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Storie di violenze: Sally e Donna del Sud

Dal decalogo per donne stuprate e dal dodecalogo per donne NON stuprate (che diventerà un memorandum arricchito di interventi e suggerimenti che via via stanno arrivando) è emerso soprattutto il bisogno di tante donne di raccontarsi sapendo che dall’altra parte c’e’ qualcuna ad ascoltarla. Il segreto che ha sempre aiutato le donne a sconfiggere tante difficoltà si realizza in rete, con la velocità e l’annullamento delle distanze proprie del web. Condividere esperienze e consapevolezze, trucchi e testimonianze. Tutto quello che può servire per aiutare altre sorelle a non vivere la stessa brutta esperienza. Ci sono quelle che a proposito di stupro hanno scritto che si trattava proprio della storia della loro vita (mi dispiace moltissimo), quelle che hanno scampato una violenza per un pelo, quelle che si sono sentite molestate da padri, amici, compagni, datori di lavoro. Molte parlano di ex fidanzati, poche di sconosciuti. Come vi fosse una folla di donne inascoltate che hanno bisogno di un po’ d’attenzione anche per loro. Per tutte quelle delle quali nessuno parla. Per le ragazzine prese sempre per bugiarde, per le adolescenti che non sanno come dire quello che è successo, per le adulte che pensano non ci sia proprio nessuno a volerle ascoltare e che vivono le loro storie nella più totale solitudine.

Perchè sapete: fa bene, è sicuro, leggere che si parla di lei, o lei, o lei, per dire che non è mai stata colpa sua. Fa bene all’anima di queste donne torturate in ogni modo, di queste ragazzine trattate da bugiarde, di queste bambine che oltre il danno devono subire anche il senso di colpa per aver denunciato il loro papa’. Fa bene alla vita leggere che queste anime martoriate vengono riconosciute, viste, guardate con attenzione. Perchè lo meritano, hanno guadagnato l’interesse dell’opinione pubblica con il sangue. Eppure ancora non si parla di loro. Eppure continuano ad essere invisibili, costrette dai sensi di colpa e messe spalle al muro da processi durante i quali i loro violentatori negano, negano, negano. Il giudizio della società è difficile da gestire. Persino in carcere continuano a negare, come dicono le persone che si occupano del recupero dei sex-offenders a Bollate: "In carcere la negazione è usata per difendersi dagli altri. La cosa piùfacile e più frequente è cercare di dimostrare al compagno di cella maanche allo stesso operatore che è tutta un’invenzione, che si èinnocenti, che si è vittime di un tragico errore. Questo serve amettersi al riparo dalle critiche e anche a difendersi da se stessi. Edè lo stesso meccanismo che si mette in atto dentro la famiglia, con lapropria moglie o con la propria compagna, quando ancora non si è finitiin galera. Distorsioni della realtà a cui, troppo spesso, si finisceper credere". Il lavoro principale degli psicologi, allora, è quello sulla negazione."

In questo periodo hanno scritto anche tanti che "negano" che le donne siano veramente oggetto di violenze e molestie, contestano i numeri, producono scuse, immaginano che le persone di sesso femminile mentano tutte, bimbe comprese. Quando si parla di violenze e stupro quindi da un lato c’e’ una forte richiesta di ascolto da parte di chi vuole raccontare quello che le è successo e dall’altra c’e’ un pezzo di società che fa esattamente la stessa cosa dei sex-offenders nel carcere di Bollate: nega. La negazione diventa difesa del genere maschile. Si nasconde dietro mille "non siamo tutti uguali" e in realtà è proprio chi ha bisogno di ribadire questo concetto che teme di essere riconosciuto quantomeno come parte collusa di un sistema molesto per le donne. La negazione diventa anche il mezzo per non affrontare conflitti personali: con le mogli, le ex, le figlie, le madri. Si generalizza l’ostilità e la diffidenza verso tutte le donne a partire da un conflitto personale non risolto. Ci sono storie di uomini accusati di violenza alle proprie figlie, uomini separati che puntano i piedi per ottenere l’affido di un figlio, ritenendosi vittime di grandi complotti e esprimendo odio per un sistema sociale che secondo loro premia le donne e discrimina gli uomini, tutti invece che lui soltanto. Uomini che lasciano messaggi vergati con il sangue, spesso nel web, rivolti a chiunque, figli compresi, conditi di vittimismo, odio, principalmente egoismo. Nelle parole che si possono leggere non c’e’ mai l’interesse per la serenità del proprio figlio. Solo per se stessi, descritti in autobiografie vittimiste e tutt’altro che equilibrate.

