Ecco il secondo racconto per il #vaffanculomamma liberation front [il primo potete leggerlo QUI]. Altra amica e altra autonarrazione che racchiudiamo sotto il nick name di Eretica. Buona lettura!
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Vaffanculo, mamma.
Lo so bene che la tua vita non ti ha resa felice, ma questo non può averti dato il diritto di rovinare la mia. Per questo ti dico vaffanculo. Hai scelto sempre secondo quello che altr* reputavano fosse tuo dovere fare in quanto donna, quello che ti spacciavano come tuo ‘destino naturale’. Belle merde avevi intorno, lo so bene, ma tu non hai mai neanche pensato di mettere quegli assiomi in discussione. Sei diventata moglie e madre, scegliendo tra due lavori possibili quello meno gratificante per ‘non togliere tempo alla famiglia’, proprio come tuo padre ti aveva suggerito (e rimpiangendo spesso quella scelta). Hai vissuto la tua vita con al fianco un uomo apparentemente intelligente e affascinante, in realtà affettivamente opportunista, spudoratamente infedele e profondamente maschilista, che ti faceva pesare ogni tua minima o supposta ‘mancanza’ nell’ambito del menage familiare (lui ovviamente non ha mai mosso un dito, nemmeno quando stavi davvero male!)… Persino quando, in un momento di difficoltà lavorativa, era sempre a casa a piangersi addosso, mentre le tue giornate cominciavano alle 5 del mattino e finivano a mezzanotte. Hai sempre lottato per essere la più bella, la più magra, la meglio vestita, eternamente dipendente dal giudizio altrui per riaffermare il tuo stesso valore, ai tuoi occhi sempre traballante e incerto e mai conquistato una volta per tutte. E tutte le volte che io ti spronavo a cambiare, a cercare di riconquistare quella felicità perduta, a lasciare quell’uomo da cui eri dipendente psicologicamente più che innamorata, il tuo sguardo si faceva opaco, e nelle tue parole si faceva chiaro quello che pensavi delle donne separate…delle fallite, incapaci di ‘tenersi il marito’….una donna adulta sola, anche per un breve periodo, non era per te un’opzione accettabile.
Io queste cose le so mamma, meglio di chiunque altro.
Perché sono la persona che per un tempo infinito ti è stata più vicino, cercando di colmare con il mio amore quello di tuo marito che tanto ti mancava (ovviamente non riuscendoci mai), e perché purtroppo sono la persona sulla quale hai cercato di prenderti la tua rivincita. E così come altr* ti avevano plasmato, così hai cercato tu di fare con me: e, ironia peggiore di tutte, pur avendo subito quelle ingiustizie, le hai fatte tue, e hai cercato di imporle anche alla mia vita. Mi hai nutrito delle stesse falsità e delle stesse insicurezze, giorno dopo giorno. Mi hai cercato di inculcare il culto della bellezza, del buon gusto, di tutte quelle armi che reputavi indispensabili per sentirsi accettata in quanto donna. Mi hai spinto verso studi inadatti che ho detestato, perché erano quelli che avresti voluto seguire tu, e in ogni caso perché a tuo avviso più ‘pratici’ (e meno creativi come avrei voluto io, ma dal tuo punto di vista anche meno ‘rischiosi’). Hai sempre giudicato i miei compagni, per aspetto e ceto, non risparmiandoti battute crudelissime quando non incontravano i tuoi altissimi standard. Mi hai sempre messo le briglie, e barattato le scelte della mia vita con un’elargizione di affetto al contagocce, in un’eterna compravendita di sentimenti (brava figlia=ricompensa affettiva, cattiva figlia= privazione affettiva). Hai scelto sempre tu per me, hai scelto i miei studi, bocciato i miei partner, mi hai privato di sostegno ogniqualvolta invece ne avevo un disperato bisogno, arrivando a interferire in ogni aspetto della mia esistenza, persino nella mia vita sessuale e riproduttiva. Ed è per questo che tutto l’amore che provavo per te si è lentamente ma inesorabilmente trasformato in odio. Odio, sì, e io lo dico sfacciatamente a tutt* quell* con cui ho occasione di parlare di te… pare che si tratti di un taboo, non si può dichiarare odio per chi ci ha generato, ma sarei falsa se dichiarassi altri sentimenti perciò me ne frego e lo dichiaro apertamente.
