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Il sangue degli altri

Antonio
Pagliaro
ha scritto un romanzo. Si chiama: “Il sangue degli altri”. Se una persona che ha una forte passione civile scrive un libro è una
gran cosa perché quello che attraverso esso comunicherà al mondo sarà con molta probabilità qualcosa di speciale.


Antonio è di Palermo
e ha un senso dell’umorismo che appartiene a
quella città. Frasi asciutte, tono tranquillo, grande solarità e senso
dell’ironia congenito di quelli che non capisci mai se stanno scherzando
oppure no e quando lo capisci però ti sbellichi dalle risate.


Il suo libro pare somigliargli.
Porgendoti gli argomenti in maniera pacata riesce a farti indignare e a
tirarti fuori una risata piena. Non è un libro comico, no. Non lo è
proprio per niente. E’ un giallo, un buon giallo con varie intrusioni nel noir che ti tiene immobile
fino alla fine in attesa di scoprire come andrà a finire.

Inizia con un prologo che è un pugno nello stomaco. Parla di stupri di guerra e corpi straziati sui quali si compiono abusi e indicibili crudeltà per mano di uomini che assieme ai bottini si appropriano delle vite di donne e bambine che non avranno più futuro ne’ sogni. Ed è attorno ad uno stupro in particolare e alla tragedia di un intero popolo in generale che si consuma una ricerca fatta di resistenza partigiana che trova nel protagonista un valido alleato.


La storia è originale
ma assolutamente credibile e si svolge a
Palermo, in Cecenia e in Lettonia. C’e’ un assassino, anzi ce n’e’ più
d’uno, e c’e’ anche un personaggio che indaga per svelare un mistero
fatto di intrighi, soldi, mafie, guerre, stragi, persecuzioni, crimini di guerra e
genocidi.

Lui si chiama Lo Coco ed è un giornalista di una vecchia e gloriosa
testata che Antonio ha resuscitato per l’occasione: “L’Ora”. E’ un uomo
pieno di contraddizioni che non ha nessuna voglia di apparire migliore
di quello che è. Antonio ne traccia la personalità senza giudizi e
senza sconti. Lo fa naturalmente possessivo e maschilista ma anche
idealista e profondamente umano. Lo Coco è un perfetto antieroe che ha
paura, non spara e usa la penna per raccontare agli altri quello che
molti avrebbero il timore di raccontare. Quasi un incosciente che va
contro la sua stessa ritrosia a farsi sconvolgere da troppe emozioni,
tratto tipicamente palermitano, e si ritrova suo malgrado a cercare
risposte in altri posti lontani che con Palermo in realtà non
dovrebbero avere molto a che fare.


Invece Palermo, la Cecenia
– con la sua guerra e lo sterminio dei suoi
abitanti – e la Lettonia, oramai parte della comunità europea, rivelano
un legame che va ben oltre ogni possibile aspettativa. Si tratta di affari
e quelli non hanno davvero confini.


L’espediente è utile ad Antonio
per raccontare dell’essenza delle
tragedie cecene e di come la Lettonia sia diventata luogo di
riciclaggio di denaro sporco delle mafie di mezzo mondo. Palermo è un
approdo come un altro, un posto di passaggio per assassini e soldi, per
investimenti e progetti di costruzione di un Casino’ (e chi è siciliano
sa bene quanto questa prospettiva sia presente nei comizi elettorali di certa parte
politica dell’isola) che vedrà coinvolti mafiosi, assassini, ex
torturatori e politici corrotti.


Antonio racconta la città
di Palermo e la allontana finalmente da
quella immobilità che la vuole isolata e priva di influenze straniere.
Sembra piuttosto una Marsiglia piena di razze che si proteggono le une
con le altre. La Sicilia viene descritta per quello che è: un’isola
molto ospitale per chi latita e ha soldi. Una specie di porto franco
per criminali di ogni tipo che portano nutrimento alla mafia e ai
politici collusi.


E nel romanzo di Antonio
tutto viene proposto come fosse una
chiacchiera informale e tranquilla. Niente fronzoli, nessun commento,
nessuna sbavatura. Un linguaggio secco che tiene l’autore lontano dal
testo. Antonio non c’e’ mai, c’e’ solo la storia che lui ti porge come
fosse un panino con la milza. E ti racconta con altrettanta tranquillità:
di un parcheggiatore abusivo così come di uno stupro.


E’ un gran tentativo
– secondo me riuscito – quello di Antonio, perché
ha raccontato una Sicilia che difficilmente si racconta. Fatta di mafie
che appartengono a livelli non “contadini”, protette da contesti
politici e occultate da procuratori della repubblica. In un contesto
dove un giornalista come Lo Coco e un tenente non hanno proprio potere
e rischiano di restare schiacciati dalle proprie scelte se queste
diventano lesive di personaggi intoccabili. Così si finisce per
inseguire una giustizia parallela che parla di vendette ma anche di
resistenza (cecena) ad una aggressione armata di una intera nazione (la
Russia) che può davvero definirsi un crimine per l’umanità.


In questo romanzo
ci sono molte donne: barbaramente trucidate,
violate, tradite, trattate male. Antonio le descrive senza particolari
pietismi. Le fa vittime quel tanto che basta per descrivere quello che
succede ma non le salva, non è spinto da sentimenti paternalisti. Il protagonista del romanzo
vuole possedere e sedurre le donne che incontra, non le vuole salvare. Tant’e’
che in ogni situazione dietro ogni camicetta vede seni sodi e dietro ogni assenza vede un
tradimento. Anche per questo val bene una mia recensione… 🙂 

Grazie ad Antonio per aver scritto questa storia perchè del sangue, nostro o degli altri, ci interessa molto. Il colore è sempre rosso e quando scorre ci riguarda sempre. 

Per stuzzicare ancora la vostra curiosità:

—>>> Antonio ha un suo sito e un blog, Xantology.

—>>> Ha contribuito a mettere su le pagine collettive di Cabaret Bisanzio.

—>>> Di tutto ciò che riguarda il libro e le sue storie potete leggere QUI

In basso i video con la lettura del Prologo e il booktrailer:

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Vedere.


2 Responses

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  1. FikaSicula says

    carissima 🙂
    un augurio per un ottimo anno anche a te.
    sperando sia meglio di quello che è passato :*

  2. cloro says

    OT ciao bella, ti faccio tanti auguri di buon capodanno e buon 2008 e oltre
    ottime cose sempre 🙂
    cloro aka barbara