Parlare di violenze che attraversano le relazioni apre talmente tanti conflitti da non riuscire a risolverli se non poco a poco, un passo alla volta, provando a fare un bilancio di tanto in tanto e senza avere fretta perchè le conquiste sociali non sono mai facili, se la società è quella micro, chiamatela famiglia o coppia, è ancora più difficile. E’ il nervo scoperto che non si riesce ad affrontare per paura di farsi troppo male, perchè i micronuclei sociali devono resistere a tutto, poichè su di essi si basa il nostro welfare. E’ l’obbligo di riprodursi per "continuare la specie" che tiene incollate le coppie anche quando dovrebbero stare lontane a viversi momenti di vita separata. E’ il bisogno di vivere una dimensione emotiva, affettiva, sessuale, che ci porta a cercare qualcun@. Le relazioni non si fermano. Invece di medicarle si preferisce tenerle in apnea, drogate da significati ignoti, potere della televisione, dei messaggi mistici che uomini "superiori" ci dedicano. Si apre una finestra e da lassu’ qualcun@ ci dice come vivere la nostra vita, come amarci e andare d’accordo. A dire queste cose in genere è sempre chi è in una posizione di potere tale da non dovere concordare niente con nessuno. Chi domina il sistema di relazioni non dovrebbe legiferare su di esse. Le regole le fa chi non capisce. Noi dobbiamo applicarle alle nostre più modeste vite.

In ogni caso quello che emerge quando si parla di violenza alle donne è l’inisieme di paure e di necessità vere delle donne. L’approccio non può essere ideologico. Di mezzo ci sono vite, persone. Nessuno può dire loro come sentirsi più sicure. La paura è sempre irrazionale e nessuna di noi può pretendere dall’altra che faccia scelte sulla base di una convinzione puramente politica.

Io per mio conto non credo al carcere, alla sua rieducazione, inutile se la società non si rieduca assieme agli stupratori, e non credo sicuramente nelle ronde che possono venire a frugare nella mia vita senza licenza, solo perchè pensano di averne il diritto.

Io non credo nella psichiatria guaritrice, nelle pene certe, negli arresti rasserenanti. Parlo di autodifesa, l’ho imparata, per necessità mica per scelta. Poi però la mia unica difesa è sempre stata quella di attivare le antenne, captare situazioni odiose, lasciar perdere persone che dopo la prima volta – credetemi sorelle – le fiuti anche da lontano. Percepisci il loro odore anche via web, perchè gli individui molesti alla fine si somigliano un po’ tutti.

Quando è servito alcune donne che conosco hanno chiamato le forze dell’ordine. In qualche caso sono state ignobili – le forze dell’ordine – altre volte invece comprensive. Se c’e’ qualcuno che ti minaccia gravemente e non si vive più per la paura spesso l’aiuto di qualcuno può servire. Mi sarebbe piaciuto che queste donne trovassero il modo di andare lontano, in case protette, per trovare lavoro, rifarsi una vita, senza doversi affidare alla protezione di nessuno. Però queste possibilità in italia non ci sono. I centri antiviolenza, cui è bene sempre rivolgersi, non finanziati, fanno fatica ad assistere le donne e per scelta dello Stato, tutta la difesa viene delegata a polizia e carabinieri che spessissimo arrivano quando è oramai troppo tardi. Arrivano a "punire il colpevole".

