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Dio non c’e’ piu’ [parte seconda]

A Nutera, alla fine degli anni '80, era stato ammazzato Totò Russo detto "il mago". Da qui parte la vicenda tutta siciliana – narrata al passato remoto, in omaggio al mio dialetto – che vede protagonisti Maria e Antonio. Lei, figlia di quel tempo, sente tutto il peso dell'eredità lasciata dalle donne nate un decennio prima e cresce nell'epoca del culto dell'immagine. In realtà Maria dal suo punto di vista definisce la modalità pesante e colonizzatrice di certo femminismo di quegli anni. Lei invece è frivola, leggera e siciliana. Lui è il risultato della maggiore libertà che in Sicilia veniva data ai figli maschi. Ma anche uno che non ha paura di fare scelte difficili. Insieme conducono una inchiesta militante senza pistole e senza polizie.  Non hanno voglia di fare manifestazioni antimafia e il loro principale obiettivo sarà quello di aiutare un amico…

 5] Bis

La sera dopo l’omicidio di suo padre – mi disse – avevano bussato alla porta di casa sua. Lui e la moglie erano in attesa che riportassero il cadavere dopo l’autopsia per organizzare le giornate di lutto e il funerale. In un attimo si ritrovò con i parenti del vecchio Petrano dentro casa. Li fece accomodare e quelli cominciarono a dire che non erano stati loro ad aver ucciso suo padre. Chiedevano comprensione per il brutto momento che anche loro stavano attraversando e si gemellavano insistentemente allo stato emotivo di Marco. Poi salutarono con fare ossequioso sua moglie e se ne andarono. Il giorno dopo, sua moglie spariva. A quel punto Marco ricominciò a piangere e si vedeva che non si dava pace. Non riusciva a capire dove era andata a finire e cosa le fosse capitato. Tutto quello che sapeva era che nel giro di un paio di giorni si era ritrovato con un padre morto ammazzato e una moglie scomparsa. Erano passati sette giorni e fra tutte le spiegazioni che si dava per l’accaduto una lo convinceva in particolare: l’avevano rapita per non fare parlare lui. La cosa a momenti lo lasciava davvero perplesso perché nessuno poteva aver pensato che lui volesse tradire la memoria di suo padre. Nessuno poteva pensarlo o quasi. Qualcuno evidentemente non si fidava di Marco a tal punto da rapirgli la moglie. E se i parenti di Petrano avessero orchestrato tutto? Erano andati a casa sua per vedere come reagiva, che gli passava per la testa  e poi decidevano di rapire sua moglie per maggiore sicurezza. O magari furono i parenti dei Rizzotto che non avevano la minima voglia di lasciare perdere l’appalto e volevano usare sua moglie come elemento di ricatto.

– Ma cosa possono volere da me… – e scuoteva la testa sempre più avvilito.

– Forse vogliono che tu cerchi di persuadere i parenti di Petrano a mollare l’appalto. – suggerii.

– Ma io non ho nessun potere di persuasione su di loro. Io non sono mio padre. – e continuava ad agitare le mani come se volesse acchiappare il vuoto.

– Non so davvero cosa dirti. Mi sento impotente e avvilita. Non so davvero cosa posso fare per aiutarti.

A quel punto Marco mi illustrò il suo piano e io gli promisi che non avrei mai rivelato ad anima viva tutto quello che mi aveva raccontato. Solo Antonio avrebbe saputo. Senza di lui mi sarebbe stato impossibile mettere in pratica tutto ciò che Marco mi chiedeva di fare.

6]

