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Modelli di virilità ed economia della ricostruzione

Il mio migliore amico è a disagio. Gli sembra assurdo che si continuino a esaltare modelli di virilità. Mi ricorda il nostro ultimo terremoto insieme. Fu bello forte. Lui preso dal panico. Io lucida e razionale. Voleva scapicollarsi dalle scale di un palazzo decisamente inaffidabile, io l’ho fermato e gli ho detto cosa fare, con il sangue freddo che mi viene sempre nei momenti più tragici. Poi tutto è finito, avevamo una via di fuga e sono crollata. Mi tremavano le gambe. La paura si è presa il posto suo. Lui mi ha sorretta. Mi ha aiutata e insieme, gatto incluso, siamo usciti fuori. Nessuna gara tra i sessi, abbiamo entrambi compreso le nostre reciproche fragilità e apprezzato e usato i nostri punti di forza: io funziono meglio nei momenti di kaos e lui gestisce perfettamente le situazioni che poggiano su qualche certezza.

Mi racconta del periodo in cui fece il volontario "obiettore di coscienza" (l’alternativa obbligatoria al militare fino a qualche anno fa) e si ritrovò intruppato con la protezione civile in umbria. Montavano le tende, scaricavano materiale, facevano turni di cucina. Non c’era differenza. Si facevano un culo così tutti quanti. Perciò non capisce perchè vengano incensati gli uomini e non si veda una sola donna a fare quello che sicuramente sta facendo.

A chiederselo è proprio lui che da una vita lotta per prendersi il diritto ad essere un uomo diverso dai modelli machisti che gli hanno imposto. Ha il timore di essere aggredito nuovamente da una cultura che esige da lui di rappresentare tutto quello che non vuole essere. "Rambo, i pompieri dell’11 settembre a new york, john wayne… ma come faccio. Di nuovo questi qui che mi dicono che io sono *sbagliato* e invece quelli che obbediscono agli ordini, stanno negli eserciti e ammazzano le persone nella guerra sarebbero temerari, impavidi, quelli *giusti*. No. Non mi interessa. Io da grande volevo fare il Massimo Troisi e pure quello mi sembra faticoso…"

Dell’umbria si ricorda che le donne erano tutto meno che vittime passive. Anzi spesso erano quelle che davano coraggio e forza ad anziani, mariti e figli. Si muovevano in quella situazione come se avessero sempre vissuto da terremotate. Tanta grinta e molto buon senso (come la dottoressa dell’ospedale che ieri ha messo in difficoltà schifani rovinandogli la passerella o le donne intervistate dalla Comencini). "Un po’ come sei tu" – dice provando a lusingarmi. "Ma nessuno ti delega niente e io non mi sento minacciato, non ti preoccupare…" – sorride e previene una mia reazione.

Riassumendo: c’e’ chi si sta dando un gran da fare per riaffermare una cultura paternalista e autoritaria nel nostro paese. Tant’e’ che non si vuole riconoscere agli immigrati (di qualunque sesso) il ruolo di vittime del terremoto (semmai di sciacalli, quel  ruolo gli calza sempre bene). E non si parla di immigrati che hanno scavato e salvato qualcuno. Le donne e gli immigrati non possono dunque essere eletti a modello positivo, soggetto attivo della società.

La ministra delle pari opportunità l’abbiamo vista curare occasionalmente l’animazione dei bambini e il premier è andato a recuperare l’immagine di uomo forte. Gli immigrati non trovano posto in nessun caso. Tirare fuori una storia (per esempio) di un pompiere nero, romeno o gay che salva qualcuno sarebbe stato dirompente. La Russa si sarebbe rotolato su se stesso per controllare che i microgrammi di testosterone che possiede fossero ancora tutti lì.

Durante la trasmissione Annozero abbiamo visto Giordano, direttore de Il Giornale, che dall’alto della sua voce "poco virile" si affaticava a difendere "gli angeli". D’altro canto la stampa di centro destra ha fatto così tanta fatica per costruire la figura del volontario bello e impossibile e che non deve chiedere mai. Persone che "hanno rischiato la vita". Siamo ai piani alti vicini a Dio. Nominarli invano è come bestemmiare.

La verità però è un’altra. E’ più comodo ricondurre la critica – rivolta alla cattiva organizzazione e all’assenza di coordinamento tra i vari pezzi della protezione civile – ai volontari che non alla testa del gruppo.

Perchè è questo che si è detto ad annozero e anche in molti altri spazi di discussione. E’ il coordinamento che manca. E’ il coordinamento che non funziona. E’ l’assenza di coordinamento che manda tutto nel pallone. E’ l’accentramento senza responsabilità periferiche che rende scoperte tante zone dove la gente continua a dormire all’aria aperta e a non sapere come fare. Rendersi inattaccabili, stimolare sensi di colpa, investire sull’immagine del volontario forte e coraggioso, l’eroe senza macchia e senza paura, significa relegare la critica, il diritto di controllo su come saranno spesi i soldi, nella nicchia delle "polemiche" sterili, delle "critiche ingiuste", immeritate, quindi denigrabili nel momento stesso in cui vengono fatte. Non c’e’ modo migliore di censurare la critica a priori che quello di battere sul senso di colpa e sulla molla della riconoscenza verso i giovani eroi.

