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Circa l’esistenza del femminicidio

Su quello che sta succedendo in questi giorni io avevo scritto una cosa credo di buon senso che traeva anche delle conclusioni di modo che si capisse che una task force contro il femminicidio non serve.

Dopodiché tra i mille articoli, è vero, forse con dei toni apocalittici, cifre sparate a muzzo qua e là, tutti quasi pronti a invocare la legge marziale, lo stato d’emergenza, finanche le truppe dei marines quando i centri antiviolenza chiudono e il piano antiviolenza del governo perisce sotto i colpi indegni di provvedimenti che se ne fregano di tutto e tutti salvo usare la violenza sulle donne per rifare il lifting alla ministra choosy-fornero, arriva un pezzo che è completamente fuori tono.

Lo scrive Marcello Adriano Mazzola su Il Fatto Quotidiano dove tiene il blog e parte con il titolo più provocatorio che ci possa essere. Impopolare, senza dubbio, in questo tempo in cui perfino i calciatori pronunciano la parola “femminicidio” senza saperne niente. Gli va quanto meno dato atto del coraggio sapendo di incorrere nell’ira di tante donne e uomini sensibili alla questione. Si chiede dunque se il femminicidio esiste e il fatto che lui sia pronto a confutare questo dato mi porta già a pensare che reputi quella tragedia un dogma, dunque una invenzione, perciò scorrendo trovo conferma nel fatto che egli pone l’accento sui toni esagerati, la possibilità che questo interferisca con la cultura del paese togliendo spazio e diritti agli uomini in difficoltà, ai padri, dice, facendo chiaro riferimento al diritto di famiglia.

Scrive di neutralità e compie un grande errore, spero involontario, mettendo sullo stesso piano femminismo e maschilismo come farebbe il più disinformato dei sessisti perché non puoi mettere sullo stesso piano il razzismo e l’antirazzismo in quanto hai avversione per ogni forma di “ismi”. C’è anche l’antisessismo e il pacifismo e l’ecologismo e se anche si pensa che siano forme di azione e pensiero di cui prima o poi non ci sarà bisogna la linea di demarcazione è netta tra la forma di oppressione stabilita dal maschilismo, cioè di un genere contro tutti gli altri, donne in testa, e la reazione del femminismo che è fatto di migliaia di teorie e pratiche tese a superare quel perimetro di oppressione e a recuperare egualitarismo tra i generi, tutti.

Non riesco poi a cogliere come un dibattito sul femminicidio possa ledere la figura maschile in quanto tale se è ragionato nel senso di una particolare tipologia di crimini mirati ad annullare la volontà delle donne, la libertà di scelta, la consensualità, la possibilità delle donne di essere ciò che vogliono essere, di poter dire di No, e di poter anche lasciare un uomo. E’ in questo senso che Mazzola pensa che possa ledere il genere maschile? E di quale genere maschile si parla? Perché quando noi parliamo di violenza sulle donne parliamo di uomini violenti, non altri che quelli, e non di tutto un genere, se val la pena ancora specificarlo dopo che l’abbiamo specificato mille volte.

E in quanto all’influenza con il diritto di famiglia mi sfugge ancora da cosa possa derivare se il riconoscimento delle tragedie che accadono alle donne va di pari passo alla lotta delle donne in direzione di un diritto di famiglia che sia equo, in cui i ruoli siano equamente ripartiti, dunque anche la genitorialità alla quale immagino Mazzola, che so molto interessato a questi temi, si riferisse. Giusto?

Che esista il fenomeno della violenza sulle donne è vero tanto quanto è vero che esistono i padri in difficoltà, se vogliamo metterla su quel piano. Diversamente dovrei dirle che la storia dell’uomo maltrattato socialmente e discriminato dal diritto di famiglia è una bufala. Dovrei anche dirle che le cifre diffuse per denunciare quel fenomeno non corrispondono alla realtà e dovrei dirle che si fa presto a gonfiare una notizia quando si parla di figli contesi, e ci sono mille trasmisioni televisive a dirci che si parla spesso di un fenomeno che certamente non riguarda la totalità degli italiani e sicuramente neppure la totalità delle separazioni.

Potrei restare qui e tirarle fuori statistiche per dirle che non è vero che le donne ricevono più spesso l’assegnazione della casa di famiglia o che le donne dopo una separazione sono ricche diversamente dai padri che vengono descritti come poveri. Potrei fare tante cose ma a me basta anche solo un uomo che ha quei problemi e quelle difficoltà per pormi il problema e tentare di capire, perfino, se le soluzioni che propone lei siano corrette e adeguate al caso.

Invece lei non scrive un pezzo per parlare di soluzioni, di qualunque cosa sia utile a prevenire quello che è successo a Carmela, a Lucia e prima di loro a diverse altre donne, tante in realtà, pure troppe, non crede? E io non sto invocando l’emergenza, non voglio leggi speciali e non voglio neppure che tutti gli uomini finiscano per essere dipinti come malvagi persecutori di donne perché così non è. Però, per varie ragioni che umanamente noi cerchiamo di spiegarci, accade che un uomo possa uccidere una donna e che la stessa cultura ispiri tanti delitti che colpiscono anche uomini, lei pensi che beffa, perché di cultura patriarcale muoiono in tanti, e rispetto a questo vorremmo capire quali sono le sue soluzioni.

Perché a fronte della ricerca, onesta, che qui qualcuna di noi sta facendo anche per tentare di capire se è possibile suggerire delle soluzioni ai problemi di cui lei spesso parla, lei sembra molto attrezzato e ben intenzionato a dire invece semplicemente che tutto quello che succede quando si parla di violenza sulle donne non esiste.