Ringrazio ogni giorno la scoperta del femminismo, e le sorelle e compagne conosciute da allora, donne meravigliose che mi hanno salvato la vita, che mi hanno mostrato che quello che sognavo poteva essere realtà. Ringrazio anche i miei compagni di vita, che mi hanno sostenuto in un percorso non facile di riscoperta di me stessa, e che mi sono stati accanto senza pretendere mai nulla di più di ciò che sono, pregi e difetti compresi. Ricordo ancora quando ti dissi della mia scoperta femminista, la tua reazione inorridita ‘oddio, femminista no, mica diventerai come quelle là che restano zitelle a vita, gli uomini detestano le femministe!’ Sai mamma, forse certi uomini sì, esattamente quelli che rifuggo come la peste e che mai vorrei al mio fianco.
Cara mamma, mi dispiace davvero per te, e sono sincera: se un po’ mi conosci, dovresti saperlo.
Ma per tutto quello che mi hai fatto e per quello che avresti potuto farmi ancora se non avessi smesso di permettertelo, meriti solo una parola: vaffanculo.
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Non per fare le pulci alle parole e alle persone che le scrivono, ma io prima leggo “Riguardo il tabù di sfanculare i genitori, trovo sia un tabù sdoganato da tanto tempo” e poi, sempre dalla stessa persona: “E non vedo perché se leggere vaffanculo mamma mi ha infastidito sono come..”ecc.
Io continuo a pensare, avendone altri numerosi esempi che esulano da questa sede, che il fastidio provato al vaffanculo mamma sia dovuto proprio alle persistenza di un tabu. E credo anche che post come questo di eretica, al di là di ogni personalismo, abbiano il merito proprio di andare a battere dove il dente duole, così almeno possiamo accorgerci che forse c’è una carie, se non addirittura che il dente è da devitalizzare. Non mi fido troppo della capacità dei terapeuti. Sono stata in analisi tanto tempo, ne ho cambiati diversi e l’ultimo era proprio uno junghiano. Ho mandato affanculo pure lui, senza nemmeno troppi giri di parole, proprio quando ho cominciato a maturare una coscienza femminista.
Chiara, diventa complicato discutere con te se prima dici che non giudichi e poi giudichi, poi dici che non proietti ma proietti e poi addirittura dici che “Il “mantra della mammasantissima” è ripetuto ossessivamente da quelle rubriche in rete che se la prendono con le donne, e ritrovarlo qui, come per giustificarsi “non è vero, non siamo così, ce la prendiamo anche con le donne, guardate!”, beh mi ha fatto la sgradevole impressione di una captatio benevolentiae, un modo per dimostrare che noi donne sappiamo fare autocritica.”
Se è questo che pensi, se pensi che fare autocritica, come la chiami tu, o semplicemente critica ad un modello culturale che tutto comprende, donne incluse, sia fare captatio benevolentiae, allora c’è molto poco da dire. hai già deciso. Noi di madri e di donne che fanno male ad altre donne o perfino a uomini non possiamo parlare perché il nostro destino è di vittime, sempre vittime, tutte dalla parte delle vittime anche quando ci producono un grande giramento di ovaie e ci distruggono la vita.
Parlare di donne, di noi, in senso autocritico è una via di salvezza. per noi, chiara, innanzitutto per noi, perché noi non vogliamo restare intrappolate né nel ruolo delle martiri né in quello degli uteri orgogliosi di essere tali, intoccabili, costrette in quei ruoli, a compiacersi di sacrifici e ferite, intrise di vittimismo fino al midollo, eternamente lamentose e a chiedere tutele.
quel tipo di donna produce un danno a noi e non c’è da captare alcuna benevolenza ma da liberarci noi di quel modello che ancora ci consuma e ci tiene intrappolate.
se il modello di welfare ancora oggi usa le donne come ammortizzatrici sociali ci sarà pure un motivo.
e infine ti prego: le aguzzine sono kapò?
quelle che sbagliano e decidono malamente sono kapò? fornero come la classifichi? una schiava del patriarcato? davvero?
e una donna che massacra una figlia che roba è?
e quel padre che è miserevolmente violento allora non è pure lui figlio di un sistema? o tutti vittime o nessuno è vittima e ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità. e non puoi paragonare l’analisi che facciamo noi alle rubriche misogine perché è veramente offensivo che tu lo dica e che lo pensi.
e in quanto alle vittime sono le persone che non possono scegliere e che non sanno difendersi.
gli uomini di cui parli che dirigono e tracciano una linea di dominio sociale io non so dove stiano. c’è una cultura patriarcale generalizzata e a metterla in pratica sono padri, madri, uomini, donne.
io vedo poveri individui, disgraziati, pieni di problemi con donne altrettanti piene di problemi, i dominatori sono altri.
non è possibile stabilire che vi siano esseri umani tutti cattivi e esseri umani tutti buoni.
individuare tutto il male da una parte e il bene dall’altra è il motivo per cui nascono i razzismi o i sessismi, è sessismo all’incontrario.
ma in generale qui, per l’appunto, ti si sta dicendo che questa donna, che ti ha pure risposto, ha sfanculato madre e padre per la sua salvezza. ed è tutto qui.
ps: il campo di concentramento è quello che ti obbliga alla produzione e alla riproduzione. siamo tutti schiavi e i potenti non hanno un solo sesso. serve capire che chi ci domina, economicamente parlando, non ha sesso.
