Skip to content


Che genere di sicurezza. Donne e uomini in città

www.radiokairos.it 105.85 fm (Bologna) intervista la sociologa Tamar Pitch*

Partirei
provando a riposizionare nel presente alcune sue riflessioni passate.
Questo tanto discusso pacchetto sicurezza, attraverso i discorsi che
produce e le conseguenze che reca in sé, prende le sembianze di un
dispositivo di normazione, in cui un concetto soggettivo come la
sicurezza non viene più visto come condizione base di esistenza, ma
viene rideclinata come diritto dei cittadini o – come scrive lei –
anziché bene pubblico un bene del pubblico, portando contemporaneamente
avanti anche una sottrazione di libertà anziché un allargamento di
queste.
Tutto ciò avviene – tra le altre cose – attraverso una
categoria, quella della paura (anche questa soggettiva) che viene ad
essere oggettivata, mettendo – e questo è il discorso che mi piacerebbe
fare insieme a lei – in antitesi due concetti che andrebbero
teoricamente di pari passo, andrebbero comunque visti come “compagni”:
libertà e sicurezza.

Compagni, sì, se decliniamo la sicurezza
come si faceva fino a un po’ di tempo fa, come sicurezza sociale, come
possibilità di avere quelle risorse sociali, economiche e culturali che
ci mettono al riparo dai rischi della vita, che non sono soltanto e
neanche principalmente la criminalità, ma anche la malattia, la
disoccupazione, eccetera. Allora, se decliniamo la scurezza in questo
senso, evidentemente sicurezza e libertà vanno strettamente congiunti.
Laddove invece sicurezza sia intesa come riduzione del rischio della
vittimizzazione della criminalità di strada, ecco allora che invece
libertà e sicurezza si divaricano, perché se noi decliniamo la
sicurezza in questo modo, questo legittima e giustifica quello che è
successo fin’ora: l’elaborazione di politiche che non sono più
politiche sociali, ma sono politiche di sterilizzazione del territorio,
di prevenzione dai rischi di criminalità di strada e dunque anche
misure repressive, più repressive di quelle che c’erano prima e così
via. Dunque in questo senso davvero libertà e sicurezza si divaricano.

Il punto di vista di genere non è uno
dei punti di vista possibili, ma molto spesso si presenta come una leva
per andare a rendere espliciti meccanismi che non lo sono
immediatamente. In questo caso meccanismi di vittimizzazione ed
esclusione: noi abbiamo assistito in tutti questi mesi da una parte
alla strumentalizzazione del corpo femminile, del dramma degli stupri,
e dall’altra alla messa in condizione di invisibilità della donna,
all’interno di politiche che non parlano né di lei, né delle sue
esigenze né tantomeno del suo diritto di autodeterminazione.
Soprattutto quando, lo sappiamo e decenni di femminismo lo hanno
ribadito, la sicurezza delle donne è visibilità è circolazione ed è
autonomia delle donne stesse.

Non c’è dubbio, è proprio così.
C’è stata una declinazione della questione della sicurezza in maniera
femminilizzata in due sensi: da un lato perché tutti e tutte siamo
stati ricostruiti come probabili, possibili vittime, o vittime
potenziali e quindi tutti e tutte ridotti al ruolo tradizionale che si
assegna al femminile (debolezza, fragilità, eccetera). E dall’altra,
ancora peggio naturalmente (e non è una cosa nuova) si sono utilizzate
le questioni che riguardano più direttamente le donne – alcune violenze
che riguardano quasi esclusivamente le donne, come gi stupri – per
costruire una campagna volta alla caccia allo straniero, alla caccia al
nemico. E questa non è una cosa nuova. Invece la questione della
sicurezza, e in particolare della sicurezza in città, è stata
presentata come neutra, come se la città non fosse abitata da uomini e
donne, oltre che da persone di tutti i colori e da persone di tutti i
ceti sociali. E dunque si è più o meno consapevolmente trascurato il
fatto che i pericoli per le donne non vengono dal pubblico,
dall’attraversare la città, ma, come noi sappiamo, dal subire violenza
all’interno delle “sicure” mura di casa, dai loro cosiddetti
protettori, nei luoghi di lavoro e così via. E quindi in questa
costruzione c’è di nuovo una doppia vittimizzazione delle donne, perché
si trascura la loro effettiva situazione e poi si ribadisce invece che
devono stare molto attente quando girano e attraversano il mondo da
sole e libere. Allora si dice: no, dovete stare attente. Questo di più
di attenzione che è richiesto alle donne nell’attraversare il mondo si
muta in autodisciplina, in autocensura rispetto al fare, ad andare, a
frequentare i tempi e i luoghi della città e del mondo in generale.
Quindi c’è una doppia vittimizzazione attraverso, da un lato, la
neutralizzazione della questione sicurezza nella città e, dall’altro
invece, una sottile ricostruzione della sicurezza intesa come questione
al femminile, perché riduce tutti e tutte al ruolo, che si attribuisce
alle donne, di debolezza e vulnerabilità eccetera. E tutte e tutti
siamo ricostruiti come potenziali vittime della criminalità di strada.

