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We want sex (equality) – il film

We want sex (equality) è un film che parla dello sciopero del 1968 di 187 operaie alle macchine da cucire della Ford di Dagenham. Rita O’Grady guidò le donne in una protesta contro la discriminazione sessuale. Rivendicarono la stessa retribuzione dei loro equivalenti al maschile a partire dal momento in cui furono perfino declassate a operaie non qualificate. Il loro sciopero segnò una fase rivoluzionaria. Si imposero ai sindacati, tutti retti al maschile, assolutamente miopi su qualunque cosa riguardasse la discriminazione di genere, attirarono l’attenzione di tante persone, ottennero la solidarietà delle donne che nel silenzio delle loro case sapevano bene quanto fosse umiliante essere ridotte a mero accessorio decorativo/domestico e grazie all’appoggio della deputata Barbara Castle riuscirono due anni dopo a ottenere l’Equal pay act [1].

Non si può non ricordare che l’Italia è al 74° posto tra gli stati per il gender gap che include anche la differenza salariale tra uomini e donne a parità di livello di competenza e qualifiche.

Il film è comunque una descrizione quanto mai attuale di qualunque genere di organizzazione di welfare in cui ad ogni rivendicazione delle donne corrisponde un ricatto che dobbiamo subire nella società, nel mercato del lavoro, in casa. Per le lotte contro la discriminazione abbiamo ben pochi sostenitori, incluso i sindacati che comunque si accordano con i governi per pacchetti che organizzano il welfare, come il pessimo piano descritto nel libro bianco del ministro Sacconi, in modo che le donne vengano costrette ai ruoli di cura, in casa, e gli uomini ai ruoli produttivi nel mondo del lavoro.

Così era anche in quel periodo, in cui l’industria aveva bisogno delle braccia delle donne purchè le donne si accontentassero di una paga inferiore. Se le donne chiedevano la stessa paga degli uomini l’azienda, come tante aziende fanno adesso, minacciava di delocalizzare la produzione in altri paesi in cui il costo del lavoro era inferiore.

Per ogni rivendicazione per l’uguaglianza le donne venivano messe di fronte al ricatto e alla divisione tra i generi agita ad arte da sfruttatori che rintuzzavano gli uomini dicendo loro che le donne volevano togliergli lavoro e soldi.

Le donne che nella società si impegnavano nella lotta per la parità non venivano naturalmente risparmiate sul piano dei ricatti in famiglia. Uomini che si sentivano defraudati di un ruolo secolare del quale sarebbero stati investiti chissà da chi, uomini che si rifiutavano di essere complici delle loro compagne che lottavano affinchè la loro vita non dovesse essere fatta di concessioni, di diritti che venivano scambiati per privilegi. Del più grande sistema clientelare gestito in modo unanime da un genere, quello maschile, a danno di ogni altro genere, rispetto al quale l’unica forma di rapporto era sempre stata di tipo assistenziale e clientelare.

Non so in inghilterra e nei sistemi produttivi di altre nazioni ma in italia sicuramente nulla è cambiato e c’è poco da opporsi a questa valutazione se si pensa agli ultimi provvedimenti che rimandano a casa migliaia di insegnanti, di donne impiegate in lavori di ricerca, di donne precarie che vengono mantenute in stato di precarietà grazie alla balla che dice che ci starebbero facendo un favore. Tanti piani, ugualmente condivisi anche dal centro sinistra e dai sindacati, che tuttora parlano di “conciliazione” tra lavoro e ruoli di cura in famiglia, unici ruoli ai quali le donne vengono rinviate.

Le battute del premier, lo stesso che invitava le giovani precarie a trovarsi un buon partito per sistemarsi, sono lo specchio di questo tempo, esattamente come il piano Sacconi che invita le donne ad avere cura della famiglia, unico ammortizzatore sociale. Le donne costrette alla riproduzione o comunque a immaginarsi parte produttiva di un paese solo al momento di un parto. Le donne disoccupate e precarie costrette a tornare in famiglia, dai genitori, umiliate mentre sono considerate nè più e nè meno che palliativi sociali e sono costrette a restare con uomini con i quali non vanno d’accordo, dai quali subiscono violenza (sono #52 le vittime di violenza maschile nel 2011), prive di ogni forma di autonomia, private della possibilità di costruire qualunque genere di prospettiva ora che anche la scuola è diventata un campo di battaglia in cui sarà “normale” scegliere su quali persone, di quale genere, investire in famiglia per la continuazione degli studi.

