buco di appartamento facendoli mancare da scuola per mesi fino a che non fu il giorno dell’udienza e allora i bambini furono portati, ben addestrati a fare quello che avrebbero fatto dopo, in tribunale e lì mostrarono di avere terrore della madre. Lui riuscì perciò ad ottenere l’affido dei tre figli. A lei fu concesso di vederli tre volte a settimana ma ogni volta che lei andava lui proibiva la visita o si faceva trovare con il coltello in mano e con atteggiamento intimidatorio. Lei fece ricorso e per ben tre volte il giudice affidò a lui i bambini senza considerare il fatto che lui fosse un eroinomane grave, senza lavoro, violento con la moglie, che li aveva sottratti con la forza e che li teneva in uno stato pietoso. Per l’ultima udienza la storia stava per essere ribaltata e fu allora che lui bloccò la ex moglie che stava in macchina assieme al padre, lo ferisce e uccide lei con tantissime coltellate.

E’ stato condannato in primo grado a vent’anni e ancora ritiene di aver fatto la cosa giusta.

La violenza di quest’uomo espressa nella guerra per l’affido dei bambini somiglia alla violenza di tanti altri uomini, alcuni dei quali si dilettano nell’esercizio di ledere la credibilità delle donne per vincere queltipo di guerre negando che loro sono stati molesti, violenti con le loro ex mogli o con i bambini. Questo tipo di uomini dice spesso che le donne mentono. Se fate un giro nel web trovate tanti siti che sparano a zero sulle donne. Alcuni tra questi si interessano alla causa delle associazioni di padri separati.

Già gli avvocati matrimonialisti italiani hanno detto a proposito di affidi e soprattutto di affidi condivisi, spesso motivo di prosecuzione della violenza inflitta dall’ex coniuge, che i giudici non dovrebbero concedere nulla ai mariti e padri violenti. I bambini non dovrebbero essere MAI affidati a padri violenti. Gli avvocati che per avere la parcella difendono questi soggetti e sostengono nelle aule di giustizia che le donne mentono, tesi espressa per favorire il cliente nell’ottenimento dell’affido, sono responsabili delle conseguenze che tutto ciò causa.

Per concludere la storia di Marianna: i bambini sono stati affidati ad un suo cugino che vive altrove. I genitori di lei restano con un dolore immenso e il padre soprattutto resta con la disperazione per non essere riuscito a difendere sua figlia mentre il suo assassino le toglieva la vita davanti a lui.

La seconda storia di cui hanno parlato è quella di Annalisa. Tutt’altro contesto, ceto sociale differente, ambiente colto. Lei una cantante lirica e lui un operatore di una di quelle organizzazioni di volontariato che offrono assistenza e soccorso (tipo *misericordia* per intenderci).  Lei si innamora di lui e lo sposa, anche in questo caso i genitori hanno accolto la notizia con molto scetticismo.

Lui comincia a picchiarla per gelosia. Una volta la schiaffeggia in pubblico davanti agli amici. Poi chiede scusa, dice che era geloso, dice che lo aveva fatto perchè la amava, che non l’avrebbe fatto più e lei continua la storia. Il matrimonio diventa un mondo chiuso. Tutte le volte che lei va a fare il suo lavoro lui la picchia. Rischia di farle perdere una figlia e poi la percuote regolarmente davanti alla bambina quando lei è nata.

L’ultima volta che Annalisa fu picchiata stava quasi per morire, e anche in questo caso riconosco tante analogie con molte altre storie, compresa la mia. Fu sua figlia a salvarla mordendo il polpaccio del padre che premeva un cuscino sulla faccia di lei. Sicchè lui – racconta la donna sopravvissuta – uscì dal trance e mollò la presa.

Lei ha denunciato tutto e ha dovuto subire anche una perizia psichiatricaperchè è questo che fanno alle donne che denunciano di avere subito violenza – che verificasse la sua attendibilità. Ha ottenuto l’affido della bimba e lui è stato rinviato a giudizio.

Anche in questo caso vediamo come la garanzia di difesa per gli imputati si trasforma in una criminalizzazione delle donne maltrattate. 

E’ un paradosso che nel 2009 ancora le donne debbano dimostrare di dire la verità. Assurdo è che la pratica delle associazioni dei genitori separati, così come di certa avvocatura e di certi giudici, inclini a mettere l’istituto della famiglia al di sopra della stessa vita delle donne, stiano rafforzando – a livello giuridico – il grado di misoginia nella maniera in cui queste inchieste sono trattate e le garanzie a vantaggio del marito maltrattante e totalmente a svantaggio della moglie maltrattata.

Questo è tanto vero quanto più considerate la gravità di certe sentenze tutte tese a giustificare la violenza maschile ammettendo come attenuanti persino parametri comportamentali come la gelosia. Il rischio è davvero il ritorno al delitto d’onore e per le donne l’unica garanzia di credibilità sta nella loro morte. Ovvero, i giudici credono alla gravità del problema solo quando se lo trovano di fronte per intero. Di prevenzione non si parla mai.

