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La Culla [OvuLaRia]

"Ma che scherzo e' questo?"

Rosario, detto Sasa' ' u vigile urbano, non ci crede. Eppure quella cosa e' parcheggiata li', dentro le strisce blu. Perche' se stava nelle strisce bianche almeno si poteva pensare che era residente. Invece no. Sta' in mezzo al rettangolo blu e non c'e' neppure una tettarella a dire che torneranno a riprendersela presto. Sasa' contempla lo strano mezzo di locomozione chiedendosi se e' il caso o meno di fare una multa per divieto di sosta. Quattro ruote le ha tutte. Un manubrio pure, benche' strano. Ha un abitacolo e puo' paragonarsi ad una decappottabile perche' d'inverno di sicuro viene attaccato qualcosa su quei gancetti in alto che sembrano voler preludere ad una verandina. L'unico problema e' che non c'e' una targa.

La targa. Come si fa a stabilire chi paghera' la multa? D'altro canto non e' possibile permettere a chiunque di lasciare mezzi del genere aggratis in un parcheggio. Che magari ne puo' venire fuori una brutta abitudine e i cittadini vanno educati, si sa'.

Ci deve pur essere un segno di riconoscimento, qualcosa, una traccia per associare il mezzo al legittimo proprietario. Se c'e' di sicuro Sasa' lo trovera'. Non per niente e' il ventesimo anno della sua onorata carriera e non sara' questa stranezza a macchiare il suo curriculum di solido e diligente funzionario dello stato.

Esplora tutt'attorno per trovare una traccia e poi vede pendere un filo. Prova a tirarlo ma quello non viene giu'. Allora lo insegue fino a raggiungere l'altra estremita'.

“Fermati!” si gira e vede che e' circondato da un esercito di ovulariane armate di tette, culi, cosce e divise rosa fucsia acceso col simbolo degli ovuli.

Sasa' china la testa oramai con poco pelo grigio. “Stavo appunto cercando di capire come mai e' senza targa e a chi appartiene…” balbetta. Proprio a lui, tra tanti, doveva capitare una cosa simile dopo vent'anni di onorata carriera. “Voi lo sapete che io sono uno fidato e faccio sempre il mio dovere. Non potrei mai tradire la Sua volonta'!” fa una smorfia di dolore come se qualcosa gli fosse scoppiato nelle palle. “Davvero, credetemi, vi prego. Sto crescendo quei bambini come mi avete chiesto. Sto attento a tutto. Voi lo sapete perche' Lei puo' vedermi…” e si protegge il pacco con le mani.

Cinque ovulariane obbediscono al cenno della piu' alta in grado e si avvicinano a lui. Una le accarezza i capelli e lo sente quasi svenire, l'altra mano premuta sui produttori di sperma. Sasa' prova a intimidire il suo vecchio attrezzo senza riuscire. Inaspettatamente pare essere il suo unico muscolo funzionante. “E' pronto!” avverte quella come un soffio di vento gelido. Le altre quattro gli tirano giu' i pantaloni e lo svuotano di liquido. “Sei troppo vecchio, non ci dai piu' il seme di una volta. Torna a casa. Presto arriveranno altri bambini cui devi badare. Il lavoro di vigile urbano per te e' finito.” Sasa' e' fatto. In silenzio si guarda quel pezzo di carne andato a male e con un gesto lento si riveste. Rassegnato e curvo s'incammina sapendo che non tornera' mai piu' in strada. Pannolini e biberon per tutto il resto della sua vita. Dopo aver fatto il maschio d'allevamento, il vigile urbano, ora gli tocca fare il balio a tempo pieno.

Le ovulariane rimangono a esaminare quel pezzo di artigianato. “Sembra fatta in casa…non e' uno dei nostri contenitori!” e' la diagnosi della ovulariana capa. “Bisogna scoprire subìto chi l'ha fabbricata. Cosa doveva farne. Se ne esistono altre come questa. Bisogna sapere tutto.” Risponde un corale “Si, ovulariana capa!”