Mi sembra che proiettare siate proprio voi, noi io. Ho solo espresso il mio personale parere, nulla più, e se è diverso dal vostro non vuol dire che proietto o giudico, semplicemente ho una mia idea, tutta mia, non allineata.
E non vedo perché se leggere vaffanculo mamma mi ha infastidito sono come uno di quei maschilisti con cui non si può discutere. Discuto, mi pare, porto la mia esperienza, una esperienza che per me è stata positiva e che magari potrebbe esserlo per altri.
Io mi sono messa in discussione, sono andata da un bravo terapista, e invece di continuare a sfanculare mia madre ho cercato di rafforzare me, e questo mi ha fatto sentire più adulta di quando mi limitavo a covare rancore. Ha fatto sentire più adulta me. Parecchie delle mie cicatrici non dolgono più. E’ la mia esperienza, e condividerla non implica il costringervi ad accettarla come esemplare.
Il “mantra della mammasantissima” è ripetuto ossessivamente da quelle rubriche in rete che se la prendono con le donne, e ritrovarlo qui, come per giustificarsi “non è vero, non siamo così, ce la prendiamo anche con le donne, guardate!”, beh mi ha fatto la sgradevole impressione di una captatio benevolentiae, un modo per dimostrare che noi donne sappiamo fare autocritica.
Io sono un individuo, e vedo la vita dal mio punto di vista: come potrei vederlo dal di fuori? Non pretendo di essere oggettiva, anzi. Io credo che solo vedendo le cose da diverse angolazioni si possa creare un quadro complessivo. Ognuno offre il suo personale punto di vista, frutto delle proprie personali esperienze.
E per rispondere a fasse: “censurare i vaffanculo alle madri descrivendole tutte come vittime non può funzionare. Perché se la metti su quel piano sono vittime anche i padri. Vittime di genitori altrettanto oppressivi, di destini complicati e vittime di una società che ha loro insegnato ad essere quello che sono. O sono tutti vittime o nessuno è vittima ed è responsabile delle proprie azioni.” Intanto io non censuro niente, esprimo solo liberamente il mio parere. E dò le mie motivazioni. Civilmente.
Questo è un mondo di uomini, creato su misura per loro: sono la classe sociale dominante. Costretti a nascere nella sezione favoriti, sempre costretti sono, ma certo sono anche favoriti. In una posizione migliore per cambiare, eventualmente, le cose. Ma chi, detentore di tanti e tali privilegi, sceglierebbe di condividerli in virtù di un concetto tanto astratto come “la libertà di autodeterminrsi”?
“Creare i sensi di colpa nei confronti dei figli che si liberano di figure genitoriali oppressive è molto cristianamente in linea con la cultura patriarcale pronta a difendere sempre e comunque la sacralità della famiglia”.
Liberarsi di figure genitoriali oppressive significa crescere, ed è giusto farlo. Ma che c’entra con il vedere il sistema da un diverso punto di vista?
Quando i tedeschi crearono i campi di concentramento, stabilirono che il kapo dovesse essere un detenuto che per godere di determinati privilegi doveva mantenere un comportamento brutale nei confronti dei detenuti semplici. Questa è la cultura patriarcale, come la vedo io. La famiglia patriarcale è il sistema campo, la madre il kapo, i figli i detenuti. Chi ha creato il sistema?
Poteva rifiutarsi, il kapo, certo, ma con quali conseguenze? C’è chi è più coraggioso, chi meno. Ci sono stati i detenuti di Sobibor, che si sono organizzati e sono riusciti a fuggire, e ci sono stati i tentativi di rivolta soffocati nel sangue, c’è chi ha subito e chi ha inflitto sofferenze.
Io mi schiero contro il capo di concentramento come sistema, prima di andare ad analizzare le personalità dei singoli internati. Quando saranno liberi, allora si potrà giudicarli per ciò che sono veramente.