E’ questo che fanno. Puniscono, ingabbiano, raramente prevengono. Le uniche misure preventive che loro concepiscono hanno sempre una modalità invasiva della privacy altrui: intercettazioni, microchip, collari elettronici. Metodi cioè attraverso i quali se hai bisogno di aiuto tu dovresti chiamare o fare segnali in codice mentre loro si materializzano per cacciare via il tuo aggressore. Roba da fantascienza e ci sarà qualcun@ che prima o poi proporrà un segnalatore direttamente in vagina. Nessuno parla di prevenzione sociale. Educazione, formazione, corretta comunicazione. Tutto va risolto dopo.

Queste le consapevolezze. L’aspetto pratico è veramente più complicato. Le donne che subiscono violenza spesso si trovano da sole. Non hanno una rete amicale, forse è stato proprio lui a fargliela perdere, non hanno paracaduti sociali, o se li hanno comunque la dimensione psicologica della molestia li coinvolge fino in fondo e con una società che tutt’attorno racconta balle e dice che le donne sono trattate benissimo in famiglia e che quando denunciano dicono il falso non hanno certo le spalle coperte per affrontare denunce, processi, separazioni.

Quando una donna si sente minacciata e ha paura, chiede protezione. Questo le hanno insegnato a fare. Insegnare l’autonomia, anche di pensiero, è cosa difficile. Se insegni l’autonomia ti sei giocato una schiava. Se la insegni a tutta la società ti sei giocato un regno e milioni di sudditi e suddite. Perciò le donne chiedono protezione. Se la ottengono spesso passa l’ansia, che uccide più di molte altre armi. La paura tiene sotto scacco. L’ansia paralizza. Una donna libera dall’ansia riesce a continuare a vivere. Altrimenti è morta prima ancora di morire per davvero.

Perciò tra le storie che da ora in poi – di tanto in tanto – vi racconterò ce ne saranno alcune che chiedono i rinforzi, altre che non li chiedono, altre che affiderebbero la soluzione dei loro problemi alla giustizia e esigono attenzione, altre che parleranno di trattamento sanitario obbligatorio per i molestatori. Tutte meritano eguale rispetto perchè questo è il momento di fare parlare le donne che hanno subito cattive esperienze e sono ancora in grado di raccontarcelo. Poi, con serenità, parleremo di tutto il resto.

La prima storia che pubblichiamo è quella di Sally. Una storia di stalking quando neppure si parlava di questo tipo di molestia. La seconda è la storia di "Donna del Sud" che scrive di un tentativo di violenza per fortuna finito bene. Grazie ad entrambe per averle condivise con noi e per averle regalate a voi. Non pensate sia semplice. Costa tanto, costa sempre, raccontare violenze vissute. Se c’e’ qualcuna che lo fa bisogna esserle grata perchè ogni violenza svelata è un mattone in più per evitare violenze ad altre donne. Chi ha voglia di costruire con noi questo percorso è bene accett@. Buona lettura!