“Lasciate tutto com'era e appostatevi qui attorno. Osservate tutto fino a quando non scoprirete a chi appartiene questa cosa…” “Culla, ovulariana capa – la corregge una piu' bassa in grado – prima della rivoluzione la chiamavano culla”. “Ho detto restate qui – e la fulmina con uno sguardo – e prendete chiunque si avvicini a questa…culla!”.

Durante la notte vi si avvicinano alcuni indefiniti esseri viventi di genere maschile. Tutti con la medesima divisa celeste imposta dal nuovo governo alla categoria. La guardano da lontano come si fa' con le cose proibite. Nel giro di poche ore decine e decine di scroti color pastello si aggiungono ai primi. Nessuno si avvicina a toccarla. Aspettano, semplicemente. Le ovulariane restano nei loro nascondigli. Gea punta d'un tratto il filo di cui Sasa' aveva tentato di risalire all'origine. Inarca il sopracciglio folto e nero e si alza di scatto come per una intuizione improvvisa. Non era davvero solo una questione di parcheggio abusivo. Quel babbeo di Sasa' davvero non sarebbe riuscito a capire il grande pericolo che quella culla, che pareva dimenticata li' per caso, rappresentava. Gea incede elegantemente e la folla di cosi celesti, meccanicamente, apre un passaggio per lei. Nessuno osa emettere un suono. Pare perfino che abbiano smesso di respirare. Gli occhi bassi perche' guardare una ovulariana puo' essere fatale. La mano di lei esegue movimenti che hanno origine in altre vite. Rovista tra i tessuti, la piccola coperta di lana fatta a mano, i lenzuoli ricamati, il piccolo guanciale e, infine, l'altro capo del filo. Un ciondolo con un fiocco di un azzurro intenso e un campanellino armonioso. E' piu' grave di quanto si aspettasse. Prende il dindinnello infiocchettato e ritorna lentamente sui suoi passi.