La mattina dopo lo ritrovai sul divano esattamente nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato. Preparai un caffè forte e lo svegliai piano. Marco mi dedicò lo sguardo tenero da fratello maggiore dei vecchi tempi. Mi attirò a sè e mi diede un bacio sulla fronte.  Il suo modo per dirmi grazie. Antonio telefonò presto e tempo mezz’ora ci raggiunse. Decidemmo che Marco sarebbe rimasto a casa mia per qualche giorno fino a che non si fosse realizzata almeno la prima parte del nostro piano. Tempo mezz’ora il pelato fu messo al corrente di tutta la storia e gli spiegammo per filo e per segno che follia avevamo pensato di mettere in atto. Antonio scuoteva la testa perplesso e infine ci disse che tutto sarebbe stato decisamente rischioso. Lui era un po’ così e non gli andava tanto di fare il lavoro degli sbirri. In compenso era difficile che dicesse di no ad un amico. Qualche ora più tardi eravamo al Palazzo Comunale per chiedere le delibere di Giunta degli ultimi cinque anni. Antonio chiese anche il permesso di vedere le perizie, il bilancio economico e il piano triennale delle opere pubbliche. Il funzionario lì presente provo’ ad opporsi. Noi gli facemmo notare che esisteva una legge che ci permetteva di vedere gli atti. Una cosa del genere non doveva essergli accaduta spesso e ne ebbe paura. Ci consegnò gran parte delle cose che avevamo chiesto. Cominciammo a leggere e a cercare dettagli precisi che Marco ci aveva segnalato. Cercavamo riferimenti a proposito di due appalti che secondo lui sugli atti risultavano conclusi e in realtà erano stati a malapena iniziati. Fu una scoperta, per me e per Antonio, sapere che in paese da un paio d’anni esistevano, sulla carta, un palazzetto dello sport e una scuola materna megagalattica. I documenti dicevano che erano “situate nel quartiere Sperlinga”, regno dell’abusivismo edilizio con allacciamenti illegali ai tubi dell’acqua e con la fogna a cielo aperto che scorreva allegramente per le strade. Le carte dicevano anche che gli appalti erano stati divisi in più lotti e che si erano elargiti a destra e a manca fior di incarichi a professionisti che spesso erano stati pagati più volte per lo stesso, identico lavoro. Le imprese appaltanti erano sempre le stesse: Bartoluccio e Piazza. Marco sapeva tutto perché sotto quegli accordi c’era la mano saggia del “mago”. Copiammo a mano tutto quello che ci fu possibile copiare e in un momento che l’impiegato si allontanò dal suo ufficio  riuscimmo a fare anche qualche fotocopia. Riconsegnammo i documenti alle due precise. Uscendo inciampai sulla gonna lunga che avevo indossato quella mattina. In un altro momento Antonio non si sarebbe trattenuto dallo sfottermi. Quel giorno però io e lui avevamo una missione da compiere. Armati di macchina fotografica arrivammo subito nei luoghi che dalle carte risultavano come sedi del palazzetto dello sport e della scuola materna. Nel primo c’erano quattro pilastri e due lastroni di cemento: una alla base e una come tetto. In mezzo stavano giocando dei bambini che non appena ci videro arrivare ci trascinarono in un punto in cui c’era un enorme buco. Si vedevano distintamente decine di ossa, teschi e resti di gente sepolta lì. Il palazzetto dello sport dunque era stato progettato su un cimitero. Stava per franare tutto. Quattro perizie geologiche sulla stessa questione dicevano invece che il terreno era perfetto. Le perizie erano state pagate cinquecento milioni l’una. Quella cosa di cemento era costata complessivamente tre miliardi. In quella che doveva essere la sede della scuola materna invece c’era un prato verde recintato e una piccola area spianata e scavata nei punti in cui forse dovevano sorgere le fondamenta della struttura.  Antonio faceva fotografie e io fui avvicinata da un donnone grande e grosso con le guance rosse e i capelli raccolti da una pinza. Lei mi prese per mano e mi fece seguire l’estensione del terreno destinato alla scuola. Poi si fermò e col suo indice muscoloso mi indicò una grande costruzione protetta da muri alti e difficilmente valicabili. Sulla targhetta del citofono c’era scritto “Gentile”. Altre foto e poi chiesi alla donna di seguirci ad una riunione che avevo fissato con alcune donne del quartiere. La più attiva tra loro si chiamava Rosetta e aveva fondato un vero e proprio comitato per ottenere l’acqua, la rete fognaria e il piano regolatore che a Nutera veniva ignorato da vent’anni. Ogni volta che la incontravo mi raccontava la stessa storia: se non applicavano il piano regolatore non si potevano presentare progetti di costruzione di case e se non venivano