@ chiara: Mi chiedi perché non dico vaffanculo papà? Per il semplice motivo che mio padre è stato uno stronzo assenteista, ma non mi ha mai distrutto moralmente, psicologicamente e quasi fisicamente come ha fatto mia madre (ma non preoccuparti, ho fatto i conti anche con lui e lo ho ripagato, da adulta, con la stessa moneta di indifferenza che lui mi ha rifilato per decenni). Sbagli ad immedesimarti in una storia non tua. E sbagli a generalizzare: io non ho mandato affanculo tutte le madri, ma solo la mia. E se permetti, credo di avere qualche elemento in più di valutazione. Se la mando affanculo, pur riconoscendone fragilità e sacrifici, ho i miei motivi. Nessuno meglio di me conosce le pieghe più oscure del vittimismo dispotico, e nessuno più di me ha cercato di aiutare una persona che, in definitiva, non aveva nessuna intenzione di cambiare una virgola di sé e delle proprie dinamiche. Io ci ho quasi rimesso la mia vita, ed oggi, a quasi 40 anni, sono una persona indurita dalle esperienze, all’apparenza forte (o ruvida se vuoi) ma con cicatrici terrificanti che ancora mi provocano dolori strazianti. E la maggior parte di quelle cicatrici me le ha inferte mia madre la quale, anche messa di fronte ai terribili sbagli commessi, ha alzato spallucce e si è dimostrata solo ‘infastidita’ nell’essere smascherata e messa di fronte ai propri errori… mentre io ho lottato per anni per ritrovare un equilibrio sempre precario. Insomma, io per salvare lei sono quasi affogata… Ora che l’ho capito, e ho imparato a stare a galla, non ho alcun interesse né sento alcuna necessità di perdonare. Io vado avanti, ho i cocci di una vita da rimettere insieme, e lei andasse da un bravo terapista invece di riempire di veleno le vite altrui. L’unica a cui ancora devo perdonare ancora qualcosa è a me stessa, e cioè di aver abdicato a così tanto di me per una donna in definitiva incapace di amarmi veramente.
Chiara io credo che non ci capiamo e per certi versi si incorre nello stesso equivoco in qui si incorre con taluni antifemministi con i quali davvero non si può parlare. Tu parli di un uomo che fa violenza e quello ti dice che le donne fanno schifo. Ora tu leggi di una mamma alla quale viene detto un vaffanculo e senti la necessità di dire che i padri lo meritano. Di più? Di meno? Comunque stai parlando di te e del tuo vissuto e continui a dire che tu sei adulta e chi invece sfancula una madre non lo è. E non capisco come tu possa misurare l’adultità o l’adultezza (o boh) di una persona a seconda di come si comporta quando guardi alle esperienze altrui con il tuo metro e il tuo vissuto.
E’ te che stai guardando e non accetti l’altra, lei, quella che qui si esprime, non la stai ascoltando e le stai catapultando addosso una serie infinita di letture proiettive per cui addirittura immagini sia più plausibile arrivare ad una conciliazione.
Se lei vuole riconciliarsi è affar suo ma se non lo vuole nessuno deve dirle nulla. E’ necessario riconciliarsi con le madri o con i padri quando sono deleteri per te? A te serve sapere questo?
Rasserena, lo ammetto, e in certe circostanze è plausibile, ma questo banalizza le necessità di chi deve pur essere libero di non avere qualcun@ attorno che ti marca stretta in virtù della sua pretesa genitorialità.
Sei madre perché ti scelgo e sei figlia perché ti scelgo e non per dovere sociale.
Può accadere che una madre sia deleteria, sempre, per una figlia? Può accadere che una figlia stia meglio senza una madre?
Deve per forza conciliarsi? deve farlo perché secondo te questo significa essere adulti?
per me essere adulti vuol dire anche essere in grado di rompere un cordone ombelicale senza strascichi. un cordone fatto di dipendenze economiche ed emotive. e quando lo rompi e vedi l’altra per davvero come persona allora la scegli o puoi anche non farlo. la scegli perchè ti piace e non per dovere sociale. la scegli perchè la ami e perchè ti senti riamata e non per un uso reciproco pieno di egoismi e di ipocrisie.
A ciascuno la sua storia. quelle diverse dalla tua non sono minori e le persone che hanno soluzioni differenti non sono meno adulte di te. sono altro da te. accettalo.
e per inciso il perdono è materia poco laica e molto cattolica.
un abbraccio
Il tabù che io ho sconfitto è che i genitori “devono” essere due: la mamma e il papà. E che genitore lo si è per diritto divino, perché si è generato, a prescindere da come ci si comporta come genitore. E ho imparato, frequentando i gruppi di autocoscienza per donne vittime di violenza domestica, che è il tabù più forte per molte e molte donne, quello che recita: è sempre il papà. Mi picchia, mi umilia, mi toglie il bancomat, mi tradisce, mi sfrutta, ma comunque è un padre, e può essere un buon padre, e non posso togliere il padre ai miei figli. Ma essere padre, o essere madre che significa? Una brutta persona può essere un bravo padre? Io posso essere genitore da solo, posso bastare a mio figlio? E soprattutto§: posso dirgli che suo padre è uno stronzo? Beh, si posso. E lo faccio. E fanculo ai genitori che devono essere due.
