Il 1° aprile a Firenze, presso il Giardino dei Ciliegi, via dell’Agnolo n. 5, alle ore 15.30, Firenze Precaria, a cura dell’Associazione Corrente Alternata, invita all’incontro “Soggettività precarie. Come costruire il pensiero dell’esperienza precaria.” con Cristina Morini, autrice del libro “Per amore o per forza. Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo.”
Sotto potete leggere una bella recensione del libro di Chiara Mellini. Buona lettura!
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Recensione di Chiara Mellini su Morini C. (2010), Per amore o per forza. Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo con prefazione di Judith Revel, OmbreCorte, Uninomade, Verona.
Il lavoro di Morini, con la preziosa introduzione di Judith Revel, pretende una lettura notturna, da effettuare tutta “d’un fiato” senza interruzioni o tanto meno tempi frammentati come i ritmi temporali che la vita di oggi ci “costringe” ad avere. Non si può infatti correre il rischio di non somatizzarne interamente il contenuto.
E’ un manifesto l’opera di Morini, un manifesto di autodeterminazione, di consapevolezza, verso quel processo chiamato femminilizzazione del lavoro che negli ultimi anni ha trasformato i nostri tempi di vita in elementi di profitto e le nostre capacità e aspettative personali in fattori del capitalismo neo liberale.
Come le linee d’ombra e le zone oscure dei movimenti delle donne che Morini investiga, vi sono nel suo lavoro ambiziose letture di un universo, che lei stessa definisce difficile da interpretare, perché in costante mutazione. In alcuni passaggi, Morini offre una visione di superficie che sembra voler colmare i vuoti di una riflessione femminista sul lavoro, oggi.
Il pensiero dicotomico, oppositivo e di contrapposizione, di cui il sistema occidentale è composto, viene analizzato da Morini in relazione al patriarcato e al capitalismo, come elementi fondativi di un processo di femminilizzazione del lavoro. Dall’ingresso delle donne nei contesti professionali retribuiti allo sfruttamento di modalità oblative e di cura, si é arrivate alla precarizzazione delle esistenze, processo che ha investito sia donne che uomini, non senza evidenti sproporzioni nelle conseguenze quanto nella matrice di genere.
Nei cinque capitoli che lo compongono, l’autrice ci porta a osservare tutti gli aspetti, le forme oscure e gli elementi del nostro stare nel lavoro oggi. Patriarcato, femminilizzazione del lavoro e pensiero della differenza vengono scarnificati, offrendoci significati e collocazioni diverse al loro abituale e consolidato uso. Suddiviso in cinque aree distinte che tentiamo qui di sintetizzare in territori interni agli individui e nuovi confini del lavoro, si apre con una riflessione sull’individuo nel lavoro che cambia. La razza precaria di cui ci parla Morini punta il dito sul pensiero di contrasto e antitetico, terreno fertile per il dilagante capitalismo che ingloba dentro di sé, tutto: corpi, menti, pensieri e desideri. Ed è nella “separazione dogmatica tra differenza di genere e condizione lavorativa” che si sono costruiti i sistemi sociali rigidi in cui non possono essere accolte le sfumature e le complessità degli individui e, sottolineo qui, soprattutto quelle delle donne. Il soggetto precario che muta, si re-inventa ed è perennemente diverso da se stesso1 e non trova spazio nelle categorie prestabilite, porta alla creazione di ciò che Morini chiama “un nuovo meticciato”.
E se è vero che il concetto di transizione rappresenta perfettamente la condizione mutevole e di dinamismo obbligato del soggetto di oggi, tale transizione, tale nomadismo non attraversa a mio avviso indistintamente tutte le condizioni e tutte le posizioni sociali. Se il lavoro è diventato precario al di là del genere (maschile e femminile) e al di là delle tipologie di lavoro (è precaria un’operaia quanto una segreteria che lavora in un Ente pubblico), non è altrettanto vero che lo è diventato indifferentemente per tutte le posizioni sociali. Per quanto il fenomeno del lavoro precario sia immenso e diffuso, esistono sostanziali differenze che vanno dalla retribuzione economica, al nome stesso del lavoro. Per cui un contratto di apprendistato o di stage maschera, a seconda del contesto in cui viene attivato, richieste di adattamento a orari, compiti e capacità di investimento personale simili, ma con ricadute nella vita privata e di crescita professionale delle persone, molto diverse fra loro che necessitano a mio avviso, di essere osservate, conosciute e analizzate a fondo, perché produttrici di ingiustizie sociali, di opportunità non sempre legate al merito, ma fondate sulle cooptazioni parentelari come nelle semplici influenze personali.