approvati i progetti si costruivano case abusive di necessità dove la gente possedeva il terreno. Poi arrivava una sanatoria e se e quando avessero deciso di mettere in pratica il piano regolatore, solo allora, tutti si sarebbero accorti che una macelleria aveva preso il posto di una scuola e le case della gente avevano occupato il posto di un ufficio postale o di una piazza. Poi, ogni tanto, quando c’era da farsi la campagna elettorale, i politici minacciavano di far arrivare le ruspe e altri politici di fermarle con il proprio corpo. E quelle donne stavano lì ad assistere al teatrino dei buffoni con l’unico intento di ottenere acqua e rete fognaria. La scuola materna in quel quartiere sarebbe stata un di più che le avrebbe certamente fatte felici. In un luogo dimenticato da dio, con le strade non asfaltate e l’immondizia da tutte le parti, i bambini sarebbero cresciuti più volentieri dentro un luogo protetto e le loro mamme non avrebbero più avuto la preoccupazione che i propri figli si buscassero mille malattie ogni volta che mettevano un piede fuori dalla porta di casa. Rosetta aveva preparato una saletta per le riunioni dentro il proprio garage. In un tavolo in fondo alla stanza c’era anche un piccolo banchetto di roba da mangiare e da bere. Ringraziai Rosetta di cuore per la bibita ghiacciata che mi servì dopo che presi posto tra le altre donne. Ne contai venti e Antonio mi guardava felice come se si trovasse di fronte ad una scena emozionante raffigurata nei quadri di qualche artista. Quelle donne erano bellissime. Grandi. Robuste. Muscolose. Forti. Donne che lavoravano da tutta una vita e che passavano gran parte della giornata a crescere, nutrire e curare marito, suocere, mamme e figli. L’unica cosa che di loro mi appariva più spoetizzante era l’abitudine a fare le proprie faccende accompagnate dai suoni della televisione e di kilometri di telenovelas. Rosetta mi presentò con orgoglio alle donne che non avevo ancora incontrato sino a quel momento e subito dopo mi invitò a parlare. Raccontai loro per filo e per segno delle cose che avevamo scoperto al Comune e mostrammo le fotocopie dei documenti che raccontavano dell’esistenza di quel fantomatico palazzetto dello sport e della scuola materna. Mi appellai a loro per chiedere cosa sarebbe stato meglio fare perché, in fondo, la questione riguardava soprattutto quelli che abitavano in quel quartiere. Rosetta mi guardava con ammirazione e dopo un po’ mi interruppe per dire che mi era grata. Finalmente avevano la rarissima occasione di poter decidere delle loro questioni. Iniziarono a dibattere delle possibili strategie e io respiravo una insperata boccata d’ossigeno nel sentire quelle donne che raccontavano l’agire senza giocare con inutili frasi retoriche e con stucchevoli esibizioni del proprio sentire intellettuale. Rosetta e le sue compagne stavano concordando cose pratiche e un paio d’ore dopo vennero a capo della questione. Sarebbero venute quella sera stessa al consiglio comunale e lì avrebbero occupato l’aula fino a che non avessero assicurato loro acqua, rete fognaria, il palazzetto dello sport e la scuola materna. Erano obiettivi un po’ azzardati e in effetti stavano alzando la posta per poter avere anche solo quello che avevano ripetutamente chiesto negli ultimi dieci anni. Le donne avrebbero ottenuto allacciamenti idrici e rete fognaria e noi il blocco delle sedute di consiglio. Io promisi a Rosetta e le altre che mi sarei occupata dei comunicati stampa e di far venire la televisione. Nel pomeriggio chiamai la Presidente del Movimento Antimafia e le dissi di invitare i giornalisti della tivvù per quella sera stessa e di annunciare che il corteo era sostituito con una iniziativa di sostegno ad una occupazione dell’aula consiliare di Nutera fatta da venti donne agguerrite, incazzate e muscolose. Antonio chiamò gli amici del centro sociale e altri colleghi sparsi d’Università. Nel giro di un paio d’ore eravamo tutti in contrada Sperlinga in attesa delle donne che avremmo seguito fin dentro il Comune. Rosetta giunse per prima e subito iniziò a bussare e scampanellare tutte le altre. Alcune di loro indossavano ancora il grembiule da lavoro e le ciabatte. Con questo look si incamminarono raccontandosi che prima di uscire avevano dovuto preparare, per mariti e figli, pranzi e cene per le successive ventiquattro ore. Erano felici come bambine che stavano facendo una marachella. Ai mariti non avevano detto niente. Lo avrebbero scoperto vedendole attraversare con orgoglio il paese intero per andare a fare una guerra la cui vittoria sarebbe stata utile a tutti.