Io non sono “nata” madre, io lo sono diventata, è stato un processo, ha necessitato, impegno, studio, autoanalisi, fatica… è un compito che mi sono conquistata, è un traguardo che sto ancora raggiungendo, e forse non raggiungerò mai.
Quando dico che certe donne sono prigioniere, lo dico perché è vero. Perché se dopo aver cacciato dalla porta certi uomini la legge te li fa rientrare dalla finestra con la scusa che sono padri, allora tanto vale che non sprechi neanche il tempo e la fatica di buttarli fuori.
Certo, sono storie estreme, e grazie al cielo non corrispondono alla grande maggioranza delle famiglie. E mi rendo conto che averle vissute, e averle condivise, a volte mi fa perdere il contatto con le realtà “normali”.
Riguardo il tabù di sfanculare i genitori, trovo sia un tabù sdoganato da tanto tempo, da quando Jung descrisse il mito del figlio che divora il padre come fase necessaria di crescita. E’ una fase… poi si va avanti.
Il mito del genitore biologico, invece è sempre lì, e sminuisce, per esempio, tutti quelli che biologicamente non sono genitori ma accolgono con amore creature che non hanno generato, e sminuisce il “diventare genitore di se stessi” che è la tappa successiva al vaffanculo.
Io non sento più il bisogno di sfanculare mia madre perché adesso sono adulta, e lei non è più mia madre, è un’altra donna, un essere indipendente, “altro” da me, dal quale mi sono emancipata. Tutte quelle colpe che le vedevo addosso erano ingigantite dal mio bisogno di attaccarmi alla mamma come un bambino in cerca di conferme.
Mia mamma è diversa da me, io non ci rispecchio, lei mi critica, io la critico, ma non mi ferisce più, perché non ho bisogno delle sue coccole o della sua approvazione.
A volte vediamo la vita deformata dai nostri bisogni, e il bisogno di avere il genitore che vorremmo è fortissimo, anche se il genitore perfetto è poco realistico.
Volevo solo dire che va bene il vaffanculo, ma, dopo, è bella anche la riconciliazione. Che, ovviamente, deve essere voluta da entrambi: il perdono vuole braccia tese ad accoglierlo, e perdoniamo quando ci rendiamo conto che nessuno, davvero nessuno è perfetto e che quello che va veramente valutato è l’impegno, la volontà di fare del proprio meglio.
La sfanculata è liberatoria, è un momento catartico, breve, intenso, che non ammazza nessun*. Fa bene darla, ma anche riceverla, ché spesso un dito medio che ci ritroviamo alzato in faccia ci spinge a riflettere più di mille parole. Piuttosto, sarebbe interessante esplorare perché e quando il fatto di mandare o essere mandat* a fare in culo genera dolore e sofferenza oltre una soglia sopportabile di dolore. Non mi riferisco in particolare a Chiara, che non è la sola ad avvertire una sorta di disturbo al vaffanculo mamma e che comunque è una riprova dell’esistenza (e dell’efficacia) di quel tabù di cui parla anche Dionisia, della quale raccolgo l’interesse a conoscere i vari percorsi verso il femminismo. Sembra un volo pindarico, ma a mio avviso non lo è.
Tempo fa mi colpì molto un libro in cui Alice Miller sosteneva quanto importante fosse, detto in sintesi, sfanculare i genitori e, soprattutto, autorizzarsi a farlo. Dai dieci comandamenti a tutta la cultura cristiana penetrata nei nostri costumi, nella nostra morale e quindi nei nostri tabù, l’insegnamento è sempre stato quello di santificare i genitori, di rispettarli a prescindere, anche se ci fanno del male. Questo tabù, dice Miller, si deposita nell’inconscio ed è destinato, come dire, a perseguitarci anche da adulti. Per l’autrice bisogna sentirsi liberi di sfancularli per liberarsi – tentare di farlo – di quei tentacoli che i dieci comandamenti e tutto il loro corredo culturale impediscono di rimuovere, in virtù dell’onora il padre e la madre.
Io comprendo quello che dice CHiara, e confesso che un po’ ho pensato le stesse cose: per le donne complici del sistema che le opprime non riesco a non provare empatia, a differenza che per gli uomini. Sarà che nella mia vita ne ho incontrate tante, frustrate e infelici, e ogni volta ho potuto appurare che non avevano un appiglio forte per cambiare strada: non avevano, nel loro quotidiano, un’alternativa. Inoltre, anche io provo le loro stesse paure e le comprendo: sono paure da cui non è facile uscire se non attraverso un percorso spesso lungo e difficile di autocoscienza. Al femminismo è stata fatta un sacco di cattiva pubblicità e oggi le donne continuano a pagarne lo scotto.
