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Precarie

Riceviamo e pubblichiamo l’invito del collettivo LeGrif a partecipare alla mostra sul precariato organizzata in collaborazione con la fumettista Katia Mariani e la scultrice Clarice Plana che si terrà domani sera a Pisa alle ore 19 presso il Leningrad Cafè.

Durante la serata il Collettivo presenterà il nuovo opuscolo “Precarie”, introdotte da Sandra Burchi dell’Università di Pisa. LeGrif presentano così il loro lavoro, un opuscolo realizzato dall’analisi di questionari, specificando l’attenzione alla riflessione di genere sulla questione del precariato.

Buona lettura!

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Fin dall’ideazione del questionario volevamo che la specificità di genere emergesse evitando di sottoporre un questionario sterile, che tenesse conto solo degli avanzamenti di carriera o degli stipendi, ma al contrario che sottolineasse come la precarietà sul lavoro divenga rapidamente un modus vivendi per le persone coinvolte, tramite la presenza di domande che riguardassero la sfera delle aspettative e dei desideri.

Nell’opuscolo sono stati inseriti i questionari così come ci sono stati consegnati, non abbiamo voluto applicare correzioni o aggiustamenti di alcun tipo, e per quanto possibile abbiamo rispettato la grafica originale. Questo perché volevamo che emergesse la specificità di ogni donna, delle sue aspettative e della sua storia.

Il rapporto tra donne e lavoro è sempre stato tutt’altro che pacifico. Il rapporto col denaro, coi propri diritti, coi propri ruoli ci ha sempre rese precarie ma mai come in questa fase siamo state messe alla prova.

Il sistema del lavoro è un sistema che uccide, uccide i corpi, uccide i diritti, i desideri e le aspettative.

Ci viene chiesto di essere studentesse veloci e brillanti, salvo poi doverci scontrare con un sistema universitario che ci impoverisce intellettualmente ed economicamente, sia nel momento in cui ne facciamo parte che nel momento in cui ne usciamo (In Italia il 60% di chi si laurea è donna, il 40% uomo. Eppure in Italia ben il 22% delle laureate non lavora, contro il 9% degli uomini).

Ci viene chiesto di sviluppare competenze ed accumulare esperienze (chiaramente non retribuite) salvo poi risultare sempre o troppo giovani o troppo anziane. (tra i 35 e i 45 anni, quando le prospettive di crescita professionale si delineano e concretizzano, le donne non riescono a fare il salto che invece più uomini fanno. Il vantaggio nell’istruzione si perde.)

Ci viene chiesto di mantenere livelli sempre più alti, salvo poi dover sempre “correggere il tiro” puntando a posizioni inferiori rispetto alla nostra preparazione, a retribuzioni inferiori rispetto alla nostra posizione. (le donne sono poco presenti nelle posizioni apicali delle imprese: il 23,3% nel top management delle aziende pubbliche e private [10% se restringiamo l’attenzione alle private] e solo il 6% nei Cda delle società quotate.)

Ci viene chiesto di essere sempre più specializzate, salvo poi portarci a fingere di avere titoli di studio inferiori per poter ottenere un impiego che altrimenti risulterebbe troppo dispendioso per l’azienda. (Le donne laureate che lavorano sono pagate meno dei loro colleghi uomini. Secondo le rielaborazioni del «Sole 24 Ore» sui dati It-Silc 2008 – Statistics on Income and Living Conditions, il differenziale salariale di genere è in Italia più alto tra i laureati (34%) che tra le persone con titoli di studio di media inferiore (29%) e media superiore (28%).

Ci viene chiesto di essere madri felici salvo poi farci firmare al momento dell’assunzione fogli di dimissione in bianco da tirar fuori al momento opportuno e rendendo impossibile la conciliazione tempi di vita e di lavoro. La fase critica della carriera lavorativa coincide molto spesso con una fase critica anche della vita personale, la recente formazione della famiglia, i bambini ancora piccoli. L’Italia ha la fecondità più tardiva, con un’età media al primo parto pari a 31 anni. La maternità si associa a una caduta dell’occupazione femminile e il numero di bambini amplifica l’effetto, in Italia più che altrove: il tasso d’occupazione delle donne senza figli è pari al 66% e scende al 60% per le madri con un figlio e al 53% in presenza di due figli.
Molte donne lasciano il lavoro alla nascita dei figli. Per quelle che rimangono la carriera è spesso rallentata o bloccata. Quando i bambini diventano grandi le difficoltà di conciliazione diminuiscono e le donne potrebbero tornare in corsa, ma spesso è troppo tardi, soprattutto se l’età è avanzata.

