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Ne’ vittima ne’ colpevole: fotografia di una violenza privata

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Prima che riuscissi a liberarmi e tornare a vivere, capitava una cosa che non sono mai riuscita a fotografare tutta assieme.

Quando vieni picchiata all’interno di un rapporto di coppia ti capita di pensare che è colpa tua. Si sa, lo dicono in tanti. Quello che però si conosce poco è quanto succede davvero nella mente di chi subisce violenza.

Vivevo con una persona che un po’ avevo scelto e un po’ no. Quando capii che si trattava di un errore ci fu chi mi disse che erano cazzi miei, dovevo subirne le conseguenze.

Tanti lividi e ferite, ricoveri e tentati omicidi, stupro, molestie. La ferita più grande però fu determinata da una azione che non riuscirò mai a dimenticare.

Io amo profondamente i libri. Ho un rapporto feticista con essi. Mi piace l’odore di un libro nuovo, l’inchiostro, la consistenza della carta, i caratteri. Mi lascio sedurre dai libri. Ne leggo in gran quantità e li considero un pezzo fondamentale di me. L’unica “cosa”, intesa come bene, della quale mi importa davvero. Non mi importa di vestiti, scarpe, cosmetici, mobili, forse un po’ del computer ma se dovessi perderlo in fondo non è importante la macchina tanto quanto le idee di chi ci scrive dentro e quelle non può togliermele nessuno. I libri però per me sono fondamentali. Con essi avrei custodito le cose che ho scritto, quelle che tanto tempo fa non potevo riversare in rete e dunque restavano in versione cartacea.

Scrivo, immagino, invento, racconto storie dall’età di sei anni. Scrivere come respirare: non potevo, non posso farne a meno. Ho sperimentato stili, imitato i grandi senza tuttavia riuscirvi, ci fu un periodo che mi allenavo a scrivere come dante. Adoro l’evoluzione dei linguaggi, il ritmo, l’incalzare delle parole, la rapidità delle frasi. Riesco a emozionarmi se una sola parola mi dice quello che io non riuscirei a dire con una frase intera. Ammiro, stimo, venero chi è in grado di usare la scrittura come strumento di comunicazione perfetta. Se un libro è scritto male lo leggo solo se spinta dalla curiosità per il suo contenuto. Se una conversazione è stanca, fiacca, non mi suscita attrazione, non stimola la mia immaginazione, se non c’e’ gara dialettica, intelligenza verbale oltrechè mentale, ho veri e propri problemi di interazione. Poche frasi e dette bene. Troppe parole dette male mi rendono intollerante. E’ un mio limite. Capisco chi vorrà fare lo stesso con me.

Quell’uomo non sapeva dire. Non leggeva quasi niente. Però mi conosceva bene. I persecutori conoscono bene la psicologia delle proprie vittime.

La violenza più grande che lui commise nei miei confronti fu quella di cancellarmi come una gomma fa con un errore di ortografia.

Bruciò i miei scritti e i miei libri. Li fece a pezzi per provocarmi più dolore e poi accese il fuoco. Credo fu quello il momento in cui capii che non sarei più riuscita a perdonargli niente. Aveva cancellato anni e anni di scrittura con un cerino acceso. Si trattava di me. La parte di me inedita. Quella alla quale non si può rinunciare perchè imparare a esprimere le proprie emozioni e ad esercitare la propria immaginazione costa una fatica enorme.

Ciò nonostante dovetti restare con lui. In uno dei rari momenti di riconciliazione, prima della chiusura definitiva del nostro rapporto, lui si disse disponibile a lasciarmi libera di scrivere. Gli fui talmente grata che organizzavo tutta la nostra vita, fatta di casa, figlia, cura di lui, in tempo record. Tutto alla perfezione pur di riuscire a ricavare qualche ora per scrivere. La scrittura diventò una tragicommedia e quella tragicommedia fu messa in scena da tanti ragazzi e ragazze che l’avevano ispirata. Mi chiesero di aiutarli alle prove e ottenni il permesso dal mio compagno. Tornavo a casa in orario, preparavo la cena per tempo e strattonavo nervosa mia figlia se quella si lamentava perchè volevo pettinarla troppo in fretta. Ricordo che mia madre faceva la stessa cosa con me. Tutto ruotava attorno alle esigenze di mio padre che non doveva mai essere deluso. Se per colpa mia capitava di ritardare il pranzo mia madre si arrabbiava con me che non le consentivo di rispettare quell’obbligo e non con mio padre che non era in grado di muovere un dito per cucinare quello che gli serviva.