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Il cellulare non smette di suonare. Di ricevere messaggi. Ne arrivano in continuazione, e ancora, e ancora, e ancora, e ancora… Scrive, invia, ricevo. Scrive, invia, ricevo. Scrive, invia, ricevo. E così, 24 ore al giorno, in continuazione. Così, giorno dopo giorno. E’ andata avanti per mesi. Mi ha stravolto la vita, per mesi.
Era una persona con cui avevo avuto una breve relazione di tre mesi, che avevo chiuso io, senza alcun dubbio. Avevo notato qualche suo comportamento ossessivo e paranoico, ma non avevo dato molto peso alla cosa. Un anno dopo avevo iniziato una nuova relazione, ero serena, non avevo saputo più niente di lui. Iniziano ad arrivare telefonate, rispondo. Dall’altro capo del filo una persona completamente sconnessa dalla realtà, che sembra non capire ciò che gli dico e che parla come se tra noi ci fosse qualcosa o la nostra relazione fosse finita il giorno prima. Mi rendo conto che non è lucido, cerco di tagliare corto. Da quel giorno inizia l’ossessione. Prima telefonate continue, a cui non rispondo. Poi inizia con gli sms di giorno e di notte, ossessivi, molesti. Mi ama, dice, vuole tornare con me, dice, mi vuole parlare, dice. Io ho già parlato e detto tutto più volte e senza essere neanche ascoltata. Mi viene a cercare in ufficio. Mi lascia messaggi anche lì. Inizio ad avere paura. Riesco ad evitarlo sempre ma ho paura. Avverto la portineria dell’ufficio, smetto di uscire in pausa pranzo, avverto il portiere di casa mia. Cerco di stare al telefono quando esco e quando torno, per non sentire la paura. Ho paura di uscire, di tornare, di andare a lavorare. Inizio a guardare dallo spioncino prima di uscire dalla porta la mattina, mi guardo continuamente alle spalle in strada, ho paura di trovarlo sulle scale che mi aspetta. Penso di non potermi difendere, mi penso inerme, penso che è fuori controllo, che mi può aggredire. La paura è stata il sentimento dominante soprattutto all’inizio, mista a senso di colpa. Anche perché un contatto così ossessivo e ripetitivo, anche se a senso unico, ti può incastrare. Perché io non ho mai risposto ai messaggi, alle telefonate, ma il telefono era sempre con me. E io vivevo nell’ossessione e nell’ansia del messaggio in arrivo. Di questa persona che immaginavo da qualche parte a mandarmi continuamente, per 24 ore al giorno messaggi sul cellulare. E che temevo di trovarmi davanti ovunque andassi. Scrive, invia, ricevo. Scrive, invia, ricevo… Psicologicamente devastante. Mi sono sentita sola, inerme, indifesa. Anche perché mi sono trovata ad aver a che fare con chi ti dice “eh, che gli farai gli uomini!”, oppure “eh, si, tutti tu quelli strani, eh?” o simpatiche frasi del genere. Che fanno sentire ancora una volta te in qualche modo responsabile della follia altrui.
Ci ho messo un po’ a provare rabbia, rabbia vera, desiderio di reagire e difendermi, a capire che io quella cosa non me la meritavo, che non avevo fatto niente di male, che era lui che era andato fuori di testa e aveva bisogno di aiuto, che io non avevo responsabilità. Ma per uscirne avevo bisogno di aiuto anche io. E l’ho chiesto, ho chiesto aiuto, sostegno, presenza, al mio compagno, alle amiche fidate, agli amici, alla psicologa. E’ la rete che funziona in questi casi, che ti fa scendere dalla giostra. Ho provato su di me le cose in cui ho sempre creduto e che ho sempre ripetuto, ma che non avevo mai sperimentato: che nessuno ha il diritto di farti sentire costantemente in pericolo, nessuno ha il diritto di invadere la tua vita, di decidere per te, di costringerti a modificare le tue abitudini (io, che vivo da sola da anni, che da sempre torno da sola di notte senza timori, avevo smesso di uscire di sera se non accompagnata!), di molestarti. Ho cercato e trovato il sostegno che mi serviva e ho finalmente deciso di denunciarlo. E la denuncia serviva alla sua famiglia, che rendendosi conto della situazione, cercava di farlo curare. Ma la cosa geniale è che la nostra legge prevede il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) in pochi e limitati casi. Lui era fuori di testa e potenzialmente pericoloso, tutti lo sapevano, anche la sua famiglia, e non potevano fare niente. Una denuncia, mi disse sua sorella, può aiutare anche noi ad aiutarlo. Ho cambiato numero di telefono, di modo che il mezzo privilegiato delle sue molestie non ci fosse più, con una serie di problemi burocratici e di lavoro perché era un numero aziendale. Ho fatto la denuncia, davanti a un poliziotto che inizialmente sfoggiava un sorrisetto come se gli stessi raccontando dei dispetti di un bambino un po’ furbetto e non delle molestie di una persona disturbata. Poi ha capito e ha cambiato atteggiamento. Credo che la denuncia gli sia stata notificata ma da allora, è passato più di un anno, non ne so più nulla, si deve essere persa tra un furto di motorino e uno di portafoglio. So che la famiglia, alla fine, è riuscita a farlo curare in qualche modo. Io sto bene, è passata. Ho chiesto aiuto, ed è passata.

