Continuo la carrellata di narrazioni etno-sociologiche. La prima parte qui. La seconda qui.
I meridionali migrati al nord quando li vai a trovare ti
offrono pietanze tipiche delle loro regioni di provenienza. Andare a spasso con
loro significa vedere le città del nord con gli occhi velati di melanconia come
di un turista che è rimasto nella stessa città troppo a lungo. Bello il posto,
belli i monumenti ma poi basta. Come se restassero incastrati in un viaggio
senza ritorno.
Se li guardi bene vedrai che gli si illuminano gli occhi
solo se si trovano nelle vicinanze di un odore, un sapore o un colore che li
riporta indietro nella memoria. Se sei dotat* di sufficiente empatia vedrai
questi soggetti andare avanti come automi, casa-lavoro-pause, salvo
riaccendersi quando pronunci il nome della loro città d’origine.
Ci sono tanti meridionali che affrontano viaggi inenarrabili
pur di tornare a casa anche solo per qualche giorno. Non importa quanto quella
casa sia lontana, quali siano i motivi per cui l’hanno lasciata. Ciò che è
importante è lasciare il continente e raggiungere lo stretto di messina.
Sul treno vedi tanta gente, i loro volti improvvisamente
mutati, una vitalità diversa negli occhi, godersi il passaggio in traghetto, sul ferribotto (da ferry boat),
corrisponde ad un viaggio alla mecca. La Sicilia come terra promessa.
Tra i tanti ci sono due tipi di meridionali migranti. Quelli
che dicono di trovarsi benissimo e quelli che invece affermano di trovarsi
malissimo.
Chi si trova benissimo generalmente non ha dovuto smontare
granchè della sua vita precedente, ha traghettato il necessario, non vedeva
l’ora di andarsene e sperimenta assieme alla migrazione anche il principio di
una nuova vita, più indipendente, forse senza controllo dei genitori, senza le
pressioni dei contesti d’origine, magari con un nuovo rapporto affettivo.
A trovarsi malissimo è invece chi una vita ce l’aveva e ha
dovuto lasciarla per cercare un lavoro. Chi si trasferisce e non apparterrà mai
al luogo che lo ospita. Chi ha lasciato famiglia, amici, affetti, interessi,
una storia, una vita insomma. Chi si è improvvisamente trasformato da soggetto con una grossa rete di relazioni sociali a persona senza storia e senza identità. Storia e identità difficili da comunicare a chi non ne ha fatto parte. Difficili da ricostruire altrove senza sentirsi mancare il terreno sotto i piedi.
Le due tipologie si esprimono in modi differenti. Nel primo
caso ci sarà il costante sforzo di integrarsi con la comunità locale. Nel
secondo inevitabilmente la socializzazione avverrà spesso tra transfughi di
varie altre città.
Se vai a vivere a milano le tue frequentazioni apparterranno
a tutto il genere umano fuorché quello aristocraticamente del luogo.
Si cercano linee di comprensione persino tra similitudini
climatiche o flora-faunistiche. Chi viene dal sole ha un temperamento assai
diverso da chi viene dalla nebbia, dalla pioggia. E’ un rovesciamento che
riguarda il corpo e la testa. A sud l’inverno dura tre mesi e il bel tempo ben
nove mesi, a nord è esattamente il contrario. A sud esci in maniche corte anche
a dicembre, a nord ti si congelano i pensieri solo se tieni scoperto un centimetro
di pelle. A sud il sole asciuga i reumatismi, a nord l’umido diventa la tua
seconda pelle.
Avere il sole in testa cambia i pensieri e mi sorprende che
non vi sia ancora una branca della etno-psicologia legata al meridione
d’italia. Non parlo di usanze e tradizioni. Parlo proprio di una questione
culturale che non prescinde da quella climatica.
C’e’ poi la storia del mare. Non è per fare gli schizzinosi
ma il sud ha un mare che sa di mare, fiumi di riserve naturali che sono
meravigliosi e tuttavia frequentati molto meno. Il mare è rumore della risacca,
infonde calma, ti inietta iodio dappertutto, ti fa respirare meglio e questa
cosa influenza i comportamenti, ha un peso nelle relazioni. Un meridionale che
viene dal mare come farà a comprendere la criptica ombrosità di un
settentrionale che è nato e cresciuto tra le paludi zanzarose della pianura
padana?
Si chiacchiera, certo, ma chi viene dal mare troverà
affinità con altra gente che a sua volta viene da altro mare fosse anche un
mare che sta più a nord.
Tutto questo incide anche nelle relazioni tra donne e persino
tra donne attiviste in questioni di genere. Non è un caso se personalmente mi trovo molto più vicina al
femminismo post-coloniale, a quello afroamericano che ad altri generi.
