La incontro al mattino, sul tardi. Ha la faccia di sempre, la solita misura di capelli. Ne troppo lunghi ne’ troppo corti. Una maglia troppo stretta che le strizza i seni e un pantalone rossastro.
"Non avrei mai messo un pantalone così. Mi fa il culo grosso." – mi chiede conferma.
"E’ un bel culo." – le dico.
"Non ho uno specchio."
"Magari è meglio così. Almeno non ti fai tante paranoie."
"Si, ma qui non sei a casa, dove puoi indossare quello che vuoi tanto nessuno ti vede. Qui sei fuori anche se sei dentro. Si dorme assieme, si vive assieme, si mangia assieme e poi ci sono quelli che vengono da fuori che ti guardano." – ricorre la parola *fuori*. Di sicuro non è un caso.
"C’e’ qualcuno che ti piace?"
"Un ragazzo, è gentile, ma è troppo giovane." – sorride.
"Come sta tua madre?"
"La vedi. Si pettina e continua a rovistare nella scatola che le abbiamo recuperato in casa. Continua a dire che le manca qualcosa."
"Lettere? Foto?"
"Ma si. Cose sue."
"E tu?"
"Io? Non so che dirti. Penso agli amici che sono morti e mi perdo in pensieri stupidi…"
"Che pensieri…"
"Sai quel libro? Quello che mi avevi regalato tu?"
"Cecità, di Saramago"
"Si, quello. Non sono mai riuscita a finirlo. Stava poggiato sul comodino e ora è la’ sotto assieme alle mie scarpe nuove e alla camicia che mi stava tanto bene…"
"Vuoi che ti racconti come va a finire?"
"No no. E’ che mi pare di essere quasi nella stessa situazione. Solo che noi non siamo ciechi e invece di rinchiuderci per il pericolo di contagio ci hanno messe in questi posti sorvegliati."
"Ti porto il libro appena ci rivediamo. E comunque non hai pensieri stupidi…"
"Mo’ mi dici cuscì perchè mi vuoi bene ma non è normale pensare alle scarpe, al libro. All’inizio non me ne fregava niente. Poi invece ho capito come ti sentivi tu… sai quando mi dicevi della nostalgia, quella storia dei traghetti…"
Rido. "Traghettare i ricordi da un posto all’altro…"
"Si. Quello. Mi mancano le piccole cose. Sciocchezze, lo so."
"Non sono sciocchezze. Stai già ricominciando a mettere assieme la tua identità. Quello che hai perso."
"Con le scarpe?"
"Anche. Le avevi scelte, ti piacevano, facevano parte di te. Quello che indossi ora invece è roba raccattata alla meglio e l’hai messa senza esserti guardata allo specchio. Non ti rappresenta."
"Ma qui non si possono chiedere le scarpe e neppure altre cose di questo genere. Ti prendi quello che arriva. E noi non siamo neppure così disgraziate… C’e’ chi ha più bisogno e sta peggio."
"Domani ti porto con me e andiamo a fare shopping."
"Ma se non c’hai un euro…"
"Però ho un armadio pieno di roba e uno specchio. Così ti scegli quello che vuoi e che pensi ti stia bene."
Ride. "Non posso. C’e’ mia madre."
"Portiamo anche lei. Pensaci. I ricordi ti fanno forte, ti danno una identità. Il terremoto te li ha distrutti e la ruspa che passerà sopra le tue cose per spianare il terreno finirà il lavoro. Devi pretendere quello che ti serve. Le tue esigenze…" – teorizzo e mi fermo. I suoi occhi sono concreti e severi. Lei ha responsabilità e doveri. Di diritti per ora non se ne parla. C’e’ poco da filosofeggiare.
"Si, lo so. Ma qui sei incasellata. File, turni, numeretti. E’ già una fortuna se puoi fare una doccia con l’acqua fredda. Se ti lamenti ti danno un calmante. Io devo pensare a mia madre."
"Ma tuo fratello?"
"Gli hanno *offerto* casa in affitto a Roma. Mia madre non si vuole spostare da qui e devo restare con lei."
"Lo sai che la storia è lunga. Non vi daranno la casa prestissimo…"
"Lo so. Appena mia madre si convince ce ne andiamo. Anche se io sono diventata claustrofobica."
"In che senso…"
"Nel senso che ora quando entro in una casa, tipo quella di mio fratello dove siamo state per lunedì di pasqua, guardo i posti dove mi posso riparare in caso di terremoto. Ho sempre la brutta sensazione di restare schiacciata. Nessuna casa mi sembra sicura…"
"Hai ragione. Ci penso anch’io senza essere stata in mezzo al terremoto. Continuo a dire al mio compagno che faremo la fine delle sogliole e l’ho costretto a fare le prove per vedere se ci stiamo in due sotto il tavolo…"
"E ci state?"
"No. Lui è troppo alto…"
"Quindi?"
"Vorremmo cambiare casa, ma tu lo sai. I proprietari speculano sugli affitti anche se ti danno appartamenti di merda e i prezzi sono indecenti…"
"E allora?"
"Penso che cambieremo tavolo…"
La lascio nel pomeriggio. Mi rimetto in viaggio per andare a trovare altre persone amiche, care e sfollate. Sto incastrata al casello d’ingresso di un’altra città e penso che le vittime del terremoto avrebbero diritto allo specchio, a farsi belle, a sentirsi bene con se stesse anche in quella situazione. Avrebbero diritto anche ai libri. Servono i libri. Io non potrei vivere senza libri. Perciò non è vero, no. Le sfollate e gli sfollati d’abruzzo non hanno tutto. E la new town serve solo a speculare su uno sradicamento doloroso e obbligato. Bisognerebbe restituire una identità a chiunque. Invece non fanno che togliercela per sostituire con il cemento (depotenziato) i nostri ricordi. Un popolo senza memoria si costruisce anche così.
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Aggiornamenti dall’Abruzzo
Fossa: il campo (e la gente che c’era dentro) è stato rinchiuso dopo una certa ora per motivi di sicurezza (???). Impedito dunque sia l’ingresso che l’uscita nella notte del 15 aprile.
Vasto (Chieti): sono stati sequestrati 150 chili di cibi avariati, somministrati in parte durante il pranzo di pasqua, in un albergo che "ospita" gli sfollati d’abruzzo.
Anna, MissKappa, continua a chiedere dei morti non dichiarati, quelli non identificati e ancora sepolti sotto le macerie.
I migranti sopravvissuti hanno paura. Le loro carte per il rinnovo del permesso di soggiorno stanno sotto le macerie. Senza casa e alcuni senza lavoro. Sono storie che nessuno ha voglia di raccontare.
Molte notizie aggiornate, audio, foto, video, le trovate su Indymedia abruzzo. Per partecipare o seguire il lavoro della solidarietà dal basso: Epicentro Solidale. Andata e Ritorno è un blog con report quotidiani, foto e video, di alcun* dei volontar* di Epicentro Solidale. Su Metro Olografix trovate i dettagli del progetto per dare connettività ai campi.
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Sciacallaggi
Nazionalismi da tragedie
Machismi da tragedie
Quando ti è stato tolto tutto, ogni singola cosa pesa come un macigno. Pesa non truccarsi, pesa non poter andare dal parrucchiere, pesa non poter leggere, pesa non essere autonomi, pesa non poter mangiare cosa si vuole, pesa ogni privazione, ogni rinuncia. Di qualcosa si può fare a meno, ci si impara a convivere, di tutto… NO! Ma solo chi ci passa può capirlo, gli altri danno fiato alla bocca.