7]

Quel corteo improvvisato lasciò tutti quelli che ci incontravano senza parole. Stavano lì, a bocca aperta, a vederci passare, noi poveri lottatori apprendisti, al seguito di quelle venti straordinarie creature. In quel momento mi resi conto di non aver mai visto nessuno che mostrasse la stessa forza e la stessa determinazione al pari di quelle donne. Nessun corteo antimafia e nessuna iniziativa da centro sociale riusciva a lasciare il segno allo stesso modo. Quelle forze della natura spiazzavano chiunque. Se ne stavano chete chete dentro le loro case per custodire dentro i loro corpi rivoluzioni fatte di sudore, fatica e semplicità. Mentre facevo l’apologia populista delle casalinghe in lotta, notai che il nostro arrivo fu accolto da una Piazza piena di gente preparata all’evento. Qualcuno vedendoci aveva pensato bene di avvisare i mariti delle signore in prima fila e i politici presenti al Comune.

         Ma i bambini? A chi hai lasciato i bambini? – chiese un uomo preoccupato alla propria moglie.

         Li ho lasciati a tua madre e visto che non stai facendo niente ora vai a casa e li tieni tu.

         Esatto. Andate a tenere i picciriddi. – disse Rosetta rivolgendosi ai mariti perplessi.

         Ma quando torni a casa? – provò a insistere suo marito.

         E che ne so io. Per una volta faccio come fai tu. Fai conto che sono sulla porta di casa e ti dico: io sto uscendo, ciao.

Antonio scappò a fare le fotocopie del comunicato stampa che avevamo preparato tra una cosa e l’altra. Quando fu di ritorno iniziammo a distribuirlo – assieme alle foto del quartiere – ai giornalisti presenti. Rosetta fece un figurone nell’intervista con quelli della televisione. Sembrava averlo fatto per tutta la vita. Guardava dritto alla telecamera e scandiva bene ogni parola perché la denuncia risultasse chiara a chi la ascoltava: Nel loro quartiere non c’era acqua né rete fognaria e qualcuno si era fottuto i soldi che servivano per fare un palazzetto dello sport e una scuola materna che sulla carta risultano finite e consegnate. L’intervistatrice le chiese più volte se avevano le prove di quanto dicevano e lei mostrò con orgoglio le fotocopie delle carte che io e Antonio le avevamo portato e aggiunse che al posto della scuola materna, se andavano a dare un’occhiata, avrebbero trovato la villa del sindaco. Poi la giornalista lesse alcune frasi del nostro comunicato in solidarietà alla lotta delle donne del quartiere Sperlinga e infine si precipitò a fare una intervista al sindaco Piero Gentile.

         Ha nulla da dichiarare a proposito delle accuse che fanno le donne del quartiere Sperlinga? E’ vero che lei ha una villa dove dovrebbe esserci una scuola materna?

         Non è vero niente. Quelle donne farebbero bene a starsene a casa a badare ai propri mariti e ai propri figli. – rispose secco il sindaco.

         Le donne hanno dei documenti che provano quanto hanno dichiarato. Può ancora affermare che quello che dicono è falso?

         Ma quali documenti?! – fece sprezzante e continuò con tono arrogante – lo vuole vedere anche lei un documento? Venga, le faccio vedere la mia carta d’identità. Le piace? – e la mostrava avvicinandola con fare aggressivo alla telecamera. Poi si rifugiò dentro il suo ufficio e la giornalista chiese al cameramen di filmare la scena di una bella porta sbattuta in faccia.