La colonizzazione che ha investito il sud non ha di certo
risparmiato le donne. Dal nord abbiamo ereditato un modello estetico, una
visione delle cose, una costruzione caratteriale. E non è vero che oramai nord
e sud sono una sola cosa perché le donne del sud stanno anche a nord. Le donne
del sud non hanno influenzato i comportamenti delle donne del nord ma si sono
lasciate assimilare, si sono adattate ai luoghi nei quali si trasferivano partendo dal presupposto che
quello fosse il modello di civiltà da raggiungere.
Ciò non vale solo per le donne che partite dal meridione hanno
sposato le cause settentrionali talmente tanto da diventare leghiste. Vale
anche per tutte le altre. Le donne del sud che stanno a nord devono passare
attraverso la trafila dalla quale passano tutte le immigrate di questo mondo.
Fanno la spesa al supermercato ed evitano di pronunciare
nomi di prodotti dei quali non hanno certezza sicchè la verdura che in Sicilia
conoscete come aggèi sarà indicata con un “mi dia quella lì” che prelude
a settimane di preparazione rituale per esercitarsi a chiamarla “erbetta”.
Le donne del sud che stanno a nord devono avere la capacità
di mimetizzarsi. La qualità delle conversazioni deve essere rafforzata da una
dizione senza radici, l’estetica soggettiva deve essere riadattata ai look
locali, il corpo deve essere modificato per somigliare quanto più è possibile al fisico androgino della fisicità nord-europea, persino i gusti musicali devono cambiare.
Musica araba, mediterranea, tarante e tarantelle, sono
sostituite da punk, ska, metal, hardcore etc etc. Trovare qualcosa di etnico
significa finire nelle balere a sentire casadei o in locali nei quali si balla
una capodannesca musica latinoamericana.
Le donne del sud sono di vari tipi ma esse coesistono tra loro. Nelle loro terre di provenienza non sono state bandite le taglie dalla 42 in su. Quelle rotonde, dal ventre pieno, dal culo africano, dalle forme carnose, hanno diritto ad esistere e non vengono guardate come femmine di serie B. Le donne del sud, talvolta di altezza differente, con l’ossatura grande, i fianchi larghi, i seni prosperosi, non sono per nulla brutte. Sono bellissime, diverse, vere, sanguigne, come si dice dalle nostre parti, anche se non appariranno mai in uno spot che pubblicizza la milano da bere. Le figlie delle donne del sud migrate per necessità vogliono essere donne del nord senza averne il corpo sicchè talvolta si vergognano delle loro madri e fanno di tutto per cancellare ogni somiglianza fisica con loro.
Le donne del sud hanno molto da dire a quelle del nord.
Soprattutto hanno da spiegare che l’emancipazione che le sorelle nordiche hanno
in qualche modo sperimentato a sud non è quasi mai arrivata.
Alle donne del sud non è stato sufficiente imparare a
depilarsi, vestirsi come veline, perché comunque sono esattamente com’erano.
Quello che è avvenuto a sud ha più a che fare con la apertura di un nuovo
mercato commerciale per vendere più prodotti di cosmesi e abiti moderni che con la vera
emancipazione.
Le donne del sud hanno dovuto e devono ancora superare
barriere pesantissime che passano attraverso le loro famiglie, i contesti nei
quali vivono e studiano.
Tante donne del sud si sono realmente in qualche modo
emancipate quando hanno trovato un loro equilibrio tra il modello femminile
imposto dal nord (l’operaia! e da noi le fabbriche non c’erano …) e quello ereditato dalle proprie madri (la casalinga). Non si
può crescere senza rielaborare positivamente quello che ti riguarda da vicino.
Se il personale è politico perché mai la nostra rielaborazione sarebbe dovuta
partire dal "personale" delle donne di milano?
Partire da se’, questo è l’insegnamento che quelle stesse
donne ci hanno regalato e il partire da se’ per noi significa davvero partire
da noi, dalle nostre mamme, nonne, storie.
Non ci si può emancipare dal blackout mentale. Non ci si
emancipa dalle amnesie indotte. Non ci si emancipa se si migra. Per crescere ed
emanciparsi si ha bisogno di tenere saldi i legami con le proprie radici.
Tutti i punti di forza, per ciascuna di noi, partono dai
luoghi dai quali siamo venute. Ecco un’altra differenza tra donne del nord e
migranti del sud. Le donne del nord essendo nate e cresciute in quei luoghi
hanno la possibilità di stare a contatto con le proprie vite e dunque di
crescere. Le donne del sud migrate a nord corrono il rischio di restare irrisolte, in uno
squilibrio tra il se’ e l’altro da se’ che allontana invece che unire.
Se amate una donna del sud, di qualunque sud del mondo, che sta a nord
tenete conto di tutto questo. Altrimenti troppo spesso potrebbe sentirsi
davvero molto sola.
—>>>La foto del ferribotto viene da qui.