Skip to content


I diritti negati – intervista a Judith Revel


{B}Seminuda e in gabbia, l'arte è protesta {/B}

Una bella intervista ad una filosofa e ricercatrice del Centre Foucault di Parigi fatta dalle ragazze di Radio Kairos e pubblicata su Global Project.

I diritti negati

Intervista a Judith Revel*

Parliamo di violenza sulle donne, schiacciate tra deliri securitari e decretazione d’urgenza, tra ronde di angeli custodi e barbari stranieri con la sensazione che qualcosa stia cambiando. Ci troviamo a parlare della violenza sulle donne soprattutto dentro le mura di casa, non ci stancheremo mai di dirlo, ma anche fuori casa e qui è come se ci ritrovassimo dentro le pieghe delle contraddizioni di una società multietnica che qui in Italia si sta avviando.

La domanda che poni è fatta di tante domande intrecciate tra di loro: non so se risponderò a tutte o ne susciterò altre ancora!
Ci sono tre ordini di problemi. Il primo è difficile da esprimere: non vorrei che lo stupro e ogni forma di violenza fatta alle donne, che è abominevole e va condannato, denunciato e qualificato per quello che è, cioè atroce, occultasse altri tipi di violenze, la violenza fatta sui deboli in generale che potrebbe essere di volta in volta, senza esclusione alcuna, fatta su bambini, migranti eccetera. Si parla tanto di violenza fatta sulle donne spesso da uomini migranti, donne italiane stuprate da rumeni ad esempio, quando però capita che la donna in questione sia una donna migrante se ne parla molto meno: attenzione, quindi, perchè si tende a sacralizzare un tipo di violenza rispetto ad un’ altra. La violenza fatta sulle donne è una violenza più frequente perché storicamente sono sempre state soggetti deboli e ancora adesso lo sono per certi versi e non solo fisicamente… però questo non deve farci dimenticare che tanti altri tipi di violenza sociale esistono e si incrociano con quella.

Il secondo problema riguarda il tema dell’immigrazione: c’è un comico in Francia che si poneva provocatoriamente la domanda: “ma l’immigrazione è solubile, si può dissolvere nella democrazia, sì o no?” Si tratta di una versione ludica e provocatoria dello scontro tra civiltà.
Quando si dice che l’arrivo massiccio di immigrati con altri costumi provoca disagio sociale, crea violenza o non riesce ad integrarsi dentro ad una cultura predominante, quella del paese dove arrivano, si dice implicitamente che culturalmente o religiosamente quelle persone non riescono o non possono culturalmente o strutturalmente adattarsi al contesto nel quale sono arrivati. Credo che ognuno di noi sia rimasto scioccato, e abbia manifestato per questo, nel sentire dire che l’Islam non può essere dissolto all’interno della democrazia. Non è vero, così come non è vero che una confessione in generale non possa coabitare con precetti democratici, così come è vero che ogni modo di vita rispettoso della vita degli altri può convivere con l’altrui differenza.

Quindi la domanda è: cosa, in un certo tipo di immigrazione e dentro ad un certo tipo di accoglienza o ambiente culturale di arrivo, crea problema, non combacia o sfocia in qualcosa che di fatto è un fenomeno violento. Io credo che i due aspetti vadano considerati.
Ultimamente gli stupri ad opera di rumeni sono stati tanti ed è ovvio che gli stupratori vadano condannati e gli stupri in quanto tali vanno denunciati però quanti stupri dei rumeni sono finiti nelle prime pagine dei giornali e quante violenze fatte sulle donne, italiane e non, ad opera di italiani non finiscono sui giornali? Tu dicevi che l’80% delle violenze sulle donne avviene dentro casa: proprio per questo non vengono denunciate. Uno stupro per strada è più facilmente denunciabile rispetto a quello avvenuto in casa o a una violenza generica o a percosse fatte da un marito o un figlio o un fratello e in questo caso la visibilità scompare.