Fu il suo scoop personale e ne fu così felice che rimase con noi fino a notte tarda. Il giorno dopo tornò in forze per sostenere la lotta e assieme a lei vennero altri suoi colleghi della carta stampata incuriositi della faccenda e interessati a fare un articolo per alcuni quotidiani nazionali. Nel giro di un paio di giorni la notizia, di per se folkloristica tanto quanto bastava da incuriosire chiunque, fu pubblicata da quattro quotidiani nazionali e – come previsto – la Presidente del Movimento Antimafia rilasciò volentieri alcune interviste per cavalcare la faccenda. Al quarto giorno di occupazione le donne ricevettero la visita del Prefetto Ottavio Ascia che volle vedere le carte in loro possesso e con due baldi esemplari delle forze dell’ordine si recò nell’ufficio a noi già noto e sequestrò tutto il sequestrabile. Scoprire gli inganni e i traffici arrogantemente esibiti nei documenti non gli fu per nulla difficile ed era corretto pensare che di tante cose il Prefetto fosse già abbondantemente informato. Ma in Sicilia valeva la regola che chi scagliava la prima pietra se ne beccava mille al minuto in risposta e talvolta anche essere secondi non era sufficiente ad evitare la lapidazione. Il prefetto scrisse di suo pugno il contenuto del decreto di scioglimento per mafia del consiglio comunale di Nutera e della sua giunta. Il Ministro dell’Interno lo firmò pochi giorni dopo. La nomina di un commissario straordinario diede alle donne la soddisfazione di ricevere una calda stretta di mano e gli allacciamenti per l’acqua e le fogne. L’appalto della metanizzazione avrebbe atteso ancora un po’ e in ogni caso il commissario aveva annunciato che sarebbe stato assegnato solo dopo regolare gara d’appalto. Non sequestrarono mai la villa del sindaco e continuarono a minacciare di demolire le case abusive degli abitanti di contrada Sperlinga. Le donne, però, stavano lì a vigilare e, semmai qualcuno fosse riuscito a fare arrivare una ruspa da quelle parti, Rosetta e le altre non sarebbero mai uscite fuori dalle proprie case. Piuttosto avrebbero preferito essere sepolte vive. Durante quei giorni Marco era rimasto a casa mia e uscì solo quando tutto fu finito. Io e Antonio andammo presto a trovarlo per sapere se tutto quell’ambaradan aveva funzionato. Ci mostrò una busta che qualcuno aveva infilato sotto la sua porta. Dentro c’era un biglietto con ora e luogo di un appuntamento.

         Intendi andarci? – gli chiesi preoccupata.

         Certo che ci vado. Abbiamo tolto l’osso di bocca ai cani che si stavano sbranando. Voglio proprio vedere se sono degno di portare il nome di mio padre e se la mia soluzione a loro è piaciuta.

         Pensi che… – e non sapevo come dirglielo ma alla fine glielo dissi – tua moglie stia bene?

         Non lo so. Se mi hanno dato un appuntamento può voler dire solo due cose: o vogliono ancora trattare e mia moglie a loro serve viva, oppure l’hanno già ammazzata e ora vogliono far fuori me.

         Dicci che altro possiamo fare. – chiese il pelato in tono serio.

         Niente per ora. Se non torno dall’appuntamento raccontate tutto e fate mettere in galera tutti quei gran pezzi di merda.

         Se non ci sei tu è impossibile che ci credano o che ci ascoltino. Tu lo sai chi sta a capo della caserma dei carabinieri…? – si oppose Antonio.

         Il brigadiere Fasulo, lo so. Quel gran corrotto di merda. Si fa i cazzi suoi e se andate a parlare con lui vi fotte alla grande.

         E da chi dovremmo andare? – gli chiesi.

         C’è un sostituto procuratore della repubblica che vuole fare carriera e ha proprio bisogno di sapere cose di questo genere. Quella fetente era venuta da mio padre a implorare se le poteva riferire delle cose, pure piccole. Basta che erano buone per farla stare un poco sulla stampa. Aveva promesso a mio padre che di lui non si sarebbe saputo assolutamente niente.

         E tuo padre? – lo interrogai.

         Mio padre l’ha mandata a quel paese perché la gente come lei non la sopportava. Per lui era peggio di uno che commette reato per guadagnarsi il pane. La gente come lei non lo fa per soldi ma solo perché sono fanatici e mitomani. Si sentono eroi a sbattere in carcere poveri cristi e figli di puttana senza distinguere la differenza tra gli uni e gli altri. Basta che se ne parli.

