A Roma, lo ricorderete, mentre i bambini degli immigrati vengono condannati all’invisibilità, si è parlato di posto al cimitero per i feti abortiti. La questione veniva sollevata da una lettera inviata a repubblica da parte di una donna che aveva vissuto una terribile esperienza all’ospedale san camillo. Non abbiamo ancora capito come possa essere stata applicata una procedura che per legge non ci pare sia prevista, quantomeno non nel lazio. A meno che non si tratti di un regolamento comunale redatto appositamente dalla giunta Alemanno. Non ci sorprende comunque – purtroppo – scoprire che questo modello di criminalizzazione ha attecchito talmente tanto da generare dei veri e propri gesti di violazione della privacy e di istigazione al linciaggio di donne che hanno interrotto la gravidanza, sebbene in questo caso si tratti di aborti spontanei.
Leggiamo su Metro News:
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Trovare il proprio nome scolpito su una lapide. La lapide di un figlio abortito. Può accadere alle donne uscite dall’inferno dell’interruzione di gravidanza in un ritaglio del cimitero di Prima Porta dove riposano i bimbi mai nati.
Ed è quanto è accaduto a Francesca, 35 anni, che ha perso il bambino
alla 23esima settimana di gestazione. Situazione amara, che mescola
dolore ad una prassi che cammina sul crinale della violazione della
privacy. Tutto comincia in ospedale, dopo l’intervento. «Si seguono le
procedure – fa sapere la Direzione sanitaria dell’ospedale Sandro
Pertini interpellata da Metro – i genitori devono firmare sempre un
consenso per la sepoltura». «Prima delle 20 settimane il feto può
essere smaltito come rifiuto speciale, oltre le venti devono decidere i
genitori » fa sapere invece il Tribunale del Malato. Questa, almeno, è
la legge. Nei casi concreti, però, è possibile che la richiesta di
consenso sia pietosamente nascosta alla donna sotto una pila di
scartoffie da firmare. Ciò che sorprende è il nome della madre sulla
tomba. Una situazione paradossale che, però, è inquadrata in una
prassi. L’Ama (che gestisce i servizi cimiteriali) riceve il permesso
di inumazione dalla Asl: sul documento che accompagna il feto c’è
scritto “figlio di” seguito dal nome della donna. Gli operatori hanno
così il solo nome della madre come riferimento: ed è ciò che usano per
indicare la sepoltura. Una scritta – in teoria – temporanea che serve a
identificare la tomba in attesa che i genitori sostituiscano la croce
con una lapide. Una cosa che, però, accade di rado.
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Una croce che indica la sepoltura di un feto e un nome. Quello della
madre che ha appena abortito. Dopo la notizia riportata da Metro circa
questa inusuale pratica di sepoltura in uso al cimitero di Prima Porta, resta da capire perché, invece di rendere pubblico il nome della donna che ha abortito, gli operatori non usino un codice.
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Il quinto dipartimento (cui fanno capo i servizi funebri e cimiteriali)
ieri è stato lapidario, nell’aggirare la questione: «Il problema è
tutto in capo alle Asl di riferimento» ha fatto sapere. La Asl però non
dispone le modalità di sepoltura. Questa fa capo all’Ama, che gestisce
i servizi cimiteriali. «Noi applichiamo un regolamento – ha fatto
sapere l’Ama – e ci rendiamo conto del problema: siamo disponibili a
cambiarlo. Il problema è che il regolamento lo deve redigere il Comune,
noi possiamo solo applicarlo». «GRAZIE» […]
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Se avete stomaco per sapere altro sul versante delle violazioni QUI potete leggere una seconda lettera inviata ancora a repubblica che narra di un aborto in uno sgabuzzino del fatebenefratelli di milano."Come le mucche" dice la mittente della lettera. Buttiglione l’altra sera a porta a porta, mentre parlava dell’inutilità dei gay, lo diceva con chiarezza: le donne hanno una utilità sociale ovvero la riproduzione della specie. Se non riproducono non servono a niente. Vacche, per l’appunto.
Scrissi tempo fa: “Ultima penosa iniziativa atta a tormentare donne in cerca di un disperato equilibrio, la proposta di seppellire non solo i feti, ma persino gli embrioni abortiti. Una pretesa equivalenza perfetta tra materia cellulare – vita in potenza – ed individuo che sogna, trema, gioisce e si strugge – vita in atto. Si spalanca allora una questione non da poco: ad ogni persona viene dato un nome; se l’embrione abortito viene ritenuto persona uccisa ed inumato come tale, sulla lapide dovrà essere apposto un nome. Ieri ho fatto una sborrata sul tappetino del cesso. L’ho chiamata Alfredo”.