Una sera, ero stremata, lui mi disse che la scrittura, le prove, tutto mi stava prendendo troppo tempo. Stavo trascurando i doveri della famiglia. Io avevo vent’anni e lui solo uno di più. I suoi doveri si riducevano quasi a niente.

Mi disse che era il momento di fermarmi. Chiesi qualche settimana di tregua giacchè non potevo abbandonare i ragazzi e le ragazze e la data della prima era vicina. Lui la concesse ma fornì a se stesso l’alibi per poter essere più nervoso e impaziente. Si sentì in diritto di picchiarmi un paio di volte e di spiegarmi che io non ero nessuno, che si trattava di una sciocchezza, che senza di lui non sarei stata niente, che se lui si fosse stancato nessuno mi avrebbe voluta più.

Saltai qualche prova per i lividi e arrivai infine alla prima. La sala gremita, i ragazzi e le ragazze impazienti, andò quasi tutto bene. Lui venne persino ad applaudire. Godette di una fetta di successo che pensava di aver meritato per il lungo sacrificio, per la “pazienza” mostrata, per essere stato testimone di quello che riteneva un capriccio: sulla giostra per un giorno e poi a casa a fare la moglie e la madre senza grilli per la testa. Di quella giornata conservo gelosamente il ricordo, come di una affermazione di una piccola parte di me ottenuta con grandissima tenacia, determinazione, difficoltà. La ricordo anche come il momento che mi permise di non tornare indietro. Dopo quel giorno la separazione fu più netta. Dopo quel giorno rischiai davvero di morire.

Quella giornata rimase perciò il mio ricordo di mille vite fa. Ho una foto. Non conosco la donna che vi è ritratta. Dimostravo trent’anni di più. Avevo uno sguardo stanco, rassegnato, triste. Lui non tollerava nessun guizzo luminoso, nessuno sprazzo creativo. Di mestiere: soffriva nel vedermi soddisfatta o anche lontanamente felice.

Senza voler semplificare: un uomo che ti impedisce di vivere ha paura, non sa gestire le proprie ansie, ha un cattivo rapporto con i propri desideri, non riesce a percepire la distanza tra se e l’altra. Pensa che quello che va bene a lui debba andare bene per te. Nonostante questo se nutri dei sentimenti per lui non riesci neppure a distinguere tra le sue cattive azioni e i tuoi livelli di corresponsabilità. Non riesci neppure a parlarne per anni perchè ricordi sempre la sua espressione disgustata, delusa, rammaricata, senza rispetto, nel momento in cui l’hai denunciato la prima volta.

Perchè in fondo, pensi sempre che lui debba quasi approvare, autorizzare persino le tue scelte di ribellione. In fondo pensi che ti fa male vedere nei suoi occhi la disperazione, la sofferenza di chi, senza capire, urla perchè gli stai facendo questo.

Dopo molti anni spesso ancora sopravvive il pudore, la vergogna, il timore di svelare, raccontare. Il senso di colpa resta e scalfisce e diventa l’elemento che rende insicure tante donne.

Chi è stata vittima di violenza ha più possibilità di subire altre violenze. Ci vuole tanto tempo per capire di essere dalla parte giusta. Tanto tempo per dirsi con chiarezza dove stanno le responsabilità, come vanno ripartite, che ruolo avete avuto voi. Si tratta di confessioni crude, che feriscono innanzitutto voi stesse perchè dovrete svelare che in quel rapporto voi c’eravate in quanto soggetti attivamente partecipi della violenza. Dovrete dirvi che essere carnefici può non essere una zona di non ritorno e che l’essere vittime non è un vantaggio esistenziale.

Da vittime si ha l’impressione di dominare la fragilità del proprio carnefice. Si ha l’impressione di dominare il mondo intero. Se non c’e’ consapevolezza [come per il masochismo femminile esercitato in maniera attiva nel sadomaso] si finisce invece per non avere zone di equilibrio neanche per se stesse.