         Perché allora dovremmo rivolgerci a lei? Non possiamo cercare una soluzione che eviti sbirri e giudici? – fece Antonio.

         Certo. Ma se parte da voi, lei forse non farebbe differenza tra i Petrano e i Rizzotto. Sono convinto che solo così li possiamo fottere tutti.

         Marco, probabilmente hai ragione ma, ricorda che in questa storia siamo soli e dobbiamo pensarci un po’ . – gli dissi mentre Antonio mi faceva un cenno di consenso con la testa.

Era una faccenda delicata e io e il lungo non eravamo per nulla convinti di lasciare andare Marco da solo a quell’appuntamento. Non volevamo neppure pensare di dover rischiare la vita affidando tutto ad una giudice imbecille che un bel giorno avrebbe potuto decidere di piantarci in asso a metà della storia perché lei aveva già avuto la sua fetta di gloria. Ne troppa né troppo poca. Tanto quanto bastava per avanzare di carriera e togliersi da sotto il culo la sedia bollente di sostituto procuratore in un posto sconosciuto chiamato Nutera, in cui il minore problema era il regolamento di conti tra clan rivali. Una gloria giusta giusta che però non doveva costare la vita. Magari se la sarebbe presa solo con il clan più debole, chiudendo inchieste e occhi su quello più forte. Magari avrebbe fatto un favore al clan dei Petrano togliendogli dalle palle i Rizzotto e avuta una bella promozione e un trasferimento ci avrebbe lasciato sprofondare nella merda più nera. Antonio nel frattempo rimuginava qualcosa e, a giudicare da come muoveva le labbra, stava parlando da solo. Gli diedi una gomitata e lui fu colto da una frenesia tale da farlo salire per le scale saltando tre gradini per volta. Casa mia stava in cima a tutto e il pelato si diede un gran da fare per trovarsi una sistemazione sul mio divano mettendosi a disposizione carta, penna, la mia vecchia macchina da scrivere e il telefono. In un ora aveva convocato una trentina di persone che si presentarono  tutte con bombolette di vernice. Nel frattempo mi aveva spiegato cosa intendeva fare e mi aveva invitato a indossare un cappuccio in testa per nascondere i capelli. Andammo in giro per tutta la notte e la ronda dei carabinieri non ci beccò per un pelo. Il giorno dopo Nutera non era più la stessa. Tutti i muri del centro storico erano colorati dalle scritte “Sappiamo tutto!” e “Dio non c’è più. Ora c’è la magia.” La scritta più grande era quella che riempiva un lato intero del palazzo comunale. Ad ogni angolo si trovavano capannelle di gente con il naso in su’ che si chiedeva chi avesse scritto quelle pasquinate. Io avevo il timore che quel riferimento alla magia mettesse in pericolo la vita di Marco. Antonio invece sosteneva che quello era l’unico modo per salvargli la vita. Chi poteva decidere di ammazzarlo doveva fare i conti con il fatto che lui non era solo e che non sarebbe stato sufficiente un esercito di killer per sterminare tutte le persone che sapevano . La magia era venuta dalla tomba e Nutera ne era piena. Chiunque avrebbe saputo della storia di come i Petrano rubavano la vita alla propria gente sottraendo loro scuole, case, strade, lavoro, giardini, servizi. Ma chiunque avrebbe saputo anche dei Rizzotto e del loro giro di droga, estorsioni, armi, sfruttamento della prostituzione. Qualunque abitante di Nutera e oltre avrebbe saputo quali erano i politici che li rappresentavano in consiglio comunale, alla regione, nel parlamento nazionale. Non avrebbero fatto in tempo a cancellare tutte le scritte che ne sarebbero subito apparse altre. Marco mi telefonò quella sera stessa e mi disse che aveva apprezzato l’iniziativa. Lo salutai augurandogli buona fortuna. Dopo qualche ora si sarebbe trovato solo con chissà chi a mercanteggiare per la vita di sua moglie o per la propria.