Allo stato attuale le donne possono contare su scarsissimi provvedimenti che le tutelano dentro casa. I mariti hanno sempre la meglio, in termini giuridici o definitivamente mortali.

Sul tema della gelosia poi si investe in chiave romantica. E’ argomento che viene sollecitato come fosse un ingrediente necessario per il buon andamento del rapporto. Nel 2009 le stesse persone che pensano che l’omosessualità è una malattia pensano anche che la gelosia è una prova d’amore.

Posso dirvi personalmente cos’e’ la gelosia oppressiva. Non è una dimostrazione di amore, l’amore inteso come atto di interesse vero, spassionato, sincero, altruistico, rispettoso verso l’altr@. Non è un elemento che rispetta le tradizioni se non quelle portate avanti dal più becero maschilismo. La gelosia non va bene ne’ in quantità industriale ne’ – come amano "insegnare" certi rotocalchi televisivi pomeridiani – in piccole quantità. La gelosia è il Male. E’ l’espressione più immediata dell’egoismo. E’ l’egocentrismo paranoico in versione shakespeariana. E’ possesso. E’ la spinta a considerare le donne oggetti per il proprio benessere (con te sto bene! lei come proiezione di se’), per la propria felicità, per il proprio equilibrio mentale. E’ molestia psicologica perenne. E’ distorsione che limita le donne, le rende insicure, stravolge le loro vite le obbliga a rinchiudersi, le fa sentire in prigione.

La gelosia nella nostra società è tuttavia incoraggiata, perseguita, giustificata come si giustificano molte altre spinte alla limitazione delle altrui libertà ai fini dell’ottenimento del totale controllo su ogni soggetto interessato. La gelosia non è un attenuante ma un aggravante. Parliamo di soggetti che vivono in costante stato di dipendenza oppressiva dell’altro. Che reagiscono alla fine dei loro rapporti come reagirebbero ad una interruzione della somministrazione di eroina. Sono persone moleste mentalmente dipendenti dalle persone delle quali si servono. Persone delle quali non gli importa nulla a parte il fatto che restino lì per loro, a farli stare bene, a farsi massacrare senza tuttavia manifestare mai il desiderio di vivere un’altra vita. Oggetti, decorativi, arrendevoli, mansueti, ubbidienti. Solo oggetti, utensili. Buone per fare figli ed accudirli e per restare a disposizione del loro marito e padrone per tutte le evenienze. Oggetti che non hanno altra scelta se non quella di restare oggetti. Schiave che se tentano di ribellarsi muoiono perchè il marito follemente geloso che diceva di amarle in realtà ama solo se stesso ed è al suo dolore che pensa quando le punisce. Di loro, di lei non gli frega niente.

Gli uomini che dicono di difendere le "nostre donne" spesso sono proprio così. Fingono di proteggerle fino a che sono di loro proprietà ma guai a pretendere che esse siano difese dalla loro violenza. In quel caso tutti i ragionamenti che teorizzano intenzioni roboanti del tipo "mi farei ammazzare per te" finiscono con una decina di coltellate sul petto della donna per la quale dicevano di voler morire. Poi, se sono ricchi, prendono un avvocato che li lascia liberi di compiere altri delitti giochicchiando in aula tra perizie e controperizie per assicurarsi che il figlio di papa’ ne esca pulito e con la convinzione che la donna uccisa meritava quello che lui gli ha fatto.

Alla fine della puntata di Amore Criminale la Raznovic ha intervistato Gianna Schelotto, da poco in libreria con "Un uomo purchè sia". La Schelotto ha parlato di una certa tendenza al masochismo di molte donne (e io avevo parlato di masochismo femminile in alcuni post). Secondo lei le donne sono state educate a prendersi cura dell’altro, bambini, famiglia, anziani, e farsi carico della debolezza dell’altro le ha sovraesposte ad assumersi aspettative che tutti ripongono in loro, non ultima quella di far funzionare la loro famiglia pena la vergogna. Annalisa, nella seconda storia del programma televisivo, ha più volte detto di non aver parlato mai ai genitori della sua situazione perchè si vergognava di ammettere di avere sbagliato. Come se non vi fosse più ritorno. In trappola perchè senza via d’uscita.