Sally

 

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Subii un tentativo di stupro quando avevo diciott’anni. Non me l’ero cercato nemmeno un po’, erano le tre di pomeriggio e camminavo su una strada poco frequentata ma non particolarmente malfamata. Ero riuscita a dare il famoso calcio al posto giusto a chi stava tentando di trascorrere un piacevole quarto d’ora con me senza chiedermi il permesso. Lui aveva perso un attimo la presa, ero riuscita a allontanarmi, poi era passata un’auto lungo la strada dove mi trovavo, insomma a quel punto il momento fortunato per lui era passato, sono corsa via e mi è andata bene.
Perché vi racconto tutto questo? Per dirvi che dopo quel giorno per almeno un mese non riuscivo a camminare se c’era troppa gente in giro. Non appena qualcuno mi sfiorava facevo un salto di trenta centimetri e mi allontanavo. Sentivo l’odore di quel tizio addosso e ne ero nauseata. Posso immaginare che quando lo stupro avviene davvero i danni sono indelebili, posso immaginare tutto quello che ci si porta dietro perché da donna del meridione sono stata abituata ad essere considerata un semplice oggetto sessuale per chiunque.
Però. Se quell’uomo mi avesse stuprata me ne sarei fregata di avere giustizia così come non mi consolerebbe sapere che per gli abusi quelle persone sarebbero state punite. Penso che se non si cambia la cultura di un popolo non si possa ottenere molto nemmeno con la castrazione chimica. Se ne castreranno tanti ma ce ne saranno sempre altrettanti in grado di fare del male in giro. Dal mio punto di vista la castrazione è solo uno dei tanti elementi di una società capace di aggiungere odio e violenza ad una prima violenza.

Donna del Sud

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà, Scritti critici, Storie violente.


6 Responses

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  1. evaluna says

    ma certo che potete pubblicarlo, anzi, ne sono lieta (salvo per gli orribili errori di battitura). Purtroppo di argomenti da trattare in proposito ce ne sarebbero tanti, c’è anche un discorso curioso che mi ha fatto il mio medico proprio ieri a proposito della reazione di molti di fronte alla vittime (veramente parlava di me, ma non penso di essere l’unica), che dalla morte cercano di rinascere. Perchè succede, il lutto causato dallo stupro è enorme e colpisce soprattutto la capacità decisionale, come se si fosse marionette in mani altrui, e questo è orribile. Però, credo che si possa immaginare. Quello che non si accetta volentieri, pare, è che le vittime possano essere “visibili”. Che non si nascondano. E che vivano, nonostante tutto. Continuino a ridere, ballare, uscire, fare l’amore (e dopo un certo tempo si rifa anche quello, con difficoltà che ora non sto a dire, ma la scelta torna a noi, finalmente), arrabbiarsi, fare le giulive ecc ecc ecc. Che tornino normali, quindi. Anche carine e vanitose se lo erano prima, oppure no, che alla fine sono sciocchezze. Secondo questo mio dottore (che è una psichiatra infantile con altre specializzazioni) questo non rientra nell’immaginario collettivo che ci vuole “perdenti”. Non so se è vero, di certo per la mia esperienza lo è stato, posso però dire che, pur soffrendone, oggi sto acquisendo consavolezza maggiore di quanto le reazioni siano singolari e il più delle volte sciocche. E non nego la rabbia che sinceramente ancora sento. Tanta.
    Per questo vi ringrazio dello spazio consentitomi in un altro lungo sfogo e, appunto, se a vs. volta siete d’accordo, pubblicherò spesso link a questo sito, che ritengo tra i più utili in una seria informazione, credetemi.

    P.S.: non so se devo darvi anche il link al mio, che è un blog sciocco alla fine, personale, tipo diario. Ho raccontato spesso delle violenze, ma soprattutto della mia vita quotidiana appunto: amorazzi, uscite, pensieri semi seri e stupidaggini varie, pure mille intrallazzi. Perchè la vita è questa, non vi pare? E non possiamo farcela rubare da un mondo che è preda solo di un’ipocrisia da mass media. Un abbraccio, e grazie di nuovo.