8]

Io e il lungo non riuscivamo a starcene con le mani in mano e decidemmo di uscire a fare una passeggiata. Entrambi sapevamo di mentire a noi stessi e passeggiando passeggiando ci ritrovammo nei pressi del luogo dell’appuntamento di Marco. Dopo esserci scambiati un’occhiata d’intesa ci ritrovammo a scegliere un buon nascondiglio per poter assistere all’incontro senza essere visti. Il posto era in un quartiere di periferia conosciuto come il “ghetto”. Avevano costruito tre palazzine popolari e ci avevano piazzato dentro tutta la delinquenza di basso ceto che dava fastidio agli occhi delle signore tutte casa e chiesa e a quelli dei mafiosi di lusso. Prostitute, ladri di autoradio, scassinatori d’occasione, nel ghetto c’era di tutto e un prete in odor di santità ebbe la bella idea di farci costruire una madonnina per proteggere il crogiuolo di disgrazie. Non solo. Decise anche di andare a farci una messa a settimana per assicurarsi che nessuno volesse scappare da lì per inzozzare le strade della Nutera bene. Marco arrivò per primo e si mise sotto un lampione per farsi vedere meglio. Dopo pochi minuti arrivò la uno bianca più scassata che io avessi mai visto. Ne uscì fuori un tipo con gli abiti da muratore ancora macchiati di calce. Ne io né Antonio riuscivamo a vederlo in faccia ma udimmo chiaramente tutto ciò che fu detto.

         E bravo Marchino. Bravo, bravo. – e simulò un applauso che sapeva di minaccia.

         Dov’è mia moglie. – chiese Marco severo.

         Ehhhhh! – sospirò allargando le braccia – E chi può saperlo.

         Smettila stronzo! Che minchia vuoi? Perché mi hai fatto venire qui?

         Ehi, guarda che ti devi calmare. – lo rimproverò – Stronzo ci sei tu e quel grande figlio di buttana che era tuo padre. Buonanima.

Marco teneva le braccia basse e stringeva i pugni fino a farsi scoppiare le vene. Per un attimo ebbi paura che volesse picchiare quell’essere rivoltante. Invece di colpo si calmò e divenne così sereno da essere snervante. Addirittura rise.

         Avvisami quando hai finito di fare il buffone. Io ora mi accendo una sigaretta e me la fumo. Se non mi dici cosa vuoi prima che la finisca io me ne vado.

         Tua moglie è una bella femmina…

         Mia moglie si chiama Sara e la sigaretta sta per finire. – non raccolse la provocazione, ma a momenti staccava a morsi il filtro.

         “Giovane”, stai facendo un casino, e non abbiamo capito dove vuoi arrivare.

         Di che casino parli?

         Ti sei fottuto l’appalto! Dio non c’è e ora c’è la magia… – ripeteva cantilenante – Dove vuoi arrivare?

         A mia moglie. Voglio arrivare a lei. Tu mi ci puoi portare?

         Sissignore. E tu ti riprendi la magia e te la ficchi nel culo?

         Avete cominciato voi. Io non ho mai avuto intenzione di fare il “mago”. Voglio solo campare in pace con mia moglie.

         E ai giovani che sporcano il paese, chi glielo dice che devono smettere? Lo fai tu?

         Non ce n’è bisogno. Loro non fanno niente che mi faccia danno.

         Allora siamo d’accordo. Tutto questo deve finire subito.

         Dipende.

         Da cosa?

         Da quanto ci impiegate a smettere di rompere la minchia a tutto il paese. La gente si è rotta i coglioni delle vostre angherie e nessuno vuole più vedere ammazzatine per strada.

         Per conto nostro tuo padre è stato l’ultimo.

         Per conto vostro… – sibilò Marco. E mi parve di vedere un guizzo rabbioso nel suo sguardo.

         E certo. Non è che possiamo garantire pure per quegli altri.

         Ci mancherebbe. Trovatevi un altro “mago” allora che riesca a fare quello che voi non sapete fare.

         

         Non ti preoccupare. Abbiamo trovato di meglio.

Marco gli rivolse uno sguardo interrogativo.

         Ora esistono i pentiti. – lo esaudi’ l’altro.

         E che ci fate con i pentiti? Mio padre lo avete ammazzato perché i pentiti lavorano meglio di lui?

         Questo lo stai dicendo tu.

         Certo che lo sto dicendo io. Anche se la spiegazione non può essere così idiota.