Ovviamente c’e’ sempre una via d’uscita e si può certo tornare indietro nelle proprie decisioni perchè farsi carico dell’altro, immaginando anche di poterlo correggere (che presunzione!) senza riuscire a cambiare noi stesse soprattutte in quelle inclinazioni di insicurezza e mancanza di autostima che ci espongono a rapporti rischiosi, non significa farsi ammazzare. Prendersi cura dell’altro significa avere ben presente che l’egoismo di certi uomini prende spazio sottraendolo alla nostra abnegazione (quanto più concediamo spazio quanto più ne prendono). E l’amore non può essere – come ha detto la Schelotto – una trappola. Non ci può essere un rapporto di tipo claustrofobico che non si avvale dell’influenza di parenti e amici, di altra linfa umana che lo attraversa per renderlo condivisibile, socialmente compatibile con il mondo degli affetti che non temono di essere scoperti a fare cose cattive. Un rapporto chiuso è un rapporto morboso e molesto. E’ un rapporto pericoloso per le donne. Questo è bene che voi lo sappiate.

Qualunque sia la vostra idea, qualunque merito voi assegnate al concetto di famiglia sappiate che in nome di questo istituto si continua insistentemente a banalizzare il fenomeno della violenza maschile dentro le case fino a renderlo invisibile. Sono i dati che ci rivelano invece quanto grave sia il problema.

La scelta della difesa dell’istituto familiare come ammortizzatore sociale, comunque obbliga le istituzioni a garantire che le donne fuori e dentro le famiglia abbiano piena garanzia di esistenza felice. Il nostro obiettivo è la felicità. Il nostro desiderio è la felicità. E’ un obiettivo politico perchè è un obiettivo personale, di tante donne. Tale obiettivo dovrebbe essere contenuto nei programmi elettorali di ogni partito. In realtà in quegli stessi programmi invece c’e’ scritto – parafrasando il titolo del libro della Schelotto –  "un uomo, un figlio, una famiglia purchè sia". E’ una eterna spinta a convincerci che dobbiamo agire nella norma e che dobbiamo accontentarci in uno Stato in cui parlare di libertà di scelta e non accontentarsi per le donne è considerato un atto eretico ed eversivo

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio.


2 Responses

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  1. fikasicula says

    Ale cara
    non sai quante volte ho sentito o visto accadere storie come la tua.
    ragazzine ddivate (cresciute) in funzione di un matrimonio con l’assicurazione che lui le aveva prese da vergini.
    era destino di tante di noi.

    il matrimonio è un contratto che sancisce doveri che tu devi assolvere.

    se non c’e’ un motivo per cui la fai non è una scelta utile per tante. normalmente è un modo per chiudere in casa le donne e lasciarle a servizio di un solo uomo…
    come avere l’esclusiva sulla proprietà di un corpo.

    se non è una scelta che fai perchè lo vuoi la convivenza va già benissimo.

    una buona giornata a te cara
    e grazie per aver condiviso questo tuo racconto
    un abbraccio

  2. Ale(ssandra) says

    Quanta verità.
    E’ da un po’ che cerco di far capire la pericolosità dell’istituto del matrimonio (intenso come forma giuridica-sociale-culturale legata ad una possibile/potenziale mancanza di libertà [non parlo di egoismo]) e delle conseguenze che potrebbe portare con sé, senza avere una consapevolezza non soltanto legale, ma anche culturale, sociale, di ciò che potrebbe implicare. Parlo anche della famiglia, naturalmente.

    Ti racconto la mia storia. Ero fidanzata da tredici anni con un mio coetaneo. Ebbene questa persona ad un certo punto decise che dovevamo sposarci, ma non per una scelta consapevole, no, soltanto perché la sorella si era sposata da poco così come molti suoi amici… e perché, secondo un luogo comune, “dopo anni e anni di fidanzamento o ti sposi o ti lasci”. Alle mie spalle andavano, lui e la sua combriccola (sorella, madre, ecc.), a cercare un luogo (ville, locali, ecc.) in cui poter essere ospitati per il giorno delle nozze, e avevano anche intercettato un negozio per il vestito. Quando mi dissero di queste loro scelte, rimasi un po’ tramortita (ero profondamente ingenua, all’epoca, una idiota), ma continuai a stare insieme a lui e a cercare di mandare giù il rospo. Finché iniziai ad avere delle crisi. E cosa accadde? Che lui si scopò un’altra che aveva già un lavoro, subito dopo avermi giurato amore eterno. Perché lui voleva sposarsi ed io ero soltanto d’impiccio (con le mie crisi).

    Dopo qualche tempo, infatti, venni a sapere che lui mi tradiva e si stava già lavorando l’altra, in mancanza di una mia accettazione.

    Per me il matrimonio, e la famiglia, sono diventati il luogo del terrore. Li sconsiglio fortemente, non soltanto alla luce della mia esperienza, ma anche per avere effettuato ricerche ed aver letto testi in materia, anche giuridici. Naturalmente uno può fare ciò che vuole, nulla di sbagliato, ma io invito tutti a capire fino in fondo cosa desiderano dalla vita, non cosa gli altri desiderino per loro.

    Ti auguro una buona giornata e ancora grazie per i tuoi scritti. (Sempre la Ale di Poser 🙂 )