Il film ci racconta di un passato che per noi ritorna sotto forma di deregulation, federalismo fiscale, libertà per le imprese di fare quello che hanno fatto a mirafiori e pomigliano. Libertà di delocalizzare in Serbia e lasciare a casa le donne della Omsa. Donne che nella loro lotta avrebbero dovuto imbarazzare il governo, indurlo a produrre un provvedimento capace di schierarsi con la parte debole invece che con i più forti. Invece quelle donne sono state mortificate, sbeffeggiate, ignorate dai ministri mentre le ascoltavano in tivù. Qualcuno è stato perfino in grado di dire a loro che dovevano adeguarsi. Che c’è crisi e dunque dovevano smetterla di piagnucolare. Qualcun altro in modo più subdolo e viscido faceva servizi televisivi per elevare al rango di eroina quella che tra le licenziate era stata in grado di trovare un lavoro da badante, come dire che queste donne tanto schizzinose in realtà perdono tempo nella richiesta della garanzia dei loro diritti mentre dimostrerebbero di essere delle personcine che vogliono tutto facile.

E se vengono licenziate quelle donne che pure avevano un contratto a tempo indeterminato, forse le ultime della storia di questo paese, figuriamoci cosa capita a tutte le precarie (specie se immigrat* e mantenut* in condizioni di schiavitù e ricatto sociale a causa di provvediementi razzisti) che assieme ai precari, costruiscono una dimensione della rivendicazione e della lotta basata sulla solidarietà tra i generi, che dà per scontato il fatto che donne e uomini debbano essere trattati esattamente allo stesso modo e che la divisione tra i generi – come quella tra le etnie – serve a chi la invoca e la esercita per schiavizzare soggetti e mettere in pratica vecchie e nuove forme di autoritarismo. Precarie come “Malafemmina” che nel suo blog racconta le sue giornate precarie, giornate che potrebbero essere quelle di qualunque altra persona che vive come lei. Precarie come le sorelle del laboratorio Sguardi Sui Generis di Torino mentre raccontano la loro precarietà. Precarie come noi.

Dai precari riuniti negli Stati Generali della precarietà a Roma è venuta fuori la voglia di uno sciopero precario definito in un comunicato che condivido alla fine di questa recensione/nonrecensione. Perchè in realtà parlarvi di questo film è un pretesto. Perchè un film come questo aiuta la voglia di recuperare la dimensione del dibattito in cui si condividono le cose che un film, un libro, un pezzo di produzione culturale, suscitano.

Ecco il comunicato. Buona visione, per chi vorrà vedere il film e buona lettura!

Ps: dite a quella specie di sindaco di Firenze che chi terrà i negozi aperti il primo maggio costringerà i dipendenti e le dipendenti a lavorare durante un giorno in cui lavoratrici e lavoratori dovrebbero fare festa!

Dagli Stati Generali della Precarietà: verso lo sciopero precario!

Immaginate se un giorno i call center non rispondessero alle chiamate, se i trasporti non funzionassero, se le case editrici che sfruttano il lavoro precario fossero bloccate, se le fabbriche chiudessero, se la rete ribollisse di sabotaggi, se gli hacker fermassero le reti delle grandi aziende, se i precari si prendessero la casa che non hanno, gli spazi che gli sono negati. Immaginate se i precari e le precarie incrociassero le braccia, diventassero finalmente protagonisti e dimostrassero che sono forti: il paese si bloccherebbe.

È così che immaginiamo lo sciopero precario, che è stato al centro della terza edizione degli Stati Generali della Precarietà, che si sono tenuti a Roma dal 15 al 17 aprile. Centinaia di precari e precarie ne hanno discusso, per fare sì che uno sciopero precario non sia più un ossimoro, cioè un’espressione che contiene due parole inconciliabili tra loro: sciopero e precario. Perché si sa, i precari non possono scioperare: sono soggetti a ricatti troppo grossi, hanno interiorizzato la sconfitta e la sottomissione al volere delle aziende, sono addirittura i datori di lavoro di se stessi, sono ricattati dal contratto di soggiorno per lavoro e dal razzismo istituzionale. Non vorranno davvero osare ciò che nessuno riesce nemmeno a immaginare.

Eppure… eppure a Roma abbiamo parlato di come riprenderci il diritto allo sciopero, di come usarlo per esigere un nuovo welfare del desiderio e non solo del necessario, che deve basarsi sul reddito incondizionato e universale, slegato dalla prestazione lavorativa, su una flessibilità scelta e non imposta, sull’accesso ai beni comuni, ai nuovi diritti e ai servizi per tutte/i, sul permesso di soggiorno slegato dal contratto di lavoro. Si tratta di una questione di libertà di scelta, di uscita dal ricatto della precarietà, di immediata redistribuzione della ricchezza. Abbiamo parlato di utopia, rifiuto, cooperazione, libertà di movimento.