Il tipo sollevò le braccia e pregò:

         Come vuole Dio.

         Ma di che minchia di dio stai parlando. Dio non esiste e ora è tardi. Portami da mia moglie.

         Tuo padre è morto – pace all’anima sua – perché aveva sbagliato. Era un sognatore. Pensava che tutti potevamo andare sempre d’amore e d’accordo. I rivali si devono togliere dalle palle. Se non li possiamo ammazzare allora li facciamo arrestare. Uno che si pente e che fa dei nomi, tanto, lo troviamo sempre. Torna a casa. Tua moglie è lì.

Marco salutò il tizio con un cenno della testa e volò via a rivedere la sua donna. Io e Antonio ci allontanammo subito dopo. Tornando verso casa il pelato mi abbracciò per condividere l’entusiasmo dell’amaro e lieto finale. Ricambiai la stretta e desiderai di essere in un posto dove un gesto del genere non venisse interpretato come fosse il preludio al matrimonio. Adoravo quell’essere lungo e pelato e non sarei riuscita a sopportare di sentirmi dire da mio padre che dovevo smettere di frequentarlo per le chiacchiere della gente. Piuttosto preferivo cambiare casa e città. Così mio padre non avrebbe più avuto nessun detective improvvisato che gli potesse rompere le palle riassumendogli le mie gesta e io avrei potuto frequentare chi preferivo senza doverne rispondere a nessuno. Solo in quel momento mi rendevo conto che mio padre doveva essere furioso per tutto il casino che mi aveva visto fare in giro. Qualcuno era certamente andato a dirgli tutto e a verificare il potere che lui esercitava su di me. Immaginavo la faccia di mio padre  e il suo gesto, a braccia aperte, per dire che lui non riusciva a impormi niente. Non per niente io ero pazza e mi chiamavano “Tresa”.

9]

Marco non mi disse mai chi era quello strano personaggio che aveva incontrato. “Lo faccio per il tuo bene!” decideva. E io non ero davvero così sicura di volerlo sapere. I veri pericoli di cui desideravo conoscere nomi e cognomi avevano oramai un altro aspetto e tendevano a confondersi con la gente perbene. La mafia paesana era condannata ad estinguersi in ogni caso. Al suo posto avremmo visto una grossa organizzazione di massoni e criminali che di lì a poco sarebbe diventata la più grossa rete di riferimento, dentro e fuori le istituzioni, che per anni nessuno avrebbe sconfitto. Le faccende di Nutera erano state una guerra tra bande. Indebolendosi a vicenda avevano solo reso un servizio ai loro successori. Ignari di tutto, nell’ultima fase della loro esistenza, i clan si dedicarono ancora vari cenni di attenzione. La giudicessa doveva aver pattuito la sua fama con qualcuno dei Petrano perché in un paio di mesi, prima che la faccenda perdesse di interesse pubblico, trovò uno della famiglia Rizzotto da far pentire che guardacaso iniziò a dire tutto quello che il paese intero sapeva già. Fece arrestare tutti i componenti della banda e un loro deputato regionale. I pentiti dissero anche che la giudicessa era in pericolo di vita perché considerata “nemica della mafia”. Così lei fece ambarabacicicocò per decidere in quale bella città voleva essere trasferita e divenne l’opinionista mafiologa più  quotata del successivo decennio. Carriere, promozioni, premi. Il carcere per i Rizzotto al completo e un bel servizio gratuito per i Petrano.  Nessuno di loro però aveva vinto. Marco e Sara invece si.

[e.p.] 

Posted in Autoproduzioni, Narrazioni ultimate, Omicidi sociali.


2 Responses

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  1. FikaSicula says

    Grazie Gabriella! 🙂
    E’ vero, hai ragione. Difficile fare ironia su cose così 😛
    bello il Nick ovaio impazzito ahahahaha
    a presto tesoro
    :*

  2. gabriella giordano says

    La protagonista non è affatto frivola come ritieni, hai cercato di ironizzare ma non sei riuscita nell’intento!!!!Lo stile narrativo è pur sempre quello originale sebbene si notino degli “alleggerimenti”!!!Ciao Ciao! F.to ovaio impazzito