Nel secondo capitolo Morini affronta l’ambito del lavoro cognitivo attraverso un’indagine nel contesto delle professioni giornalistiche che apre lo sguardo sulla rilevante caratteristica dello status di precarietà: ovvero la peculiarità del lavoro costruita sulla base di contrattazioni individuali. Ed è sempre in tale ambito che si esplica l’interesse del capitalismo cognitivo per il soggetto: ovvero la capacità del singolo di mettere sé stess* nel proprio lavoro. Morini ci evidenzia come, da una parte “il paradigma produttivo punti alla standardizzazione delle conoscenze” con lo scopo di trasferirle e monetizzarle in altri contesti del profitto. Dall’altra inglobi al suo interno “connotati emozionali ed esperienziali unici” per cui il soggetto con la sua storia e suoi vissuti diventa merce di scambio e allo stesso tempo contenuto del proprio lavoro. L’home office o la domestication rendono il luogo delle professioni uno spazio aperto e anch’esso mutevole, dove i confini fra le attività di lavoro retribuito e le relazioni sociali sembrano continuamente dissolversi.
Ed è in questo processo di assimilazione che Morini affronta nel terzo capitolo il tema del corpo sul lavoro e lo fa riprendendo le parole di Urlick Beck sul “lavoro che si femminilizza” dove la precarietà diventa terreno occupazionale per gli uomini tanto quanto per le donne. Con estrema crudezza Morini ci accompagna nel territorio dell’essere e dell’apparire, in cui il soggetto che lavora fa del proprio corpo un biglietto da visita oltre che bandiera di efficenza e capacità estrema di adattamento, nel tentativo di andare oltre i propri limiti di età o le proprie fisiologiche necessità. L’aspirazione e l’apporto emozionale che ognuna offre alla dimensione del lavoro viene letta da Morini attraverso le parole del filosofo e antropologo Georges Bataille che nel suo libro sul paradosso dell’eccedenza, (ovvero che al massimo dell’esuberanza produttiva corrisponda il massimo della perdita) definisce con il termine la parte maledetta “l’eccesso di desiderio che deve essere sacrificato per consentire lo sviluppo dell’economia”.
Un desiderio senza tempo e offerto in dismisura, come Morini ci parla nel suo quarto capitolo. Le potenzialità della Rete permettono il rimanere in costante collegamento, in continua relazione con l’esterno e gli altri, a patto di rinunciare quotidianamente ai tempi necessari della riflessione, del dubbio e del pensiero, che l’immediatezza comunicativa dei nuovi media non consente di mettere in atto. La qualità del lavoro contemporaneo si misura nella deadline dei progetti che perseguita i precari cognitivi ben oltre le ore di impiego e in cui lavoro emozionale e di cura si fondano portando alla luce la necessità di un “aggiornamento lessicale/semantico che tenga conto dello scivolamento di senso portato con sé dai cambiamenti della società e dei modi di produrre”. La definizione dei lavori aticipi sembra quanto mai attuale, inserita come è nell’esigenza di un riferimento normativo nazionale che proprio in questi giorni viene finemente smantellato da leggi come il Collegato Lavoro2 in cui la contrattazione individuale, oltre che costituire un debole strumento di rivendicazione dei propri diritti, fa del precariato la futura condizione del lavoro.
Nella proposta di istituire un “reddito di esistenza” come risposta all’imperante precarietà, Morini conferma l’urgenza delle sue riflessioni e la necessità per il femminismo contemporaneo di farsi portavoce “non tanto di un nuovo metro di misura del valore del lavoro”, quanto di come inconsuete forme di distribuzione economica possano sopperire all’intermittenza delle professioni, all imperante individualizzazione dell’ingresso e del permanere nel lavoro, “facilitando lo sviluppo della persona e del suo agire al di là di ciò che è funzionale alla produzione”.
Il suo invito ad un agire collettivo, alla necessità di riappropriarsi di modalità e forme di rivendicazione comune fanno del suo libro un contributo essenziale allo svelamento e alla comprensione della precarizzazione del lavoro, oggi.
1Morini cita Braidotti R. (1995), Soggetto Nomade, Donzelli editore, Roma.
2Legge 183/10 in vigore dal 24 novembre 2010