Tuttavia, penso anche che bisogna uscire dalla logica della deresponsabilizzazione, per quanto spesso oggettivamente complicato, per cominciare a spezzare con decisione quella spirale che soffoca tantissime donne e uomini. AUtorizzarsi a dire fanculo può essere un modo, innanzitutto per se stesse, per tracciare un confine tra un prima e un dopo della propria vita, dove il dopo è più libero e cosciente: un dopo che sa distinguere e riconoscere ciò che opprime e lo espelle con decisione.
Mi piacerebbe che parlassimo – ma già lo si fa, direi più nello specifico – del percorso di ciascuna di noi con il femminismo. Come e quando lo abbiamo conosciuto, cosa ha cambiato in noi, cosa ci ha dato e cosa ci ha fatto sfanculare. Sarebbe un percorso di autocoscienza plurale molto interessante, e ci porterebbe a interrogarci sulle donne che non lo conoscono e non ne sono interessate, su cui io mi faccio molte domande. Tendo a pensare che le persone hanno bisogno di punti di riferimento certi, e il sistema patriarcale, per quanto odiosi e oppressivi, te li dà: la sicurezza prende il sopravvento sulla libertà – con questo tento di accennare al vissuto delle donne che accettano la subordinazione a un sistema che le opprime.
Una madre può essere negativa per la propria figlia non solo se non le riconosce il diritto a viversi l’omosessualità. Lo è anche se non le riconosce il diritto a viversi a prescindere dal proprio orientamento sessuale. Questo è accaduto evidentemente alla persona che scrive questa storia ed è impietosa perché è una analisi lucida e lucidamente condivisa.
Non è una storia per le madri. E’ una storia per le figlie. O lo è per le madri che hanno bisogno di qualcosa di più di una parola tenera. Forse di uno scossone. Forse di un vaffanculo come quello che io ho destinato a mia madre e che le ha permesso di essere un po’ più libera.
Il tuo percorso non è messo in discussione ma non fare l’errore di risultare empatica con chi, come dici tu, non è riuscita a liberarsi immaginando che fosse schiava e vittima e ancora schiava, lei, di una situazione involontaria.
Le donne scelgono e scelgono a volte anche di intrappolare le figlie e i figli nei propri percorsi sbagliati. E con questo nessuno dice che si meritino ciò che hanno. Nessuno merita nulla di cattivo. Bisogna ampliare la prospettiva e vedere il quadro nel suo insieme.
Una donna non merita di vivere in una trappola fatta di una rete che lei stessa insiste morbosamente nel tessere volendo impigliarvi dentro chiunque le stia attorno, un uomo non merita di vivere in una situazione familiare in cui non può sganciarsi da convenzioni sociali, e una figlia non può viversi le conseguenze di tutto questo e certamente non può essere lo sguardo della figlia quello tenero e genitoriale nei confronti dell’adulta.
La figlia deve fare la figlia e l’adulta si assume la responsabilità delle proprie azioni. Questo ti schiaccia? Non puoi aspettare che la figlia che tenta prima di liberarti e poi capisce che deve liberare se stessa pena la sua stessa morte ti tenda la mano o attenda che tu muoia prima di prendersi licenza di sfanculamento.
Le figlie devono vivere, le dobbiamo liberare. E con le figlie si liberano le madri, in un pianto che arriva dopo uno sguardo così impietoso se vuoi ma che segna un punto di arrivo e di partenza. Devi andare avanti, è la tua vita, tua di te, quindi vivila e assumitene le conseguenze e le responsabilità. Lotta, non aspettarti tutele, coccole paternalistiche, non aspettarti nulla che non arrivi da te stessa. Autodeterminati. Con amore.
Non generalizziamo, io non ho commentato tutte le storie, ho commentato questa perché l’ho trovata particolarmente impietosa. Ed io per prima ho scritto che le vittime degli stereotipi sono sia le donne che gli uomini.
L’articolo precedente, che ho pure letto, criticava duramente una madre che non ha saputo accettare la figlia perché omosessuale, e lì un bel vaffanculo ci sta tutto, perché un genitore (madre o padre) che vive il proprio figlio solo come proiezione di sé, non riuscendo mai a fare quel passo che ti permette di vederlo come individuo separato unico e irripetibile, ha fallito nella sua maturazione di genitore e va scosso, anche brutalmente, dal suo leonino egocentrismo.