Per rimanere sull’argomento migrante, quante badanti hanno denunciato un sopruso? Una violenza può essere tante cose: uno stupro, una mano sul culo, può essere il non essere pagate, può essere un’ umiliazione, giornate di lavoro che vanno contro ogni forma di dignità umana, può essere il dormire per terra, il mangiare con i cani…ti dico cose che ho letto sui giornali, storie che ho raccolto parlando con donne migranti, non le sto inventando. Quante donne hanno detto e denunciato questo stato di cose? Pochissime, per un senso di debolezza, per assenza di diritti fondamentali. Le donne badanti che sono e rimangono clandestine, ovviamente non vanno alla polizia raccontando quello che succede, non raccontano al vicino le violenze di cui sono oggetto. Quando si dice: "su base statistica gli stupri ad opera di stranieri, di rumeni in particolare, stanno aumentando vertiginosamente", mi chiedo quali statistiche e con quali visibilità e quali campioni. Ciò non toglie che le violenze ci sono e che i rumeni sono parte di quelle violenze, però stiamo attenti a non ingrandire un problema sulla base di cose che sono tanto diverse da fenomeni di montatura mediatica nei salotti buoni della tv, penso alle cose ignobili che si sentono ad esempio da Bruno Vespa.

La terzo ordine di problema riguarda il fenomeno migrante. Si citano in questi mesi Albania, Romania, i paesi del blocco dell’est, e altri, di cui si sottolineano i “costumi selvaggi”, i “costumi bestiali”, per riprendere un aggettivo che ho letto spesso sui giornali, anche su giornali teoricamente di sinistra. Questi costumi da cosa sono prodotti? Ci sono due possibilità: o identifichiamo una cultura, l’essere albanesi o rumeni, con una natura, e questo si chiama razzismo e io non sono razzista e non voglio esserlo e lotterò contro questo sempre; oppure si dice che quella cultura è il prodotto di una storia e io vorrei sapere che tipo di rispetto si può esigere spontaneamente da una persona che per decenni e decenni ha vissuto sulla propria pelle la violenza di una dittatura, della miseria, della violenza di non aver da mangiare e delle botte subite prima ancora di essere agite ed è ovvio che chi esce fuori da una storia di quel tipo, violenta e durissima, non sa altro.

Per farti un esempio che non riguarda i paesi dell’Est: quando tu vai in Brasile, a differenza di quanto succede in altri posti europei, se tu ti fai braccare e ti fai mettere una pistola sotto il naso per cinque dollari e non hai cinque dollari ti ammazzano, in Europa non esiste nessun posto, tranne in circostanze eccezionali, in cui ti sparano per cinque euro.
Ti sparano per cinque euro perché il Brasile è un posto dove quando due bambini di strada salgono su un autobus senza il biglietto e vengono beccati con ronde autorganizzate dai vigilantes, vengono ammazzati davanti a tutti gli altri: a me è capitato, due bambini, di cinque e otto anni: pam, pam! Morti!

La vita non vale niente, la loro vita non vale niente quindi a questo punto la tua vita non vale niente. La domanda che mi pongo è questa piuttosto che dire che in una società multiculturale, multietnica ci dovremmo porre i problemi di assorbimento e della coabitazione di culture diverse a me viene da dire: ma ci siamo mai chiesti da dove vengono?
E cosa hanno subito e quanto sia importante un ascolto di quella sofferenza che hanno subito per decenni e quanto sia importante l’educazione ad altro? Prima di dire che questi hanno dei doveri, il primo dei quali è rispettare gli esseri umani in generale e le donne in particolare, ci siamo anche chiesti in realtà quanti diritti negati hanno dovuto subire nella loro vita e quanti diritti negati subiscono tutt’ora?

E quanti diritti negati hanno tutt’ora, la sofferenza a cui sono sottoposti nei nostri paesi? Penso a quando si vive in un accampamento senza riscaldamento e senza servizi igienici e col rischio della propria vita perché ogni tanto brucia una baracca, una capanna, senza mettere in conto le ruspe, le ronde, gli attacchi fascisti e molto altro.
Ci si chiede quali sono i loro diritti prima di chiedere o di ricordare quali sono i loro doveri? Io non credo che ci siano diritti senza doveri ma anche doveri senza diritti: le due cose vanno insieme e fa parte dell’educazione ma anche di una presa in conto di una disuguaglianza sociale così vorticosa e vertiginosa che a me sembra assurdo dire che questi sono delle bestie, colpevoli sicuramente quando lo fanno, ma bestie tout-court mai, semmai li abbiamo resi bestie nei nostri paesi.