  2. fikasicula says

    @evaluna grazie a te per quello che ci hai raccontato. alcune cose ci è capitato di dirle e altre no perchè ogni esperienza è soggettiva.

    puoi linkare il decalogo e tutto ciò che vuopi. chiediamo noi a te il permesso di ripubblicare questo tuo commento come post perchè ogni storia che ci raccontate invoglia altre a comunicare e condividere dolore, rabbia, dubbi, consigli e non c’e’ scuola migliore della condivisione delle esperienze.

    dicci se possiamo farlo.

    grazie ancora e un abbraccio

  3. evaluna says

    ogni tanto vi leggo, con interesse. Tra l’altro vorrei chiedervi il permesso di linkare il vostro decalogo sul mio blog. Sono pienamente d’accordo su quanto scrivete, vorrei soltanto aggiungere una postilla: la vittima deve ricordarsi, sempre, che sarà tacciata da zoccola, da chiunque, soprattutto se per disgrazia ragazza attraente e vivace. Le amiche saranno le prime a schierarsi contro perchè mi spiace, la solidarietà femminile è ancora utopia, va bene fin che si chiacchiera, ma si è pronte a lanciarsi contro quella giudicata carina, diversa, in qualche modo pericolosa. Antichi retaggi culturali, lo sappiamo bene, ma quelli saranno a proseguire la violenza durante un lungo percorso fatto di recupero e rabbia, credetemi. E, ma è un’altra ovvietà, sono gli stessi preconcetti i “genitori” di questi crimini.
    Potrei raccontarvi, purtroppo da vittima appunto. Da bambina, uno stupro di gruppo che per anni mi distrusse la vita, pochi mesi fa, ormai donna sicura e pure disinvolta (scegliere diventa una delle possibilità maggiori che noi “vittime” ci prendiamo per diritto) da un carissimo amico (consideraro cugino). E potrei raccontarvi come il medico che mi ha visitato abbia detto che era colpa mia, come il ragazzo che frequentavo mi abbia mollato, come l’amica del cuore mi abbia abbandonato, salvo rimporverare dopo le mie accuse di non essermi suicidatae di voler ancora vivere.Chi poteva capire che per me era un problema? Capita, sappiatelo. Capita anche di peggio.
    Vivere continuamente nelle parole sciocche e vuote che si ascoltano, sentire additarsi perchè bella (già, ho a tutt’oggi il coraggio o la digrazia di “acchittarmi” perchè non mi sembra corretto darla vinta) o perchè si desidera lo stesso, comunque, trovare un amore. E’ brutto, tutto qui.
    E ti fa cadere le braccia, poichè non vedo nessun cambiamento, anzi, come ha scitto qualcuno di voi sembra essere tornati indietro di decenni, ed è questo regresso che mi spaventa. Più ancora di quello che mi è accaduto, più ancora di sentirmi dire è colpa tua perchè…più ancora di ogni altra cosa o lesione (ce ne sono state di brutte) che abbia ricevuto. Mi spaventa leggere buone parole e poi uscire con donne che tacciano di troia un’altra, che fanno di un valore che pareva perduto un valore attuale, che si travestono da fidanzatine per bene pur di accontentare l’uomo di turno. Per poi dare addosso al rumeno!
    Scusatemi per il lungo sfogo, mi spaventa molto che quella amica mi abbia detto: “ho paura ad uscire con te”. Allora, non so, ma consiglierei a tutte/i di rivedersi il vecchio processo per stupro (Tina Lagostena Bassi, che non è quella di Forum!!!) e riflettere, giusto un momento. Altrimenti…le parole se le porta via il tempo…
    Grazie dell’attenzione.

  4. Chiara di Notte - Klára says

    Anche secondo me e’ un fake.

  5. fikasicula says

    a me sembra un fake 🙂
    troppo mussoliniano per essere vero. le donne fasciste non parlano così e quelle che parlano così non hanno idea di cosa sia un blog.
    oppure è un uomo…
    e se è una donna che te devo di’… pazienza. aspetto di leggere il capitolo su come la donna pura e fascia fa sesso con il suo uomo. 😛

  6. antifahooligan says

    con molto disgusto segnalo questo blog
    frontenazionalfemminile.blogspot.com