Non abbiamo bisogno di interpretare la parte delle vittime per tutta la vita per non dover sopportare il senso di colpa. Non si trae nessun vantaggio dall’atto di dominare qualcuno che ti ha fatto del male usando il suo senso di colpa.

Io ho imparato, sbagliando come tutti/e, ad assumermi la responsabilità dei miei desideri, a condividerli con persone consapevoli, a svelare i miei egoismi e a pretendere la stessa chiarezza dalle persone che mi stanno attorno. Ho imparato, provo, a non produrre sensi di colpa e a pretendere esclusivamente atti di responsabilità. Ho imparato, provo, a non dominare la fragilità dei miei carnefici. Nessun alibi. Nessun senso di colpa. Nessuna ambiguità. Nessun fraintendimento. Nessun ricatto. Nessun finto equivoco. Nessuna malcelata intenzione di dominio, da ambo le parti. Nessuna confessione e nessuna assoluzione. Nessun perdono. Nessun senso di colpa. Nessuna vittima. Ne’ vittima ne’ colpevole. Tutto svelato. Tutto laico. Rivendico quello che voglio e rifiuto quello che non mi sta bene. Non si tratta soltanto di cambiare le modalità relazionali tra individui/e. Si tratta di un totale cambiamento di prospettiva nei confronti del mondo intero.

Se vinci la tua battaglia dentro un rapporto, avrai trovato la tua dimensione, il tuo modo di realizzare i desideri. Avrai capito chi sei e cosa vuoi fare della tua vita. Se avrai svelato i tuoi limiti e le tue fragilità hai recuperato un punto di forza e non di debolezza. Soprattutto capirai perfettamente chi userà le informazioni che tu vorrai dare per ferirti e chi invece ne avrà rispetto. Quando sopravvivi ad un pezzo di vita nella quale ti hanno quasi tolto tutto puoi permetterti il lusso di consegnare un bene prezioso. Da ciò che gli altri ne faranno tu capirai con che persona hai a che fare. Ricorda: chi rivela pezzi di se’, chi cammina a testa alta con le proprie fragilità svelate, diventa un gigante agli occhi di un carnefice. Il carnefice è debole, sostanzialmente un codardo. Ciò di cui ha più paura è guardarsi dentro. Ciò da cui si sente protetto è la complicità di qualcuna che teme la stessa cosa e per non svelare se stessa offre un nascondiglio anche al proprio carnefice. Il carnefice è un uomo che non sa dire nulla di vero riguardo a se’ e ti ricatta minacciando di svelare le poche informazioni che pensa di avere su di te.

Il carnefice usa l’approvazione sociale per renderti più malleabile. L’uomo che ha bruciato i miei scritti mi ricattava dicendo che avrebbe detto a tutti che io non ero proprio votata alle attività casalinghe. Non so perchè – o meglio lo so e dipende dall’educazione che ho ricevuto e dal contesto nel quale vivevo – allora mi interessava essere fedele al rispetto per le convenzioni. Non so perchè, non lo capisco del tutto, ma allora quella ragione era utile a farmi pensare di meritare quello che lui mi faceva. Poi capii che della casalinghitudine non me ne fregava un bel niente e che non era quello il tipo di approvazione sociale che desideravo per me. Capii che una pentola non perfettamente lucidata non poteva essere la ragione per un pugno e un labbro rotto. Decisi che non dovevo vergognarmi, non dovevo sentirmi in colpa perchè desideravo scrivere invece che fare la brava moglie.

Ci fu un altro signore, di passaggio per fortuna, che mi ha ricattata lasciando intendere che avrebbe mostrato a tutti che io ero un po’ puttana. Si avvicinò un giorno e mi palpo’ per bene. Era uno dei miei datori di lavoro. Si convinse che mi ero lasciata toccare. Mi palpo’ di nuovo, stavolta davanti a tutti. Pensava così di aver mostrato che io avevo dato il mio consenso alle molestie. Lo dissi con chiarezza e se non lo denunciai fu perchè ci fu chi con convinzione mi disse di lasciar perdere. Mi liberai ugualmente senza attendere un riconoscimento giuridico.