Una cosa è chiara a tutte/i: il tempo di quella che abbiamo chiamato “narrazione della sfiga” è finito. La condizione precaria è sotto gli occhi di tutti, non c’è più bisogno di parlare dei nostri problemi individuali. È ora di passare all’attacco per dimostrare che la precarietà può fare male non solo a chi la subisce ma anche a chi la sfrutta. Dalla narrazione si deve passare all’esplosione della rabbia precaria.

È finito il tempo in cui la condizione di precarietà ci veniva presentata come una cosa temporanea, necessaria a preservare i diritti dei “garantiti” che oggi (vedi Mirafiori e Pomigliano) garantiti non sono più. È anche finito il tempo delle divisioni imposte, che vogliamo far saltare. La precarietà infatti è una condizione comune che può dividere, e la prima divisione da superare è quella tra migranti e nativi, rompendo lo scandaloso isolamento che i migranti vivono nei luoghi di lavoro e nella società e interrompendo il circuito che li rende clandestini. Lo sciopero precario, per la prima volta, colpirà i profitti delle aziende che ci precarizzano e sfruttano, che peggiorano ogni giorno le nostre condizioni di vita. Lo sciopero precario sarà il momento in cui l’intelligenza, i saperi, i trucchi e gli sgami di precari e precarie si rivolteranno contro chi li precarizza, e il lavoro migrante contro chi lo sfrutta.

Sarà lo sciopero dei precari ma soprattutto uno sciopero che nasce nella precarietà e si rivolge contro la precarietà. Un momento in cui, per la prima volta, non saranno precari/e e movimenti sociali ad allargare e generalizzare lo sciopero dei sindacati, ma in cui si chiederà ai sindacati di generalizzare e rendere possibile uno sciopero in cui i precari non sono solo società civile o testimonial ma pienamente protagonisti. Uno sciopero indipendente, che coltivi l’autonomia e la ricchezza delle pratiche quotidiane dei precari ma che si colleghi anche ai conflitti che stanno agitando tutta l’Europa. Uno sciopero fatto di cospirazione, di cooperazione, di forme creative per colpire le aziende tutelando i lavoratori ricattati, di blocco dei flussi di informazione e merci delle metropoli, cioè dei luoghi più alti di accumulazione e alienazione. I precari e le precarie vogliono ribadire che le loro condizioni sono al centro dei processi di creazione di profitto. E vogliono far sapere al paese che possono far male, colpire i profitti, creare un problema a chi li sfrutta. Pretendono di essere ascoltati.

A Roma si sono riuniti in workshop aperti e partecipati precari e precarie di decine di città, provenienti dai call center, dall’editoria, giornaliste, informatici, migranti, operaie, lavoratori del terzo settore, chi fa lotte per il diritto alla casa, chi riflette sulle questioni di genere e chi su un nuovo welfare possibile. Questa terza edizione degli Stati Generali ha coinvolto undici città da nord a sud della penisola, creando uno spazio aperto e inclusivo di cooperazione e relazione nazionale che vogliamo allargare ad altri soggetti che hanno voglia di sciopero precario.

Da domani comincia il vero lavoro di preparazione dello sciopero precario, e da domani la nostra rete comincerà a esprimere in ogni occasione utile le nuove pratiche che l’intelligenza dei precari saprà mettere in campo: un processo di accumulazione in cui tutti/e siano coinvolti per comunicare, spiegare, costruire questo percorso attraverso laboratori cittadini per lo sciopero precario e reti nazionali tematiche. In attesa di aprire una piattaforma comunicativa condivisa di coordinamento, informazione e condivisione, le informazioni sugli Stati Generali e lo sciopero precario si troveranno su precaria.org e indipendenti.eu.

Inoltre abbiamo condiviso alcuni appuntamenti che attraverseremo per segnare il cammino verso lo sciopero precario:

* la MayDay del primo maggio di Milano come momento di visibilità nazionale per tutta la rete e di lancio dello sciopero precario;

* il 26 e il 27 Maggio, giornate di mobilitazione internazionale contro l’austerity in occasione del G8 in Francia;

* una giornata di lotta dei e con i migranti contro l’attuale regime dei permessi di soggiorno, contro il razzismo di stato e per la regolarizzazione;

* un’assemblea degli Stati Generali a giugno, all’interno e in sostegno al Climate camp di Milano;

* un incontro nazionale di verifica comune del percorso e di preparazione dello sciopero precario entro settembre, preferibilmente in una città del sud.

Lo sciopero precario è una parola d’ordine che si moltiplica, una pratica da riempire di senso, un’idea che mette in movimento. Lo sciopero precario è quello di cui abbiamo bisogno. È quello che vi chiediamo di contribuire a rendere possibile.

17 aprile 2011 – I precari e le precarie riuniti a Roma nella terza edizione degli Stati Generali della Precarietà

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