La condizione di “apprendista” diviene il nostro stato naturale dal momento che ci viene chiesto continuamente di “ripartire dal via”.

Aspettative di realizzazione, desiderio di maternità, passione per il nostro lavoro ci vengono negate tramite contratti che non possono rappresentarci.

I nostri corpi di donne, nuovamente, ci escludono da tutta una serie di ruoli e posizioni. La nostra potenziale maternità, il ruolo di “cura” (in senso ampio) che la società ci impone continua a stridere con un mondo del lavoro che non vuole che ci sia spazio per noi.

I tempi e i modi del lavoro sono incompatibili con i nostri tempi e modi di vita.

La crisi che investe il settore della scuola, da sempre considerato femminile o “femminilizzato”, è l’esempio forse più chiaro dell’ulteriore impoverimento delle donne e della precarizzazione delle loro esistenze anche in settori in cui, almeno teoricamente, non vi erano degli ostacoli nell’accesso di ruolo. Siamo tutti precari ma forse, come donne, lo siamo un pochino di più.

[Dati tratti da «Il Sole 24 Ore» 26/02/2010 Donne e lavoro: Figli e Carriera. Presto o tardi non conta. Di Alessandra Casarico e Paola Profeta.]

Abbiamo raccolto diverse testimonianze ma abbiamo scelto di selezionarne una in particolare perché rappresenta quel ponte tra le generazioni di donne passate e quelle attuali. Spesso sul tema del lavoro ci sono delle difficoltà comunicative tra coloro che sono cresciute con il “mito” del posto fisso e quelle che invece si sono arrese a una consapevolezza di un precariato certo. Altrettanto spesso però se il “punto di partenza” e le aspettative iniziali sono diverse, purtroppo il punto di arrivo è il medesimo. La storia che Domenica ci racconta è una storia intergenerazionale che attraversa le difficoltà di ieri e le criticità di oggi che noi donne dobbiamo affrontare nel lavoro. Racchiude tutte le componenti caratterizzanti la precarietà femminile.

L’ESPERIENZA DI DOMENICA

Insegno Scienze, sono quasi 20 anni, è stata e continua ad essere, un’esperienza molto lunga, piacevole perché è bello lavorare coi ragazzi e anche con gli insegnanti ma sono gli stessi motivi che te lo rendono spiacevole perché non sempre i ragazzi sono interessati, e delle volte anche i colleghi sono socievoli e collaborativi e altre volte sono solo persone sgradevoli che ti rendono ancora più difficile questo lavoro.

Mi sono laureata nell”87 in scienze biologiche ed ho iniziato a lavorare nel ’90. Appena laureata non avevo altre possibilità oltre a quella dell’insegnamento. Tutti facevano domanda per l’insegnamento, l’ho fatta anch’io. Ho avuto fortuna mi hanno chiamata a lavorare in una scuola privata, parificata, dove ho lavorato per quattro anni. È stata una bellissima esperienza sia per gli studenti che ho trovato, anche se molti erano poco interessati però tanti altri lo erano quindi mi gratificavano e mi son trovata molto bene coi colleghi spesso ci trovavamo anche al di fuori dalla vita scolastica facevamo attività diverse come andare in teatro a vedere anche dei miei colleghi che facevano gli attori. [..] Appena laureata pensavo di fare la biologa. In realtà non è stato possibile perché i posti di lavoro allora erano pochissimi, concorsi inizialmente non ce n’erano. Successivamente ho fatto il concorso per l’insegnamento il primo concorso non l’ho superato [..] quindi questo ha precluso la mia possibilità di lavorare come insegnante di ruolo.

Una seconda possibilità l’ho avuta 10 anni dopo perché nel frattempo non avevano fatto concorsi, e questo più che un concorso era un corso abilitante che ho superato dopo un corso di alcuni mesi con esame finale, che ho superato e quindi sono abilitata dal 2000.

Qual è la procedura tramite la quale si ottiene un posto fisso nella scuola?

E’ questa, riuscire a superare un concorso o un corso abilitante, anche la SISS si può fare, che ora hanno chiuso…

Dove hai iniziato ad insegnare?

A Sassari

E tu sei di Sassari?