Serve dunque scegliere il tipo di approvazione sociale della quale si vuole fruire nella vita. Vi interessa davvero sembrare donne perbene? Brave casalinghe? Ottime madri? Pretendete davvero la perfezione da voi?

Cominciate con il riconoscervi dei limiti o meglio con il dichiarare che molte cose per voi non sono affatto una priorità. Assumetevi la responsabilità della scelta, non offrite nessuna complicità al vostro carnefice e non abbiate alcun senso di colpa. Esponetevi, nel senso di esporre la vostra idea senza paura e non siate inclini a lasciarvi incastrare da altre forme di schiavitù sociale. Qualunque sia il contesto sociale nel quale voi riterrete di voler cercare forme di approvazione sappiate che vi imporrà ulteriori atti di fedeltà, altre convenzioni, tradite le quali la minaccia rimarrà la stessa. Perchè la società si muove per branchi. Quando avrete scoperto di poter fare a meno del primo saprete che vi stanno stretti anche tutti gli altri. Non preoccupatevi di essere la perfetta casalinga, moglie, madre, siciliana, donna perbene, credente praticante, donna di partito, militante attivista. Vi serve vivere con le vostre regole e se vi ripagano con la solitudine sociale, pazienza. Ve l’assicuro: attraversare i mondi è un viaggio incredibile. Curiosare nelle mille forme stanziali d’esistenza è una avventura senza fine. Scegliere chi frequentare e chi no è cosa assai liberatoria. Incontrerete altri e altre compagne/i di viaggio. Sopravvissuti/e come voi che non si lasceranno intrappolare ancora e che vivranno una scelta di libertà. Nessuna possibilità di ricatto nelle relazioni private (restano quelle del lavoro che sono legate a questioni di necessità. sconfiggere anche quelle schiavitù dovrebbe essere obiettivo di ogni generazione esistente… dovrebbe).

Guardate quello che sta succedendo in questo periodo. Una società che investe così tanto per raffigurare delle vittime sta creando i presupposti, neppure tanto velati, per riconoscere molte “colpevoli“. Non lasciateglielo fare.

La vostra “sicurezza” sta tutta lì.

Ne’ vittime ne’ colpevoli. Così sono io. Così siete voi.

Posted in Corpi, Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Pensatoio, Personale/Politico, Storie violente.


10 Responses

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  1. fikasicula2 & fikasicula3 says

    ahahahah
    ma non siamo mica i wu ming noi.
    siamo tante fike sicule
    fika sicula è una entità astratta. come luther blisset. un nome da guerrilla comunicativa… volendogli dare un senso di genere…

    potremmo dire tante di quelle cazzate da non finire più

    la verità è che solo una ci mette la faccia 😛
    neppure per scelta, solo perchè è stata la capostipite, va più in giro delle altre ed è più presente in rete

    noi scriviamo e suggeriamo cose da scrivere e a lei la prendono a parolacce.

    noi la amiamo alla follia anche per questo. 😀

  2. Chiara di Notte - Klára says

    qui siamo in parecchie a scrivere e tutte se la prendono solo con me?

    Cavolo, ma non potreste almeno metterci il nome?
    Basterebbe anche un numero. 🙂

    Comunque Cloro ha ragione su TP. Ha un futuro quella ragazza. 😀

  3. fikasicula says

    @ cloro 🙂
    la TP è un parto della fantasia di una quarta favolosa fika sicula. la nuova storia che vedi l’ha scritta lei e non io. cavolo ma davvero non si riconoscono gli stili differenti? qui siamo in parecchie a scrivere e tutte se la prendono solo con me? 😀

  4. cloro says

    “se uno che si definisce un intellettuale ricorre a stereotipi che persino lo zen di palermo ha abbandonato non c’e’ granchè da dire.”

    me te fe murì.
    ps meno male che scrivi ancora sulla Trombatrice Precaria, era un po’ che s’aspettava…
    ciao
    cloro

  5. fikasicula says

    @spumettina ciao 🙂
    si, il nick è fatto apposta per “imbarazzare”
    non so se hai mai visto una rappresentazione dei monologhi della vagina o hai letto il libro. c’e’ un paragrafo dedicato alla fica. in inglese cunt. la necessità di pronunciare un termine che corrisponde ad una parte importante di noi diventa una rivendicazione. se ne hai voglia racconta la tua storia. qui c’e’ spazio per tutte. potrebbe servire ad altre. se esisti, r-esisti, sei viva. ogni forma di r-esistenza è un fatto personale e politico di grande rilievo. queindi la stima è assolutamente reciproca. grazie a te.

