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Falling

Un bel film. Regia di Barbara Albert, austriaca di quella generazione di transizione che ha appreso dai sessantottini e si è beccata tutta la frustrazione degli anni ottanta. L'ambiente della storia è sicuramente l'Austria ma i personaggi – per alcune caratteristiche, non per tutte – potremmo ritrovarli anche in Italia.

Sono cinque donne che, rifacendo il verso alla lontana a "Il grande freddo", si incontrano dopo molti anni per il funerale del loro professore sessantottino preferito. Cinque donne politicizzate che si misurano con la propria disillusione, il loro livello di adeguamento o disagio, e il proprio presente. Alcune hanno voluto dimenticare, altre invece no.

C'e' chi sceglie di avere un figlio per non abortire di nuovo, chi ha fatto carriera indossando la maschera cinica del "tanto non cambia niente", chi è in libera uscita dalla galera, chi lavora con i disoccupati, chi fa l'insegnante. Viene percorso un viaggio di ricordi e ideali fatti di corpi e passioni civili egualmente feriti, dolorosamente rassegnati, che si rivitalizzano solo per merito di espedienti che tolgono strati a queste donne che per sopravvivere hanno dovuto aggiungerne tanti.

C'e' tutta la precarietà e l'assenza di ossigeno di questi anni, seppur in una nazione dove c'e' maggiore ricchezza (anche forte controllo sociale, certo) e meno cattolicesimo. Il film racconta comunque donne e culture di un pezzo d'europa che alleva giovani consapevoli su ciò che è la globalizzazione e pronti a inventarsi alibi pieni di pragmatismo (tirato fuori apposta per l'occasione) per non sprecare il tempo con lotte che non servirebbero – a loro dire – a cambiare le regole del mercato.

E' l'europa moderata, quella riformista che con il suo passato colonizzatore e imperialista guarda al mercato solo in termini di competizione. E' l'europa delle guerre necessarie e dei suoi effetti collaterali. L'europa in cui il vero nemico è il dio denaro. Ed è questo che le protagoniste del film vedono, guardano e ascoltano, scegliendo tuttavia di andare avanti per: insegnare, amare, vivere. Se non avete ancora visto il film, vi consiglio di farlo.

E' uno dei rari film che ho visto in cui si parla di donne post sessantottine con tutto il vuoto intorno che consegue all'appartenere a quell'epoca e con tutta la fatica a fare collezione di memorie e a crearsene di proprie. E' la generazione di chi non ha neppure la consapevolezza di aver comunque determinato un cambiamento. La generazione delle "invisibili", tanto rinnegate anche da alcune femministe storiche ("Il femminismo negli anni ottanta non è mai esistito!" – hanno sentenziato più volte), che continuano a conservare vecchi punti di riferimento (i sessantottini) e non possono non soffrire ogni volta che muore qualcuno di loro.

Penso all'Italia dove abbiamo fatto di un comico la voce della verità della sinistra e di tutti i nostri grandi vecchi della cultura, delle persone belle che hanno tante storie da raccontare ma alle quali spesso lasciamo declinare la storia al passato. Come se tutto fosse scivolato via. Come se tutto fosse stato risucchiato: i miti, le storie, le nostre vite. Io negli anni ottanta c'ero e posso dire che è stato difficile, diverso.

Ma so che c'ero e se qualcun* ha detto che negli anni ottanta non c'era il femminismo e la lotta politica è anche a causa di chi, anche per questioni di egemonia politica e culturale, ha cancellato una intera generazione e l'ha resa invisibile, occultandola, sminuendola, privandola di legittimazione. Spesso ho anche pensato che forse siamo rimasti troppo tempo ad aspettare che le generazioni precedenti buscassero il pegno per quello che era stato loro tolto o incassassero premi per quello che veniva loro riconosciuto.

Ma c'e' sempre stato bisogno di tutte le energie presenti. Ora: sarà per stanchezza, forse per mancanza di aria, però davvero mi piacerebbe che il '68 cedesse il passo alla storia successiva. La pensione tocca a tutti e la mia generazione toccherà l'età pensionabile, politicamente parlando, senza mai essere stata protagonista dichiarata di nulla. Se ne parlava qualche sera fa in una bella iniziativa all'Ex-Emerson di Firenze con Alberto Prunetti, Valerio Evangelisti e altre persone (mi scuso ma non ricordo i nomi) del team di Carmilla Online, in cui si sono dette tante cose belle e qualcuno ha anche detto che sarebbe buona cosa ridiscutere degli anni settanta/ottanta per cercare le risposte ma anche rimettere in discussione miti che sembrano sacri, intoccabili.

E' un capitolo che andrebbe discusso e magari soc-chiuso per permettere alla storia di andare avanti. Perchè la mancanza di forza di oggi forse dipende anche dal fatto che siamo tanto schiacciati dal passato. Ai potenti serve evocare fantasmi per terrorizzare e controllare la gente. A noi è dato di cercare di difendere una memoria storica che è sempre più riscritta dai vincenti ai danni degli sconfitti. Il presente forse dovrebbe avere altri nomi… Forse quei nuovi immaginari di cui parla Carmilla. Un nome: mmmhhh…potrebbe andare bene Pasquale? 😉

[e.p.]

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà, Vedere.