No, però vivevo a Sassari e vivo ancora a Sassari; non mi sono mai mossa da qui ed ho lavorato per quattro anni a Sassari in quella scuola privata poi ho lavorato nella scuola pubblica e da allora non ho più avuto sedi a Sassari se non per poche ore e alcuni mesi, mai per un intero anno scolastico se non al serale ai ragionieri o ai geometri, però diciamo che su sedici anni di insegnamento nella scuola pubblica son poche le volte in cui ho lavorato a Sassari. Per lo più ho lavorato in tutta la provincia di Sassari: Olbia, Tempio (che anche se fanno provincia non hanno un provveditorato. n.d.r.),Bono, Ozieri, Pozzomaggiore, Bonorva, Alghero.. Sempre viaggiando.

Il percorso più lungo che ho dovuto percorrere è quello per Olbia, 104-105 km, impiegavo un’ora e un quarto. Delle volte ho anche preso casa ad Olbia, perché era troppo faticoso però mi son trovata molto male, era un ambiente ostile, sia dal punto di vista scolastico sia quello della città che non è un posto accogliente, molte persone ci si son trovate male ma c’è chi si è trovato bene, le colleghe gentili ma molto per l’apparenza ti invitavano a casa, un giorno ma questo giorno non veniva mai, ho avuto problemi di salute mi son rivolta ad una persona che conoscevo, per portarmi all’ospedale ma non poteva perché aspettava la pizza e mi son rivolta a persone estranee per farmi accompagnare, ma anche a scuola i colleghi erano molto snob, le persone con cui uscivo erano i colleghi precari che poi finite le lezioni se ne tornavano chi a Sassari chi in altri posti e invece io tornavo a casa ma appena potevo prendevo la macchina e tornavo a Sassari anche due volte a settimana, il mio giorno libero e poi anche nelle alte occasioni, per il fine settimana scappavo letteralmente.

All’inizio ti sembrava di avere più possibilità rispetto ad ora, nel senso più posti da occupare, più vicino a casa, meno concorrenza di altri colleghi?

La concorrenza c’è sempre stata ma prima c’erano più posti anche se ero più indietro in graduatoria, perché adesso sono prima in graduatoria e dovrei essere quella che più di chiunque altro ha la possibilità di lavorare anche da precaria eppure sento questa possibilità molto lontana. Non mi sento avvantaggiata dalla mia posizione in graduatoria. Sento di avere le stesse possibilità di chiunque altro, cioè nessuna. Prima ero convinta che ci fosse sempre lavoro, perché ho sempre lavorato, pur essendo anche ventesima in graduatoria.

In quanti posti diversi hai insegnato?

Molti… In alcuni per più di un anno ad Ozieri ho lavorato due anni in una scuola, non consecutivi, e due anni in un altra anche quelli non consecutivi, a Tempio ho lavorato per tre anni non consecutivi a Pozzomaggiore per tre anni non consecutivi a Bonorva un anno solo a Valledoria per tre anni e a Castelsardo per quattro. E adesso sono a Castelsardo.

Che tipo di contratto hai adesso e quanto dura?

Il mio contratto è annuale e durerà fino al 30 di giugno ma verrà rinnovato per qualche settimana perché sono commissario d’esame, interno.

A fine agosto poi dovrebbero esserci le chiamate del provveditore e poi ci sarà un altro contratto, spero, fino a giugno. Ormai non ci sono più i contratti fino ad agosto come un tempo, io non l’ho mai avuto ma qualche mia collega agli inizi lo ha avuto.

D’estate non percepisco stipendio ma percepisco la disoccupazione, che è meno di quello che prendo a scuola ma questo mi consente di pagare l’affitto, le spese indispensabili, non mi posso scialare.. però..

Con quanto vivi e puoi concederti lussi e desideri?

Negli ultimi 5 anni sono riuscita a lavorare su cattedra di 18 ore e quindi mi potevo permettere abbastanza nel senso che potevo dedicarmi a degli hobby o andare al cinema, teatro, comprarmi delle cose per me, abbigliamento o seguire corsi in piscina, ora non è più così, quest’anno, le mie ore sono quasi dimezzate. Per me è molto difficile far quadrare i conti ma ci riesco. Ho dei risparmi da parte e quando ne ho bisogno li utilizzo. Lavorando di meno si viaggia di meno quindi riduco le spese in benzina. Vivo in casa di un’amica che non mi fa pagare l’affitto, divido con lei giusto le spese, luce condominio e quindi questo mi aiuta. Il prossimo anno se non riuscirò a lavorare tornerò da mia madre, quando sarà. Mia mamma vive nel mio paese d’origine.