“Luna, Solea, venite con me. Dobbiamo conferire con la Mamma. – ordina la ovulariana con l'indizio – Tutte le altre non devono muoversi da qui fino a nuovo ordine”. Si incamminano tra i vicoli della citta' vecchia, inebriata dal profumo di panni stesi e dei fiori sbocciati in ogni angolo, su ogni davanzale. Le porte aperte, neppure una traccia di un lieve sintomo del male. Si odono respiri profondi di sonni tranquilli. Quelli dei bambini che non hanno nulla da temere e il cui futuro e' gia' tracciato. Una figurina celeste rimane appollaiata su un balcone d'altri tempi e sorride al passaggio delle tre dame. “Torna a dormire, piccolo!” le consiglia gentile Gea. Il bimbo ride ignaro e corre sotto le coperte. La marcia attraversa un cortile andato in pezzi che sbuca in un prato verde cresciuto su cio' che resta di un antico supermercato. Ogni passo calpesta mattoni scossi da radici di alberi ribelli che sbucano in superficie. Un milione di stelle illumina il percorso. Gea, Luna e Solea camminano per ore fino ad arrivare in un piccolo villaggio protetto dai rami di un enorme albero di carrubo. Un fiume rinfresca l'aria della notte. Tra le capanne di terra, rami e foglie un enorme costruzione in pietra rossastra. Il Centro di Raccolta del Seme (CRS) a ciclo continuo e' un luogo che poche riescono a vedere. Solo il personale addetto e le piu' alte in grado. Tutte hanno giurato di non parlarne mai. Talvolta dall'interno provenivano suoni inenarrabili che scuotevano fin nel profondo le viscere di ciascuna. Restavano a contemplare gli altissimi oblo' che rimanevano l'unica fonte di luce naturale e di ossigeno per chi stava nel Centro. Nessuna ha mai osato chiedere cosa accadesse in quel luogo. Accanto al CRS un'altra grande struttura con il grosso simbolo del governo di Ovularia. All'interno un’area per la fecondazione in provetta, una di produzione e mantenimento di uteri artificiali (Istèria) e una attigua per le nascite e i primi giorni di allattamento. La Mamma e le sue ministre avevano stabilito che ogni ovulariana poteva liberamente scegliere se farsi impiantare il proprio ovulo fecondato e portare a termine la gravidanza o se lasciarlo attecchire e crescere in un utero artificiale. Le neonate restavano sotto la custodia delle ovulariane. I neonati venivano consegnati a maschi adulti, esonerati dall'obbligo di cessione del seme e destinati a mansioni di utilita' sociale. Le tre figlie del nuovo governo proseguono fino alla capanna in fondo al villaggio. Davanti l'uscio una ventina di ovulariane riunite. Una di queste sbarra il passo a Gea. “Fammi passare! – sussurra – E' importante”. “Gea, entra pure, vieni cara…” un suono inafferrabile proviene dalle foglie. “Entra tu sola, per favore!” il tono incute rispetto. Gea varca la soglia quasi senza far rumore. Una donna panciuta e accogliente e' intenta a studiare le cifre che piovono dentro un vecchio monitor. “Sono i dati dei cicli di produzione di ogni parte del mondo…” le sorride la Mamma. Gea si inginocchia dinanzi a lei e cerca la sua mano. L'anziana donna gliela restituisce carezzandole i lunghi capelli neri. “Devo farti vedere una cosa importante, Mamma!” e si struscia sciogliendosi su quella mano. “Lo so cara.” Lieve, calda. Rassicurante. Gea le mostra il ciondolo e fuori e' tutto un brulichio sommesso di timorosi interrogativi . Lei soffoca il tintinnio con il palmo della mano. La Mamma fa cenno di no con la testa. “Non aver paura. E' solo un minuscolo oggetto che risale almeno alla fine del vecchio mondo. Non possono essercene troppi in giro.” “Ma questo e' riapparso dentro una culla fatta in casa. Ho sentito che siamo in pericolo percio' sono corsa ad avvertirti.” “Hai fatto bene, Gea. Ma e' un episodio isolato e puo' non essere quello che temiamo. Tu sai che ogni balio deve trovare un posto in cui crescere i bambini fino a che non hanno compiuto il quindicesimo anno d'eta'. Qualcuno di loro avra' forse scovato la culla e questo vecchio attrezzo dentro una casa abbandonata e li ha usati fino a che non gli serviva. Poi li ha portati in strada.” “Mamma, sai quanto mi duole contraddirti ma ci sono troppe cose che non tornano. Ogni balio riceve un contenitore per ciascun bambino a lui affidato. Tutte le case vengono regolarmente ispezionate. La ovulariana capa dirige personalmente le ispezioni in questa zona e io la seguo in ciascuna di esse. Tutto il materiale residuo del vecchio mondo viene distrutto prima dell'insediamento e non ci possono essere nascondigli che noi non abbiamo gia' scoperto.” La Mamma scuote la testa e aggrotta le sopracciglia. “Dobbiamo chiedere notizie al Grande Albero!” scosta una massa di grandi foglie e invita Gea a seguirla in un cunicolo stretto e apparentemente buio. La giovane ovulariana aveva giocato spesso con quel segreto che a poche era concesso. C'era un forte odore di terra viva e a meta' percorso una vasca naturale dove confluiva l'acqua di piu' sorgenti. I bagliori di quel prezioso liquido si riflettevano sulle pareti lungo tutto il sentiero. Le due donne giungono alla fine del passaggio e sbucano ai piedi di un enorme albero di fichi. Tutt'attorno una immensa distesa di grandi piante da frutto e di ortaggi che la terra reca in dono. La Mamma inizia sottovoce a recitare una nenia in lingua antica e incomprensibile: “comm'amma fari. Ranni na 'nzinga. Tu ca si iavutu e ppo' vidiri lu munnu. Ricimi cu nni vo' mali. Ricimi unn'e' lu mali. arrisbigghiati ora. Pigghiati lu mali. 