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Di genitore in figli@: se si insegna solo la paura!

da Abbatto i Muri:

Ne parlavo qui e qui, mentre tentavo di dire che non bisognerebbe insegnare ai bimbi la paura dell’uomo nero, perché pregiudizi, sessismi, razzismi, sono cose che si insegnano, sennò perché si riterrebbe di poter intervenire in prevenzione con l’educazione?

Non credo che certi sentimenti siano innati e non immagino di certo che si possa demonizzare qualcheduno in virtù di visioni sempre razionali del problema. I bambini acquisiscono la cultura che dall’ambiente gli deriva.

Se un genitore passa il tempo a raccontargli che i “negri” sono una razza inferiore, lui crescerà razzista e dovrà togliersi via con molta fatica strati di tesi introiettate, giusto a partire da altri stimoli culturali che per fortuna potrebbe ricevere dalla scuola, dagli amici, da altri adulti.

Se un genitore passa il tempo a raccontargli che i “froci” sono malati, sporchi, perversi, lui crescerà omofobo e lo troveremo in giro a dirci quanto lui sia lieto di appartenere alla popolazione etero.

Se un genitore passa il tempo a dirgli che deve avere paura dei “rom”, degli “zingari”, quel bimbo troverà complicato integrarsi in una scuola in cui ci saranno anche figli di persone di etnia rom.

Se un genitore passa il tempo a dirgli che gli ebrei sono cattivi, quel bimbo crescerà antisemita.

Se un genitore passa il tempo a dire che bisogna temere il fatto che non ci si comporti da femmine o da maschi a seconda di quale sia il sesso biologico di appartenenza quel figlio crescerà con la convinzione che ci sia una differenza di genere distinta per cui si dovrà avere il terrore di ogni scelta autodeterminata e indipendente.

Se un genitore dice al figlio che l’altro genitore, quello dal quale è separat@, è una merda, se insiste nel fare vivere quel figlio o quella figlia in un contesto paranoico e morboso in cui l’odio si respira a distanza e non si parla d’altro che di strategie di difesa da quello che nel linguaggio casalingo smette perfino di essere persona, umana, diventa un “essere”, “quell@ lì”, in un processo di disumanizzazione che legittimerà piccoli e grandi sentimenti d’odio, microbullismi familiari conditi di spiegazioni più o meno plausibili: lui ha fatto questo e quello, lei ha fatto questo e quello, ripetuto ogni giorno, fino a lasciare ritenere possibile che l’unica difesa da quell@ lì sia addirittura il dileggio, l’insulto sistematico, a lui/lei e alle persone che gli/le stanno attorno, attivando forme di squadrismo da clan familiare per estrometterl@ da qualunque possibile ambito di colloquio, e dunque, se questo accade, e non sto parlando di malattie, nelle quali non credo, ma di comportamenti, di cultura e di educazione che fanno crescere i figli in una determinata direzione, quel figlio vivrà, crescerà, sarà nutrito sempre di quell’odio che gravita nella casa in cui vive, non potrà fare altro che odiare affinché gli si permetta di restare compreso nel clan, perché i meccanismi di rifiuto ed estromissione dal branco, entro il quale, specie se è piccolo, si sentirà protetto sono gli stessi di cui si può parlare in ogni altro schema di gruppo. Se non sei come noi, se non la pensi come noi, allora sei un nemico, resterai al di fuori, e ricatto affettivo dopo ricatto affettivo i figli crescono compiacendo i genitori, sperando gli si voglia bene e per farsi voler bene fanno quello che i genitori sembrano apprezzare: fai il bravo, sii razzista, sii sessista, sii nemico di tuo padre o di tua madre, perché in certe condizioni di dipendenza affettiva i figli, decisamente non sono in grado di scegliere.

Possono farlo se hanno una alternativa, se il mondo che gli si consente di frequentare è aperto, se possono abbracciare più culture, che arricchiscono sempre, più versioni della storia, più possibilità di confronto umanizzante per sconfiggere la paura dell’uomo nero. Perché con la paura di chi è divers@ da te si finisce solo per imprigionare quel figlio, creandogli una gabbia naturale tutto attorno che in realtà assicura la continuità del legame che il genitore dominante teme sia scisso.

L’educazione sbagliata può seriamente compromettere la vita dei bambini. Insegnare loro ad avere paura è il mezzo per tenerseli attaccati, controllarli, assicurandosene complicità e fedeltà eterna. Ma i figli non sono l’appendice di chi li partorisce o li cresce. I figli sono persone che hanno tutto il diritto a vivere in ambienti in cui non c’è una istigazione all’odio costante nei confronti di uomini, donne, persone, etnie, culture, religioni, diverse.

Più i luoghi sono ristretti a contesti precisi in cui esiste una sola versione delle tante storie che attraversano il mondo e più sono strumento, veicolo, di diffusione continuata delle teorie, regole, norme sociali incontrastate che il clan familiare gli propina. Perciò le famiglie chiuse non fanno bene ai figli. Perciò non riesco proprio a immaginare come si possa crescere un figlio nel rancore, nella costante paranoia e idea di doversi difendere da qualcuno, asserragliati in un fortino e immaginando che di là ci sia chi vuole solo farti male. Chi mai potrebbe costruire un mondo di questo tipo per un figlio? Chi mai potrebbe immaginare di farlo vivere in un luogo chiuso, con relazioni chiuse, incutendogli paura, giorno dopo giorno, tanto da farlo crescere in una costante posa difensiva?

Quando i genitori obbligano i figli a combattere le guerre degli adulti, soldati o soldatesse al proprio servizio, ora contro la madre, ora contro un padre, io non posso più chiamarli adulti. Adulto è chi si assume sulle proprie spalle il peso e la responsabilità dei conflitti, delle zone sospese, di tutte le questioni che lo riguardano. Perché proteggere i figli e incutergli paura sono cose molto diverse giacché i figli vanno protetti, certo, anche da chi gli presenta un mondo unico, claustrofobico, tutto nero, fatto di dicotomie rigide, dove per esistere bisogna sempre guardarsi le spalle da tutti meno che da chi ti dice che tutto quel che vedi e vivi sarebbe per il tuo bene. Meno che da chi ti dice di essere vittima e pensa, a volte sbagliando, che l’unico mondo in cui sei protetto, in quanto figli@, è il suo.

Ci sono casi in cui è giusto tutelare e tutelarsi, e quest’anno di bimbi uccisi a causa di separazioni andate male ce ne sono alcuni, in parte uccisi anche da donne, madri, ed è grave che ciò sia avvenuto, ma non sono la maggioranza, non si può fare passare l’idea che questo avvenga per ogni separazione, ogni richiesta di affido condiviso, soprattutto quando arriva dai padri. Non si può brandire la violenza come strumento per creare pregiudizio e terrorizzare chiunque abbia in mente un modello sociale differente in cui ruoli e funzioni non sono fedelmente ancorati al genere (la beddamatresantissima che sarebbe l’unica a poter pensare ai figli).

Non si può fare passare l’idea che il metodo preventivo per risolvere la violenza sia quello di decapitare la possibilità di condivisione del ruolo di cura laddove questo è un auspicio di tante donne e uomini che non hanno più alcuna voglia di restare prigionieri di ruoli di genere anacronistici (la mamma che fa quello che compete alla mamma e il papà che svolge solo il compito assegnato al papà). Pensare di impedire che dopo una separazione entrambi i genitori restino in contatto con i figli è pura eugenetica, è razzismo, è selezione degli umani meritevoli di stima su base stereotipata e sessista.

Direi di pensarci su.

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Posted in AntiAutoritarismi, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.