Parlavi di cose che non combaciano tra una cultura e una società che accoglie e una che arriva. Non è possibile che ci sia una sorta di irrigidimento nel non combaciare dentro quella crisi che ci sta coinvolgendo tutti, una crisi che porta all’impoverimento, alla ricerca di un capro espiatorio, che porta a quelle forme di neo-protezionismo dal punto di vista culturale e identitario.

Una crisi che porta anche al razzismo, aggiungerei. Nell’ambiente di lavoro, ad esempio, con il luogo comune “ci rubano il lavoro” che oramai è diventato una banalità sia a destra che a sinistra, ed è una cosa tristissima. C’è il paradosso che ci vuole un Franceschini in testa al PD per smettere di pensare che la sicurezza sia un motivo centrale del discorso di sinistra: è da non credere che ci vuole un ex Dc per smettere di alimentare il mulino della sicurezza, della zero tolleranza, alla quale Veltroni e company ci avevano abituati; è da pazzi ma è questo che sta accadendo. La crisi ha accentuato tutto.

Sottolineo due cose. La prima: la Francia, che è il mio paese, ha molti più immigrati rispetto all’ Italia, siamo a più del 10%, di cui il 7% sono musulmani e sono lì da anni. Si è molto parlato della questione del velo e delle leggi che riguardavano il velo che è un segno di sottomissione delle ragazzine musulmane.
In molti casi è vero, è un segno della svalutazione della donna in quanto donna e svalutazione del corpo della donna che viene considerato sporco perché oggetto di desiderio e molto altro. Alcune ragazzine velate però portano il velo come “discorso femminista”: questo non esclude la violenza sulle donne che vengono coperte in modo arbitrario e violento ma esistono anche delle ragazzine che dicono: “il corpo delle donne così come viene esposto, venduto, mercificato ci fa schifo.”

A me una ragazzina ha detto: “le vostre madri hanno lottato per accorciare le gonne perché il loro corpo era loro, noi ci veliamo perché il nostro corpo ci appartiene” e non possiamo non sentire anche questa altra versione. Due versioni esistono: la ragazzina coperta dal padre, ed è un gesto schifoso, e quella che si copre da sola perché dice che la nostra società fa schifo. La seconda: noi tutti abbiamo partecipato, applaudito, solidarizzato con tutte le attività che consistono nell’appropriarsi di quello che dovrebbe essere nostro e che ci viene negato: per cui abbiamo occupato i musei perché volevamo la cultura, siamo entrati nei supermercati per fare pic-nic o per riempirci i carrelli perché quello che avevamo non ci bastava, perché bisogna arrivare alla fine del mese e perché è diritto di ognuno mangiare e mangiare bene, abbiamo occupato case perché ci mancava il tetto: quando un bene spetta a tutti e manca la nostra tradizione è stata quella di prendercelo e di prendercelo collettivamente.

Io vorrei sapere cosa pensa un immigrato, che viene da condizioni di durezza economica sociale e culturale tremenda, che arriva nel nostro paese e che vede vetrine riempite di ogni ben di dio. Nessuno di noi si opporrebbe al fatto di dire che i migranti non devono soltanto sopravvivere ma vivere, e vivere con la stessa dignità e con lo stesso piacere nostro, quindi non solo con la zuppa sociale che passa la Caritas: su questo, credo, ci sarebbe un consenso.
E adesso mettiti nella testa di quello stesso immigrato che sbarca qua e che accende la tv e che vede all’ora di cena, quando tutti noi siamo davanti alla minestra, delle signorine con filo interdentale infilato nel culo e che si dimenano a sculettare sui tavoli davanti a facce di uomini: questo è vendere il corpo femminile, svalutare il corpo femminile, sottintendere o insegnare a chi guarda che il corpo femminile serve a questo, cioè a vendere tempo di cervello vuoto, a vendere giochi scemi, se questo non è prostituzione esplicita io non so come chiamarla.