C’è un aspetto strettamente intrinseco
a questa fase cosiddetta di crisi, che delinea una situazione nel quale
la sicurezza è neutralizzata o declinata al femminile da una parte, ma
dall’altra ripropone stereotipi di genere, fortemente connotati come
maschili, primordiali e violenti (penso alla questione delle ronde). E
ci sembra che gli stessi profili delle città vengano poi ridisegnati
anche sulla base di questi stereotipi fortemente polarizzati

Stereotipi razzisti e machisti. L’idea è la solita: del resto a Roma
abbiamo visto molto bene tutta una serie di manifesti usciti qualche
tempo fa in cui si diceva: dobbiamo difendere le nostre donne dagli
stranieri brutti e cattivi. E le politiche dei governi di adesso e
tutte le politiche e le retoriche in generale sono state improntate a
questo: difendiamo le nostre donne dagli altri, dagli stranieri. Perché
è anche questa una cosa molto nota: lo stupratore è sempre quell’altro,
lo stupro segna il confine tra il dentro e il fuori. Dentro non si può
stuprare, soltanto fuori si stupra, lo stupratore è un nemico e il
nemico è stupratore: vanno sempre insieme le due cose.
Dopodiché
“noi uomini” siamo i protettori delle nostre donne. C’è una retorica
machista che è allo stesso tempo una retorica razzista, come è sempre
stato del resto. E la figura di “noi uomini” è la figura dei
protettori, ma anche dei “padroni delle donne”, delle “nostre donne”,
per l’appunto. Ed è sul corpo delle donne che adesso si giocano
moltissime battaglie, soprattutto battaglie culturali. Basta vedere e
sentire la retorica del “celodurismo”, le barzellette del nostro
presidente del consiglio, la promessa di un soldato accanto ad ogni
bella donna e così via. Sono tutti parte dello stesso clima culturale.

Lei dice che la libertà di movimento nelle città è connotata diversamente per uomini e donne. Per quale motivo?

Dico che la percezione è connotata in maniera diversa perché alle donne
si dice che loro in città corrono dei rischi, corrono dei pericoli,
devono prendere precauzioni, devono stare attente perché possono sempre
essere prede e vittime. Agli uomini questo non si dice: si è sempre
detto che la città invece offre agli uomini – soprattutto agli uomini
giovani naturalmente – opportunità e che queste opportunità si devono
cogliere. La città moderna è costruita così nell’immaginario corrente e
le donne naturalmente l’hanno ben interiorizzato questo, nel senso che
più o meno consapevolmente ci autocensuriamo, prendiamo tutta una serie
di precauzioni che gli uomini non prendono o prendono molto meno. Anche
se poi, andando a interrogare gli uomini, loro dicono che non hanno
paura per se stessi, ma per le loro donne. Anche perché loro non
ammettono la possibilità di avere paura per sé. D’altra parte, quando
hanno paura, hanno paura di altri uomini non di donne.

E’ particolarmente interessante quanto
scrive in un articolo del 1996 in cui lei parla della disposizione che
hanno le donne di “correre dei rischi” a delle condizioni: condizioni
che allo stato attuale mi sembra vengano a mancare. In che senso lei
intende questo concetto di “correre dei rischi”?

Si può
dimostrare attraverso le ricerche che ciò che noi sociologi chiamiamo
“fiducia generalizzata”, cioè una fiducia non rivolta a una singola
persona o a un gruppo di persone, ma la sensazione di poter fare delle
cose, questa è strettamente connessa al correre i rischi. È il correre
dei rischi che produce questa fiducia generalizzata, ma al tempo stesso
si possono correre dei rischi solo se si è messi in grado di farli e
se, correndoli e incorrendo in qualche problema o danno, si può trovare
una soluzione ad essi. Il che vuol dire che per correre rischi bisogna
avere le risorse sociali, economiche e culturali per poterli correre.
Allora questo io credo che sia dimostrato dal fatto che le donne, che
hanno maggiori risorse, sono quelle che corrono maggiori rischi e
quelle che dimostrano nei fatti di avere meno paura, di prender meno
precauzioni, e così via. Quindi direi che il dire alle donne: state
attente chiudetevi in casa, non fate questo, non fate quest’altro è
esattamente il contrario della produzione di fiducia generalizzata
laddove invece quello che diceva lei è assolutamente condivisibile, nel
senso che quello che il femminismo ha sempre detto è che maggiore
possibilità di autonomia e autodeterminazione creano non soltanto
maggiore libertà, ma maggiore possibilità di correre rischi e dunque di
sentirsi sicure.

Lei mette l’accento su un aspetto
importate: la percezione. Nei suoi scritti mi è sembrato rivolgesse un
invito alle donne a vivere attivamente questa sicurezza, questa libertà.

Allo stesso tempo tutto questo è possibile soltanto se ci si sono anche
da parte delle istituzioni delle politiche tali che rendano questo
agevole. E ritorno alla questione delle risorse: piuttosto che fare
politiche dirette alla scurezza e mettere soldi lì, fare politiche
dirette alla fiducia generalizzata, che poi sono le vecchie politiche
sociali.

*Docente di sociologia all’Università di Perugia e autrice del libro "Che genere di sicurezza. Donne e uomini in città" edizioni Franco Angeli

da Global Project

Posted in Fem/Activism, Precarietà.


2 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. fikasicula says

    grazie emanuela. lo abbiamo appena segnalato su un nuovo post.

  2. Emanuela says

    ciao vorrei segnalarvi http://www.dachepartestare.org