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Mastectomia e capezzoli tatuati

Ultimamente si è parlato di mastectomia perché una famosa attrice ha voluto farsi operare ai seni per prevenire una malattia che non aveva ancora. Qualche migliaio di dollari e due seni in meno per garantirsi l’immortalità. La prevenzione è essenziale, certo, tant’è che in Italia farsi un test è difficilissimo. Nella mia città la prenotazione ti rimanda all’anno dopo se va tutto bene. Tocca farsi l’esame da un privato. Però a parte tutto c’è il fatto che talvolta il cancro arriva in una età che neppure te l’aspetti. Ed è troppo complicato parlarne perché a farlo deve essere sicuramente chi ha vissuto e vive questo grandissimo problema.

Poi la mia amica mi segnala questo articolo e io penso che ricordo immagini bellissime pubblicate sul nostro blog in cui le donne mostravano con fierezza le cicatrici e rifiutavano qualunque operazione di chirurgia estetica a carattere risarcitorio perché i corpi mutano e accettarne i cambiamenti diventa a volte necessario perfino per fare emergere una sensualità adulta, bella, una nuova sicurezza.

Però rispetto molto anche le donne che hanno voglia di dimenticare e guardarsi vedendo i seni in forma il più possibile simile a quella che già avevano, perché la chirurgia estetica e in questo caso un tatuaggio ti rimandano indietro una immagine di te che ti è più affine. D’altronde siamo qui a fare cultura queer dove raccontiamo che c’è chi è intrappolat* in corpi nei quali a volte non ci si riconosce e un cambio d’abito o una operazione può essere necessaria oppure no ma è un desiderio lecito somigliare quanto più è possibile all’idea che si ha di se’.

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Di stupri, Iene e culture da combattere

Da Abbatto i Muri:

Prendersela con una trasmissione televisiva quando c’è tutta una modalità di dis-fare cultura che fa schifo.

Parlando di stupri e indignazione c’è una discussione in atto che focalizza in una sola direzione. Nulla da dire se in tv trovi la testimonianza senza contraddittorio di una donna vittima di violenza. Se in un canale diverso ascolti il parere della persona accusata succede il finimondo.

Ai media non si chiede giusto di fare giornalismo serio e non occuparsi con fare gossipparo e scandalistico di fatti complessi che producono ferite enormi e che riguardano la sfera della violenza. Si chiede di uniformare la narrazione. Che sia corrispondente alla versione della donna/vittima e basta.

Ho visto la puntata delle Iene. Fa schifo come fanno schifo i servizi di quella trasmissione in generale. Sono spacciatori legalizzati di stereotipi. Lo sono quando fanno parlare la donna con voce mascherata mentre racconta della violenza subita, quando definiscono la questione della violenza come appartenesse solo a contesti di mentalità anacronistica, e lo sono quando fanno parlare due condannati in primo grado per stupro per sintetizzare in 18 minuti una versione della storia che arriva al pubblico come un proiettile che ti si infila nella carne.

Generalizzazioni, cliché, tutto il copione preconfezionato che si tira fuori in ogni difesa in un procedimento di stupro. Che non vuol dire che penso siano colpevoli. Non ne so niente. Non posso saperlo e non lo sapete neppure voi che vi improvvisate criminologi sui social network. Ma non vuol dire neppure che siano innocenti perché, appunto, non posso saperlo e non lo sa neppure il giornalista delle Iene che fornisce pseudo prove al giudizio del popolo che oramai si erge in quei canali al di sopra di tutto e tutti perché il popolo sceglie, il popolo televisivo valuta, vota, elegge e se il popolo ti elegge ti manca l’immunità parlamentare e poi stai a posto per tutta la vita.

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#OccupyGezi: lettera dalla Turchia

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da qui:

Lettera da Istanbul: dalla Turchia al mondo

di Sumandef Hakkinda*

Istanbul, 3 giugno 2013, Nena News – Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia: scrivo per farvi sapere cosa sta succedendo a Istanbul da cinque giorni. Personalmente sento di dover scrivere perché la maggior parte della stampa è stata messa sotto silenzio dal governo e il passaparola

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