Poi ci si lamenta: i ricchi, i personaggi della tv, hanno accesso a tutte quelle tette e a tutti quei culi che vedono e hanno diritto a farlo e un immigrato per strada che ne vede passare una non può prendersela? E lì che il malinteso è totale. Ovviamente non può prendere quella donna che passa, ovviamente non può prenderla neanche se nuda, neanche se vestita provocatoriamente e spesso sentiamo anche dire: “era vestita in quel modo..” per sott’ intendere una legittimità mentre, no!, non c’è diritto a toccare il corpo delle donne. Ma tutta la nostra cultura, italiana in modo particolare ma generalmente occidentale non fa altro che insegnare che la donna non vale niente e che va presa, e che i calciatori se la prendono e che i ricchi se la prendono eccetera. Queste due cose non combaciano, quella che ti ho appena descritto con la cultura di chi arriva, che è spesso dura, violenta ed aggressiva ed è frustrata da anni e anni di sofferenza.

Questa sofferenza va ascoltata ed educata, bisogna riparare ad un’ ingiustizia. Facendo questa tripla cosa, l’ascolto, il fatto di ricostruire i diritti là dove i diritti sono stati negati e l’educazione fin da piccoli (perché la scuola è essenziale) la violenza si riduce notevolmente.
Ma come puoi farlo in un paese dove le donne sono così volgarmente vsendute? Quando sono in Italia e accendo la tv resto esterefatta. Abbiamo pensato al corpo di Eluana, a come è stato venduto a come la gente ci abbia sputato sopra, l’abbia calpestato in tutti i modi, a come sia stato fatto oggetto di share in termini commerciali?
Sono sicura che la pubblicità prima e dopo Vespa all’ennesima puntata su Eluana stravendeva e quel livello di volgarità va collegato al discorso sullo stupro, ma a questo punto l’essere immigrati non tiene più… guardiamoci allo specchio.

Ci stiamo interrogando sulle violenze per strada che stanno aumentando e sono in aumento non solo nelle periferie recondite ma anche nei quartieri bene illuminati, sotto casa, c’è qualcosa che sta cambiando in qualche modo: molte violenze sono fatte da giovanissimi a danno di coetanei e sono i famigerati stupri di branco. Questo riguarda anche quello che stavi dicendo, che forse vale la pena sottolineare, una sorta di percezione deviata della sessualità.

Sui fenomeni di branco bisogna dire che c’è una paura tremenda di essere da soli che è il prezzo da pagare all’individualismo sfrenato al quale siamo ormai sottoposti da anni per cui il messaggio è: “tutto tranne che rimanere da soli” e il branco è meglio della solitudine. Ci sarebbe una bella critica politica sulla solitudine da fare, se non si riempie lo spazio di quella solitudine avremo sempre di più fenomeni di branco, perchè sostituiscono la socialità che è venuta a mancare, la famiglia che è allo sfascio, le solidarietà politiche, la solidarietà di classe e le lotte insieme.

Il branco così come lo stadio, se vuoi, è quel calore della comunità che un giovanissimo lasciato solo trova o prova a costruire. Poi ci sono i rituali per costruire quella solidarietà di branco. Spesso per costruire quel tipo di solidarietà si fa un atto violento che è fatto ai danni del più debole che può essere l’indiano che dorme sulla panchina della stazione che viene bruciato vivo o può essere la donna che passa da sola e che viene stuprata. In uno stupro di branco, come in uno stupro individuale c’è l’idea di un consumo, di un piacere immediato dove si estende dappertutto il modello dell’ immediatezza in cui il piacere del qui ed ora sostituisce il desiderio. L’altro viene negato in nome di una voglia, di un piacere immediato, come se tutto succedesse nell’istantaneità di un gioco video, e con questo non voglio sminuire i giochi video ma il modello è il modello del consumo, del consumo immediato.

Non c’è attesa, non c’è tempo e i giovanissimi non hanno più il senso della costruzione nel tempo di un rapporto o della costruzione nel tempo del desiderio: tutto deve essere fatto in una dimensione del tempo che è ridotta e scarnificata e ridotta all’attimo, e lì c’è una mutazione antropologica su cui dobbiamo stare molto attenti ma guai ad incriminare soltanto i giochetti video, qua si tratta di tutto il sistema di consumo e del godimento legato al consumo immediato che dovrebbe essere rivisto.

* Filosofa e ricercatrice al Centre Foucault di Parigi

—>>>Nella foto l’artista cinese Hairongtiantian chiusa in gabbia in una performance a Pechino per attirare l’attenzione sui diritti delle donne

Posted in Anticlero/Antifa, Fem/Activism, Omicidi sociali, Precarietà.