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Bocca di Rosa stavolta non parte!

Qualche giorno fa è successa una cosa che, fosse vivo il buon De Andrè, avrebbe di sicuro suscitato il suo interesse. Non fosse altro che per il fatto che ripercorre la stessa storia che lui ha scritto e cantato. Bocca di Rosa è stata trovata a fare il mestiere più vecchio del mondo e qualcuno ha ritenuto che essendo lei romena bisognava espellerla dal paese "per avere pervicacemente continuato a svolgere l’attività di meretricio nelle vie cittadine, creando grave pregiudizio alla pubblica sicurezza e conseguente allarme sociale tra i residenti dell’area interessata".


L’ordine di espulsione
è stato firmato dal prefetto di Genova ed egli ha fatto riferimento alle nuove normative sulle espulsioni anche di cittadini/e comunitari/e che comprendono motivi di sicurezza e di sospetto terrorismo. La donna però ha fatto ricorso e dopo aver dichiarato di “prostituirsi saltuariamente per mantenere un bimbo di 5 anni e la madre malata” ha ottenuto di poter restare in Italia perché la sua presenza "non pone in essere un’attività di per sé "pericolosa" per l’ordine pubblico o per la sicurezza pubblica, e tantomeno lede o compromette la "dignità umana"".


Ora: vorrei soffermarmi
sulla terminologia usata dal prefetto per organizzare la cacciata della donna perché a mio avviso è assolutamente significativa e già da sola dimostra il perché in Italia ancora possiamo dirci perfettamente calati nel tempo fascistissimo del duce (cui è seguita la soppressione delle case chiuse con la legge Merlin).


Ma come può
venire in mente ad un prefetto del ventunesimo secolo di chiamare una sex worker, una lavoratrice del sesso, una che offre servizi sessuali: meretrice? Perché non chiamarla allora cortigiana?


Nel dizionario “meretrice”
, che viene dal latino meretricem da merere (guadagnare), affine a merces (prezzo, mercede), inspiegabilmente viene riferito – e capite bene da quale epoca deriva l’attribuzione di significato – ad una donna che si prostituisce per un prezzo. La denominazione più “onesta” dello stesso mestiere sarebbe indicata nella parola “cortigiana”, appunto.


Ma se meretrice
vuol dire letteralmente “guadagnare”, senza che da nessuna parte sia spiegato come, non è forse vero che le donne oggi tutte guadagnano e quindi meretriciano liberamente? Che forse hanno sottinteso l’attività di vendita di servizi sessuali solo perché all’epoca non era concepito altro lavoro per le donne. Ma oggi che le donne lavorano per vivere e in generale il termine di lavoro “onesto” viene attribuito a tutto quel lavoro compiuto senza frode o furto, ogni donna che vende un servizio ad un “prezzo” preciso può definirsi una onesta “meretrice”.


E perché mai
dunque una “meretrice” dovrebbe “creare grave pregiudizio alla pubblica sicurezza” che di pregiudizio è già colma dalla cima dei capelli fino alla punta dell’alluce? Perché mai una meretrice dovrebbe creare “allarme sociale tra i residenti della zona interessata”?

E a questo punto mi piacerebbe sapere chi sono questi residenti così socialmente allarmati. Perché se sono come quelli che ogni tanto nei loro scoop da giardinieri in cerca del cespuglio che rovina la composizione floreale mostrano servizi faidate su quella tal rete che tra tutte le reti mediaset è la più pompinara di tutte, allora stiamo freschi. Per caso ne ho visto uno che con la tenacia morbosa del voyeur ha filmato fin nei minimi dettagli l’attività di alcune sex worker nel parcheggio antistante la sua abitazione (giusto per usare un linguaggio da questura) e poi ha anche pensato bene di fornire questa schiacciante prova alla polizia e ovviamente al giornalista scooppista giardiniere e meretricio (perché vendeva pompini al potere a prezzi straordinari e anche in condizioni di sicurezza ottimali e con assicurazione di una pensione in vecchiaia) che l’ha inviata a quella trasmissione dove fino a qualche tempo fa la pivetti faceva il verso alla bravissima gabanelli riuscendo però solamente a sembrare una volgare caricatura di se stessa.

Allora, per non voler dare della “meretrice” impunemente a nessuno comincio da me. Io meretricio da sempre. La mattina, il pomeriggio e la sera. Meretricio perché mi prostituisco ad ore in ogni circostanza. Anzi ne vedo tante meretrici come me, tutte a succhiare fino a spendere tutta la saliva per contratti a progetto da fame che non bastano per pagare l’affitto, per le bollette e neppure per comprare una cartolina di un paese straniero dove ogni tanto per sfizio piacerebbe andare.