Ma io non mi sento di condannare quelle donne che non riescono a liberarsi da una spirale che le conduce a condannare altre donne, seppure figlie, ad un ruolo costruito dalla storia, dalla società, non dai singoli individui. Perché la società è un organismo, che prescinde dalle singole persone che la compongono.
Liberarsi da certe catene, e lo so per esperienza personale, è difficilissimo e lacerante, e non tutti hanno forza a sufficienza per dire basta ed affrontarne giorno dopo giorno le conseguenza. Io mi sento profondamente empatica verso le persone che hanno paura, forse perché sono terribilmente paurosa, e so quanto certe irrazionali emozini possano essere potenti, pure di fronte ai più logici ragionamenti.
Ci sono bravi padri, io ne conosco e li stimo.
Mi schiero con le madri perché io ho trovato il coraggio di dire “basta”, di liberare mio figlio da una famiglia che non era una famiglia, ma una trappola, uno stereotipo, una finzione a beneficio della società, solo dopo aver letto un libricino comprato per caso al supermercato: si intitolava “Le madri non sbagliano mai”, di Giovanni Bollea. Il titolo è provocatorio, ovviamente! Ma era quello che mi serviva.
Quel libro mi ha restituito la dignità che avevo perso strada facendo, mi ha restituito l’orgoglio di essere un tutt’uno con me stessa, donna, madre, persona, corpo, mente e sensazioni, mi ha ridato la forza di sentirmi, di ascoltarmi a diversi livelli, e paradossalemte è riuscito, ad un livello puramente emozionale, a fare quello che con la sola razionalità non ero riuscita.
Il ruolo di madre ti intrappola, sei lì, con questo fagotto in braccio che devi proteggere, fisicamente e mentalmente “hai le mani occupate”, sei distratto, stanco e meno lucido, e questa è un’arma terribile nelle mani di chi, come è accaduto a me, scopre che improvvisamente sei inerme. E attacca.
Leggere, con tutta le tenerezza di cui Giovanni Bollea è stato capace di scrivere, che lui mi capiva, che comprendeva quel mio essere accoccolata come un’orsa nella tana ad ascoltare la tempesta infuriare tutto intorno, che sapeva delle mie paure, e del buono che comunque covava ben nascosto dentro di me, mi ha dato quella forza di alzarmi e gridare che non avevo bisogno di “quel” padre, che mi sarei bastata e sarei bastata, che avrei potuto e saputo dare battaglia, contro tutto e tutti.
Oggi sono felicemente una madre single, e so che non mi accoccolerò mai più in nessun nido tempestoso. E guardo con dolore tutte quelle mie compagne di viaggio che invece sono rimaste indietro, ancora lì, e forse non si alzeranno mai, e non mi riesce di condannarle. Forse nessuno ha detto mai loro, con delle parole capaci di sfondare il muro della paura, che sono più forti di quello che credono, che sono più belle di come si vedono, dentro e fuori, che si meritano molto di più.
Perché io credo fortemente che chi rimane è convinto di meritarsi ciò che ha. Io ne ero convinta. E mandandole affanculo non facciamo altro che confermare e confermare questa convinzione: sei lì perché sei debole, sei lì perché te lo meriti…
Ma questa è solo una prospettiva, è la mia prospattiva, che dipende dal mio personale vissuto. Non è certo una teoria che si può applicare a chiunque!
Come il mio commento si applicava solo a questo articolo, non a tutti…
Chiara,
censurare i vaffanculo alle madri descrivendole tutte come vittime non può funzionare. Perché se la metti su quel piano sono vittime anche i padri. Vittime di genitori altrettanto oppressivi, di destini complicati e vittime di una società che ha loro insegnato ad essere quello che sono. O sono tutti vittime o nessuno è vittima ed è responsabile delle proprie azioni.
Suscitare i sensi di colpa nei confronti dei figli che si liberano di figure genitoriali oppressive è molto cristianamente in linea con la cultura patriarcale pronta a difendere sempre e comunque la sacralità della famiglia ma questa “rubrica” non vuole essere giustificativa di alcunché e non è neppure il lavatoio delle bizze adolescenziali per cui si possa ridurre tutto ad un “io ho superato l’odio etc etc” perché a scrivere sono persone adulte e non quindicenni e chi scrive è anche consapevole del fatto che vittime o meno, viste per quello che sono o meno, come persone, con i loro difetti e pregi, proprio per questo, i genitori, per evitare che ti facciano ancora del male, perché te ne continueranno a fare fino alla morte se glielo permetti, devi vederli per ciò che sono.
