da Abbatto i Muri:
Ricopio qui un passaggio dell’appello anti decreto femminicidio che viene fuori dallo scazzo a #Paestum. Lì non ce l’hanno fatta a mettersi d’accordo perché per alcune femminismo è una cosa vaga così chi ha più potere e risorse ci può mettere dentro quel che vuole.
“Il decreto 93/2013 in discussione in questi giorni in Parlamento per la conversione in legge, inserisce norme di contrasto al femminicidio con una forte impronta securitaria in un pacchetto in cui si dichiara la donna come un “soggetto debole” da tutelare da se stessa, tanto da toglierle anche il diritto di autodeterminazione nella possibilità di revocare la querela, e dando maggior potere al sistema di controllo poliziesco. Per questo e per tutto quello che si sta consumando sui nostri corpi, qui diciamo che tutto ciò non può essere fatto nel nome delle donne, di tutte e di ciascuna: “Non in mio nome”.“
Maria Luisa Boccia, una delle firmatarie, sulla legge scrive:
“E’ usata per presentare come una legge a favore, tutela delle donne, l’ennesimo affastellamento di norme securitarie. Così dietro l’immagine retorica, di fatto la violenza contro le donne è derubricata ad uno tra altri fenomeni di allarme sociale. La cui gravità ed urgenza è pari a quella per le norme sui vigili del fuoco. Tanto per essere chiare sulla sensibilità politica che viene evocata su questa legge. Ed è affrontata malamente perché la riduce a questione penale, securitaria. Riproponendo il logoro stereotipo della donna vittima. Ma senza mettere in campo un’idea, un soldo, un’azione, di cui le vittime di violenza possano concretamente avvalersi. Anzi, con l’irrevocabilità della querela è plausibile che le denunce si riduranno. Di certo sarà più complicato, ed umiliante, per la donna che voglia revocarla, poterlo fare. Come già per l’aborto deve sottoporsi alla pratica burocratica di un colloquio con il giudice per giustificare la sua scelta ed esserne autorizzata. Un rimedio peggiore del male dell’irrevocabilità secca.“