Siamo tutte meretrici
senza diritti e senza possibilità di pensione. Senza più una dimensione rispettosa del proprio tempo e della propria crescita. E al sud meretrici lo si è anche due volte di più perché non hai diritto neppure a quei contratti e ti rimane solo la fame, il mare e il sole e vabbe’…


Ma tornando
alla sex worker in questione, la faccenda si colloca nella crescente intolleranza e nella dimensione spropositata di quel pregiudizio moralista che sta oramai alla base di qualunque ragionamento o provvedimento legislativo in Italia.


Stiamo veramente
tornando all’italietta degli anni cinquanta con le censure, con tutte le sessuofobie precise e ancora intatte e le dame della carità, donne o uomini che siano perché sempre di dame della carità con parrucconi si tratta, a riferire ai prefetti che le “meretrici” del parcheggio costituiscono un grave “allarme sociale tra i residenti dell’area interessata”.


Gli argomenti
sono sempre gli stessi: i bambini non possono vedere queste oscenità, è uno squallido spettacolo che non concilia con la “naturale” serenità della famigghia ovvero disturba il marito che vorrebbe picchiare in santa pace la sua santa moglie senza che attorno a lui ci sia tutto quel po’ po’ di cortigiane con le orecchie e gli occhi ben aperti.


Nessuno
che faccia mai caso ai clienti. Nessuno che si chieda come mai i clienti, padri e mariti in famiglie “normali” poi abbiano bisogno di rivolgersi a venditrici di servizi sessuali. Nessuno che si chieda come mai ancora siamo nella condizione di dovere separare il sesso sporco e cattivo da quello buono.


Cos’e’
che disturba tanto? Che la “meretrice” non la da’ soltanto ad un uomo ma la “vende” a tanti clienti? Invece è molto più accettabile che le donne espongano in televisione a tutte le ore carnazza prelibata anche prima che i bimbi vadano a nanna la sera? Che di per se’ la questione mi ricorda molto il consiglio di certe brave mamme del sud che dicevano alle figlie che era meglio fare pompini piuttosto che concedere la “verginità”. Perché al matrimonio bisognava arrivare sante e pure.


Questo moralismo duplefax
affonda le sue radici nel cattolicesimo bigotto che protegge i preti pedofili e gli uomini di “chiesa” amanti dei trans che fanno i portavoce del presidente del consiglio. E’ un moralismo colpevole, in primo luogo, dello sfruttamento che si elimina dando alle donne la possibilità di legalizzare la propria professione e di gestirla in maniera autonoma e con maggiore sicurezza. E’ un moralismo colpevole della sessuofobia che impedisce che in questo paese si possa finalmente fare un discorso di prevenzione degli aborti piuttosto che di persecuzione e di criminalizzazione di chi abortisce in condizioni disastrose dal punto di vista fisico e psicologico.


La cosa buona
di questa storia? Che una volta tanto la “meretrice” non è stata ritenuta vittima dello sfruttatore ma di un prefetto che voleva espellerla per il mestiere che fa. Lei non è sfruttata da nessuno ma ha dichiarato di fare la lavoratrice del sesso per mantenere madre e figlio. Quello stesso prefetto invece non l’avrebbe mai espulsa se quella accettava di fare la badante per due soldi di una bella donna bianca, ricca e italiana. Perché il problema non è esattamente quanto e come si da’ il culo. Il problema è che se non si accetta di venderlo per uno sfruttatore “riconosciuto” allora quel mestiere diventa una cosa “sporca”. Pensate che a chiamare magnaccia una donna che sfrutta la sua badante quella potrebbe offendersi?

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Per approfondire:

"La grande beffa" – buon libro di Paola Tabbet sullo scambio sessuo-economico 

"La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni cinquanta." – buon libro di Sandro Bellassai, autore che fa parte del gruppo "Maschile Plurale" e si interroga su "La mascolinità contemporanea"

"Ne’ colpevoli ne’ vittime" – un video (potete scaricarlo gratuitamente e trovarlo nella sezione di genere dei video su Ngvision) realizzato dalle Sexyshock in postazione videobox durante l’European Conference on Sexwork, human rights labour and
migration – Conferenza europea su sex work – Progetto presentato da
International Committee on Rights of Sex Worker.

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—>>> La foto è dell’artista Kira O’Really ed è tratta da una sua performance. 

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà, Sex work.