Persone, appunto, e non icone di una letteratura che magnifica il ruolo delle madri fino ad esaltarne gli eroismi, blandendo le paternità sempre e comunque anche se i padri, vilipesi, perché assenti, giudicati malissimo, non sono evidentemente tutti responsabili delle azioni di donne che non si liberano e intrappolano le figlie con se’.
Anche i padri si svegliano all’alba e vanno a letto a mezzanotte. Stanno a casa il giusto perché lavorano, quando ci stanno qualche volta vengono trattati come fossero delle entità estranee, che portano soldi e che ricevono un saluto tenero dai figlioli oculatamente addestrati dalla madre alla reverenza nei confronti del genitore. Una specie di atto di rispetto per l’assente.
O qualche volta è la madre ad essere assente e comunque con questa eterna santificazione delle madri, strette in ruoli sacrificali, ché nessuno ti dice di restare con uomini così e nessuno ti dice neppure di alzarti all’alba e andare a dormire a mezzanotte, non ci si fa un gran bene.
Le madri non sono esenti da giudizi e responsabilità e se non amano fare quello che fanno devono dirlo e liberare i figli dall’oppressivo senso di colpa che trascina tutti quanti.
Trarre forza dal vittimismo non giova mai. Alle madri e alle figlie. E tu sai bene che certe tirannie vengono imposte giusto a partire dai vittimismi.
Una volta, giuro, anch’io, tanto tempo fa, mandai ‘affanculo mia madre. E lei mi disse “ma chi me lo fa fare a sacrificarmi se poi questo è il ringraziamento”. Risposi che nessuno le aveva chiesto niente. Che quello che lei faceva era per se stessa, sua pigrizia mentale, sue difficoltà ma che io non dovevo restare intrappolata assieme a lei. Non ci crederai ma lei si sentì libera, di essere una madre un po’ più “egoista”, in modo sano, e io fui sgravata del senso di colpa e ne trassi spunto per formare una maggiore autonomia. Dopodiché questo non è un addio. Quando mia madre ha bisogno di me io ci sono. Quando avrà bisogno di me io ci sarò. Dopo che ci saremo parlate da donne che devono essere libere di sfancularsi e non altrimenti.
E tante potrei dirne ancora ma no, per favore, si deve rispetto al vissuto di tutte le storie. Proprio tutte. Anche quelle il cui racconto ti fa male.
E perché non fanculo papà? Non voglio peccare di campanilismo, ma il fedifrago menefreghista esattamente quale ruolo genitoriale ha ricoperto? Evidentemente è riuscito a distruggere per bene nei figli il rispetto per questa donna che si alzava la mattina all’alba e andava a dormire a mezzanotte… Certo non per smaltarsi le unghie.
Io ho superato l’odio per mia madre, e adesso le voglio bene. E’ una donna, debole per certi versi, forte in tanti altri aspetti della vita, con i difetti e i pregi che hanno tutti, maschi e femmine, madri e padri, vittime di stereotipi (ti devi sposare, cosa farai da sola?) come lo sono state le donne – ma anche gli uomini – per secoli e secoli…
Si vive un’adolescenza per distruggere le figure genitoriali ed elaborare valori personali, e nella vita adulta si perdonano gli esseri umani per ciò che sono, per come hanno vissuto la loro vita. E si vive la propria.
Non nascondo che, in quanto madre, questa rubrica mi fa male.
Sono cose che si pensano, che tutti pensiamo, che mio figlio penserà al 100%, ma leggerlo così, da madre che si alza ogni mattina e aspetta la mezzanotte per avere due minuti per navigare in santa pace, che sicuramente commetterà degli errori ma che ama profondamente il proprio figlio tanto da dargli consigli che potrebbero, alla luce della sua visione del mondo futura, rivelarsi totalmente sbagliati, beh, lo confesso, mi fa paura.
Oggi sto bene con mia madre, anche se non mi piacciono le sue scelte, anche se non approvo il suo modo di gestire le cose, anche se ci tiene ad essere magra, ancora oggi, e mi critica per la camicia che abbino alla gonna.
Perché è mia madre, perché ho scoperto che mi ama davvero, perché ho imparato a riconoscere ed intenerirmi del suo modo balordo di dimostrarmelo, perché finalmente sono uscita da una lunga e sofferta adolescenza, e non ho più bisogno di odiare chi è vittima quanto me di un sistema vetusto di regole non scritte per cercare, ogni giorno, di reinventarmi come una donna nuova.
Se oggi sono diversa da lei, è anche a lei che lo devo.
Volevo solo scrivere che io amo mia madre, anche se la sua vita l’ha resa infelice, e forse ha reso infelice anche la mia, per un po’. Adesso viviamo bellissimi momenti, insieme, e siamo entrambe felici ci esserci ritrovate.
Un’altra storia.