'nsignami commu l'aia luvari ro capu ra ma ggenti”. Gea la osserva in disparte e respira forte per l'intera durata del rito. D'un tratto l'Albero si assesta e il terreno comincia a tremare. Dal ramo piu' alto si stacca una gigantesca foglia che si ferma sospesa a mezz'aria all'altezza delle donne. Una folata di vento le spinge su quel tappeto verde che decolla in alto fino a superare la cima dell'Albero. La foglia di fico procede allora lenta e rialza i suoi margini perche' la Mamma e Gea possano poggiarvisi e possano essere protette dal freddo della notte. Superano il villaggio e arrivano presto sulla folla di divise celeste ferme davanti alla culla. Le altre ovulariane ancora li' nascoste a verificare ogni gesto sospetto. La foglia le porta ancora piu' lontano dove poche tra loro sono state. Sotto di loro una radura desertica che prima era il maestoso letto di un fiume ribelle. Uno dei tanti che aveva cambiato il suo corso all'epoca della rivoluzione. La grande onda del mare era infine risalita su dalla foce e nel ritrarsi aveva trascinato con se' ogni cosa sopravvissuta alla immediata siccita' e all'esodo massiccio della popolazione in fuga. Gli uomini perirono quasi tutti nel tentativo di difendere le loro proprieta'. Le donne e una parte dei loro bambini riuscirono invece a fuggire e furono accolte da un esercito di altre sopravvissute al di la' della citta' vecchia. In ogni parte del mondo esiste ora un governo di Ovularia a capo del quale vi e' una Mamma in possesso di speciali poteri. “Eccola! E' laggiu'.” esclama la Mamma. “Di che parli?” la interroga Gea. “Della grande mela radar…” e sorride la Mamma. Gea si sente un po' sciocca ed effettivamente vede qualcosa, posta al termine della lunga linea di confine del deserto, che puo' somigliare al frutto. La foglia plana leggera e le accompagna sino a quello stravagante oggetto dalla buccia spessa e rossa. La mela sembra viva e si schiude per accoglierle dentro la sua polpa. Gea non e' mai stata al centro di una mela. La Mamma invece sembra perfettamente a suo agio e compie gesti sicuri, come se scostasse delle infinite ragnatele per facilitare il loro passaggio. Il torsolo svela un rifugio grande a sufficienza per due persone. Alle pareti speciali monitor ricevono segnali discontinui. “Ma com'e' possibile Mamma? Come fanno a funzionare?” “Piccola cara, e' l'energia solare. Dopo la rivoluzione alcune piante divennero i maggiori conduttori di energia. Hanno solo ampliato le loro primarie capacita'. Raccolgono energia e la trasferiscono su qualunque cosa sia in contatto con loro.” “Si, ma come fanno a raccogliere i segnali che provengono dall'esterno e a trasferirli sulle macchine?” “Nello stesso modo che da oltre cinquant'anni consente a tutte le ovulariane, in qualunque parte del mondo esse siano, di comunicare tra loro. Suoni! Codici sonori che le piante intercettano e le macchine decodificano…” “Ma questi segnali non sono cosi' decifrabili… “ la interrompe Gea. “Queste macchine non sono programmate per aiutarti a decifrare ma solo per individuare la provenienza dei suoni. Capta dei segnali e delimita l'area territoriale d'origine. Se esiste qualcuno, a parte la gente di Ovularia, queste macchine potranno dircelo.“ La Mamma tocca dei tasti nella piu' grande delle macchine e immediatamente il monitor si popola di cifre. Selezionando ogni cifra viene evidenziato un sito e i suoni umani presenti in ciascuno di essi. “Vedi? – fa' la Mamma mostrando un insieme di punti della schermata – questo e' il nostro villaggio e qui si vede la citta' vecchia!” Gea annuisce attenta. Un'altra cifra e viene fuori la zona in cui si intravedono due macchie rosse. Corrispondono ai loro corpi. Scrutano a fondo ogni dato e ogni immagine giungendo infine alla rassicurante conclusione che non esiste null'altro di vivo e sconosciuto nel raggio di duemila kilometri. La foglia le attende fuori la grande mela. Trascorrono in silenzio il viaggio di ritorno. L'aria sembra assorbire i mille punti interrogativi che restano nelle menti delle due donne. Gea si addormenta e la Mamma le accarezza ancora i capelli perche' lei riposi serena. Il sole del mattino da' un'altra faccia alla citta' vecchia. Sembra quasi com'era prima…

 

Fine del primo episodio

bye

(e.p.) 

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