    @chiara
    esatto. hai centrato il punto. ogni storia è diversa ma le rinascite si somigliano perchè si arriva e si riparte dallo stesso punto: una assunzione di consapevolezza. grazie a te cara per la vicinanza, come sempre.

    @cloro
    grazie della segnalazione. ho letto devo dire con moltà pena per lui. se uno che si definisce un intellettuale ricorre a stereotipi che persino lo zen di palermo ha abbandonato non c’e’ granchè da dire. i maschilisti livorosi, ostili diffusi per la rete hanno trovato un alter ego. peccato che non farà mai carriera. il nostro presidente è molto più bravo di lui nel dire battute sessiste e misogine. non so se merita una risposta. ci penso. invece brava tu per il tuo ottimo post sul patriarcato e il consumismo. e grazie mille per la citazione. sei troppo buona :)*

  6. Emanuele says

    Ho letto l’articolo e l’ho trovato divertentissimo… sarebbe interessante aprirne una bella discussione

  7. cloro says

    dimenticavo
    http://www.comedonchisciotte.org/…=0&thold=0

  8. cloro says

    ciao faccio un OT
    se ti va perchè non commenti questo articolo del Fini?
    ciao
    cloro

  9. Chiara di Notte - Klára says

    Così sono io. Così siete voi.

    Ho letto con interesse ed anche un po’ con ansia, non perdendomi una sola parola, una sola virgola. Ho percepito l’inflessione, il tono con cui e’ stata scritta questa testimonianza e l’ho vissuta come se mi riguardasse quando, in fondo, la storia di ciascuna e’ diversa e segue percorsi totalmente differenti.
    Quello che e’ comune, invece, e’ il punto a cui si arriva. Arriviamo tutte la’; chi in un modo chi in un altro arriviamo a prendere consapevolezza. E questo avviene quasi in un attimo. E quell’attimo coincide con l’ennesima violenza, con l’ennesima prevaricazione, con l’ennesimo sopruso al quale si ha la forza di dire basta.
    Hai ragione, anche io a volte mi sento come una naufraga, ma dentro provo anche l’orgoglio di essere riuscita a salvarmi da me stessa e da quello strano rapporto che lega la vittima al carnefice. E questo orgoglio mi da’ la forza. E la forza mi da’ la rabbia. Rabbia che mi e’ necessaria per far partecipe anche chi, ancora, non ha trovato la sua scialuppa di salvataggio.
    Grazie perche’ ancora una volta mi hai fatto provare la stupenda sensazione di non essere sola.

  10. spumettina says

    Ciao fika sicula,
    (ammetto che hai un nickname imbarazzante ma so anche è l’effetto che volevi produrre :))

    ti leggo da molto e sono sempre stata tentata di partecipare ai tuoi dibattiti, poi, un pò per questioni di tempo, un pò per non so che altro, lasciavo perdere…
    Stamattina hai toccato corde vibranti anche nella mia anima…
    Ti sei analizzata con grande coraggio e con consapevolezza di chi ha dovuto soffrire per sopravvivere.
    Non ho mai vissuto violenze fisiche, grazieaddio, ma fin dalla più tenera età tutte quelle manipolazioni psicologiche, prima da un padre e poi da un marito problematico, che tendevano a minare, forse inconsapevolmente, forse di diritto, essendo maschi, la mia sicurezza e la mia evoluzione di donna.
    Ho dovuto faticare, e fatico ancor oggi, per esistere…
    Triste destino di noi donne, che speravamo migliorato negli anni ’70/80, ma oggi, occorre essere ancora più vigili e ricominciare a riprenderci noi stesse!
    Lo dobbiamo a noi e alle nostre figlie!
    Sei grande, ti stimo molto e soprattutto condivido il tuo pensiero sempre.
    Con affetto