Perciò parliamo del fatto che si impedisce la critica alla protezione civile per inibire la critica alle modalità di ricostruzione e di utilizzo delle risorse economiche da ora in poi. Parliamo del modello autoritario a gestione monocratica. Parliamo di Bertolaso. Parliamo del fatto che la protezione civile avrà a che fare con il g8, che dunque si dedica all’organizzazione di happening culturali e circhi mediatici al servizio di berlusconi. A Bertolaso è stato dato potere su tutto. E’ lui che dovrebbe coordinare e gestire i primi 30 + 70 = 100 milioni di euro per soccorsi e ricostruzione.

I singoli comuni pare che non debbano gestire un euro. Già si parla di ricostruzione non partecipata ma imposta dall’alto. I sindaci di molti paesi si ribellano. A Onna, luogo decisamente trascurato da tutti, si è già costituito il primo comitato di cittadini che vuole partecipare alla ricostruzione. Non vorrebbero nessuna new town. Vorrebbero decidere cosa fare delle loro case e dunque delle loro vite.

L’accentramento già avviene a partire dal controllo sulla solidarietà, dal fatto che non viene ammesso nessun esempio di solidarietà autorganizzata. Tutto deve restare sotto il rigido e militaresco comando della protezione civile a gestione Bertolaso la quale non è in grado di coordinare neppure se stessa.

A chi offre aiuti si dice di convertirli in soldi da dare in gestione alla protezione civile.

Tempo fa si diceva "niente soldi ma opere di bene". Ora si dice "niente opere di bene ma soldi". Dunque viene spontaneo chiedersi dove finiranno e come saranno spesi.

Innanzitutto la domanda è: come si certifica la solidarietà consegnata ad altri? Qualcuno rilascia una ricevuta? Qualcuno dirà come saranno spesi i soldi donati alla protezione civile per l’abruzzo? Potremo controllare il bilancio? Ci sarà un resoconto trasparente? Da chi saranno gestiti i soldi e come?

Proviamo a fare una previsione utilizzando dei paradossi:

Diciamo che i soldi arriveranno tutti in un unico luogo gestiti da un’unica persona che deciderà come spenderli immaginando che i cittadini abruzzesi non sappiano decidere per se’. Anzi, il fatto che abbiano costruito male le proprie strutture, cosa che viene sorprendentemente fatta emergere con forza anche dai membri di questo forte e virilissimo Stato, toglie credibilità a tutti i riferimenti locali e accredita l’idea che dato che non sono in grado di fare bene da soli allora ci dovrà essere il padre, l’adulto, che dall’alto sistemerà tutto per loro.

Questa, che ci crediate o no, sarebbe l’antitesi della democrazia dove le risorse normalmente dovrebbero essere condivise, la gestione decentrata e suddivisa tra poteri diversi che esercitano un controllo reciproco e realizzano varie sovranità territoriali.

Come dire: se i poteri abruzzesi hanno sbagliato, questo non da’ a berlusconi il diritto di annettere l’Abruzzo ad Arcore.

Le affermazioni del premier infatti non sono per nulla tranquillizzanti:

Lui ha parlato di ricostruzione divisa per province e del progetto "adotta un monumento" anche per gli stati stranieri. In questo modo L’aquila e dintorni non apparterrebbero più ai cittadini locali ma sarebbero zone in project financing e in franchising. Si tratterebbe dunque di un progetto di privatizzazione dell’intera città e dei comuni vicini.

Pensate a quello che già accade per restauri di aree monumentali. Le fondazioni o società che "donano" le ristrutturazioni poi diventano responsabili della gestione delle "entrate" dei ticket d’ingresso per turisti in visita e dei punti infoshop con souvenir a prezzi di mercato.

Pensate che gli stati uniti potrebbero appaltarsi il restauro di pezzi di centro storico de l’aquila. Chi esigerebbe poi gli introiti di ticket turistici?

Nella dimensione futura post federalista degli enti locali intesi come aziende come potrebbe chiamarsi l’intervento economico della provincia di brescia su quella de l’aquila? Annessione in modalità economica? Partecipazione con diritto agli utili? Scalata azionaria?

Insomma: Dare licenza al mondo di mettere le mani su una intera città per frammentarne le titolarità e i diritti economici non è come svenderla al miglior offerente? E’ questo il destino che ci spetta?

Come per il Ponte dello stretto di messina, appalto assegnato a impregilo, project financing tra pubblico e privato e ticket di ingresso al privato che guadagnerà come la società "autostrade". 

Però: pagare pedaggio per attraversare una autostrada o un fantasmagorico ponte è una cosa. Pagare pedaggio per entrare e uscire dalla propria città o – peggio – da aree differenti della propria città (un po’ appartenente alla provincia di brescia, un po’ di lucca, un po’ di agrigento e un po’ del texas) è cosa ben diversa.

E poi: come è possibile dare ampi poteri ad un solo uomo esautorando i poteri locali? Gli aquilani avranno il diritto di decidere dove dovrà sorgere la loro città o no?

Questa è la domandona da mille punti!

—>>>Per capire come viene usato un disastro dal punto di vista economico potete leggere il libro Shock Economy di Naomi Klein.

Ps: se vi state chiedendo cosa c’entrano i modelli di virilità con l’economia della ricostruzione sappiate che sono cose connesse tra loro. L’autoritarismo si costruisce a partire dal controllo dei corpi, dalla riassegnazione di ruoli precisi, sessuati, dal recupero dei modelli sociali e culturali che giustificheranno l’attribuzione di incarichi ad un solo uomo. Il ventennio fascista non era poi tanto diverso dal periodo nel quale stiamo vivendo adesso. Con qualche particolarità: fare autarchia in tempo di mercati globali, grandi marchi e circuiti macroeconomici è un meccanismo che può disorientare ma non è poi così differente.

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