Ti senti tutelata dai sindacati?

Non abbastanza. Non li capisco sono fumosi… il loro comportamento non è completamente chiaro mi sfugge il loro modo di agire, secondo me non è colpa del sindacato ma del settore che si occupa della scuola io sono scritta alla CGIL sembra che gli altri settori lavorino meglio invece ci tutela poco il settore scuola ad esempio della cgil.

Che conseguenze e difficoltà porta nella tua vita il fatto di essere precaria?

Conseguenze ce ne sono. Ma è una condizione alla quale mi sono abituata per me l’importante è lavorare, certo, avere una sede fissa sarebbe meglio perché ti da la sicurezza ma l’importante è lavorare, sapere che il lavoro c’è. Anche come ho lavorato tutti questi anni mi sta bene preferisco lavorare in questi termini perché se questa cosa la vivessi male non riuscirei a vivere serena e a lavorare serenamente, è una cosa che devi accettare, è così e pazienza. Vivo nella rassegnazione ma sempre nella speranza che le cose cambino in meglio.

Cerco di spostare questo pensiero perché tutte le volte che questa cosa l’ho vissuta con angoscia sono stata molto male, anche la nuova riforma, quando ho sentito della nuova riforma mi sono subito documentata. Ho visto come sarebbe cambiata la scuola, e come sarebbe cambiata per me, come insegnante di scienze ma anche come precaria, e la cosa l’ho presa come un incubo non riuscivo a pensare ad altro. Anche come insegnante mi toglieva molto alla mia serenità. Poi ho capito che dovevo prenderla così, tanto non potevo farci niente. Poi si vedrà e così ho ripreso ad essere serena.

La riforma sul mio essere precaria ha delle conseguenze catastrofiche perché le ore di scienze diminuiscono drasticamente. Negli istituti tecnici e professionali ed in alcuni licei. Ma aumentano al liceo scientifico, passano da 10 a 13 settimanali, ma se ne perdono molte nei tecnici. Da 14 passano a 8 di cui 4 non le possiamo insegnare noi, le possono insegnare solo i docenti di chimica. Mentre fino a quest’anno le insegnavamo anche noi.

Sono state tolte anche le ore di ecologia, 6 ore che vanno ad un altro insegnante.

Mi piace la scuola in cui insegno adesso, ma col tempo è cambiato si sono formate delle classi nuove, alunni pessimi, pessimi per inciviltà, bullismo, maleducazione eccessivi.. i nuovi iscritti, non i bocciati che si ritrovano di nuovo in classi insieme, sono cambiati i ragazzi, e anche parlando con altri colleghi, nelle scuole in cui i ragazzi si comportano tutto sommato bene si vede la differenza con questi nuove generazioni, sono diversi solo in senso negativo.

Come vedi il tuo futuro adesso?

Non lo voglio vedere, non mi piace la prospettiva quindi lo ignoro, vivo il presente.

E cosa consigli alle giovani laureande, anche della tua materia?

Di intraprendere un altro tipo di carriera, non quella dell’insegnamento perché non c’è possibilità, consiglio di provare altre facoltà… biologia non da possibilità… se sono disposte a spostarsi all’estero è meglio… alle mie alunne ho consigliato altre facoltà: infermieristica, fisioterapia io stessa ho pensato di iscrivermi per una seconda laurea in queste facoltà se le cose vanno male. Vediamo come vanno le cose.

Domenica, 51 anni, insegnante precaria.

Posted in Corpi, Fem/Activism, Iniziative, Personale/Politico, Precarietà.


3 Responses

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  1. XYZ says

    Ma infatti io un lavoro degno di questo nome non lo troverò mai. Ho anche chiesto aiuto alla Regione per i fondi dedicati alle donne, così come ai giovani ma nisba su nisba. Alla fine o ti rivolgi a un super consulente (pagandolo almeno mille e più euro), o ad una Banca (con l’aiuto di terzi, cioè chi firma una garanzia per te e siamo da capo) o hai almeno diecimila Euro per aspettare che nel frattempo decidano per il tuo progetto.
    Preciso che avrei messo tutto nelle mie mani e non avrei chiesto un soldo ad alcuno, motivo per cui in caso di fallimento sarebbe ricaduto tutto sule mie spalle, cosa che ho sempre accettato. Anche la galera, eventualmente. Ma no. Il lavoro no, manco in galera vogliono mandarmi. Anzi, no. Sotto i ponti o a fare la puttana.

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