Vede, Mazzola, il femminicidio è un termine che si usa per definire una determinata tipologia di delitti, ispirati più o meno dalla stessa ragione, dal desiderio di impedire ad una donna di scegliere di che vita vivere e di che morte morire. Può definirlo un costrutto sociologico, culturale, qualcun@ vorrebbe farlo diventare un costrutto giuridico, non noi, ma siamo una minoranza, certo, a noi non interessa che si reclami l’aggravante per “femminicidio” perché sarebbe come dire che se uccidi una donna è più grave che uccidere qualunque altro essere umano, ma la questione esiste, resta, c’è ed è umiliante, creda, qui, per me, doverlo ribadire perché se lei mi dice che quella violenza non esiste come si aspetta poi che io riconosca la sua denuncia sociale e il suo dolore? Come vuole lei superare la “guerra tra i generi” se la alimenta con questa contabilità di ciò che è più importante e di cosa non lo è? Come intende superare la guerra dei generi se stabilisce perfino una linea di priorità dicendo che la lotta contro la violenza sulle donne minerebbe, influenzerebbe, incrinerebbe le lotte per un nuovo e più equo diritto di famiglia?

Siamo nemiche quindi? Così è necessario dipingerci? Donne che denunciano e lottano anche contro la violenza sulle donne nemiche degli uomini?

Perdoni, Mazzola, ma il riconoscimento deve essere reciproco, se veramente lei vuole superare la guerra, perché diversamente devo ritenere che non la voglia superare affatto. E mi mortifico ancora di più dicendole che mi consta personalmente quanto sia grave una violenza subita. Non mi interessa come lei la chiami. E’ lei che non mi concede la possibilità di nominarla in senso autodeterminato e di distinguerla da altro in nome di un frequente qualunqu-ismo, un ismo assai più popolare, o in nome di una ideologia che mi si oppone a me in quanto donna perché quando lei scrive queste cose è di me che parla. Di me. Persona. Non un numero da rintracciare nella statistica dell’Onu. Se lo ricordi la prossima volta che scrive di femminicidio. Grazie.

Posted in Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


31 Responses

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  1. mauro recher says

    Abbastanza d’accordo con quello scritto da libero pensatore ,infatti il mio blog si chiama FEMDOMINISMO e mi dichiaro anti femminista ,ma contro un femminismo ,chiamiamolo con il loro nome, autoritario e anche “borghese” (alla snoq) ….proprio ieri mi sono imbattuto contro una pagina facebook ,dove si discuteva che la violenza maschile era dovuta alla corteccia celebrale che non si era sviluppata …per carità ,era un troll ,ma allo stesso tempo ,gli ha permesso di ricevere alcuni “mi piace” sul suo commento ,da utenti che seguono quella pagina assiduamente ed anzi una si è pure imputata che era vero ,la scienza lo dimostrava ,posso dire che ,in questi casi ,mi sono leggermente girati i cosiddetti ?
    Che ,tra l’altro una pagina come “no alla violenza sulle donne ” (non quella falsa) ,mi viene sempre da chiedere ,perchè .la violenza sugli uomini , viene meglio tollerata ?
    Non per fare l’adulatore ,ma l’unica pagina femminista che ha riportato esempi di violenza maschile subita è stata proprio questa …..dalle altri parti ? Stendiamo un velo pietoso

  2. Libero Pensatore says

    “siete sicuri che l’antifemminismo sia una teoria di liberazione e non una ideologia?”(Fasse)

    A quanto vedo è una domanda rivolta a Fabrizio Marchi e forse a tutto il movimento che si occupa della cosiddetta “questione maschile”. Ma mi permetto di intromettermi, visto che non appartengo a nessuno dei due “fronti”(“questione maschile” e femminismo), e quindi dico la mia opinione indipendentemente da tutto e da tutti. Io ritengo che “uomini beta” non sia un’ associazione anti-femminista, nel vero senso del termine. Più che il femminismo vero e proprio, “uomini beta” mette in discussione ciò che il femminismo, (ad avviso di “uomini beta”)non è riuscito o non ha voluto attuare(sempre secondo “uomini beta”): cioè la reciprocità sessuale nel corteggiamento e nella libera sessualità, oltre ovviamente a non aver voluto o saputo sottrarre le donne alle “logiche dominanti capitaliste”(sempre secondo “uomini beta”). E’ come se uno attacca Stalin di non aver saputo attuare il vero comunismo, ciò non significa che costui sia un anti-comunista, ma al contrario un comunista o comunque uno non ostile per principio al comunismo, che ha una visione profondamente diversa rispetto a Stalin di come avrebbe dovuto essere il comunismo. Il testo di fabrizio Marchi: “Donne: una rivoluzione mai nata”, va proprio nel senso prima spiegato. Cioè, Marchi contesta al Femminismo ciò che secondo lui avrebbe dovuto fare ma che non ha voluto fare. Ma il pensiero di Marchi su come dovrebbe essere la società( libera sessualità, no alla famiglia tradizionale, nessuna obiezione all’ aborto e ai matrimoni gay, anti-clericalismo, etc) non è per nulla in contraddizione con la visione femminista, anzi per certi versi simile. Con questo non voglio dire che “uomini beta” abbia una linea filo-femminista, infatti su altre questioni di non poco conto, ha una visione profondamente diversa da FaS e dal femminismo in generale, voglio semplicemente dire che, secondo me, non può essere definita un’ associazione anti-femminista, nel vero senso del termine. E’ anti-femminista chi combatte in modo radicale e intransigente il femminismo in ogni suo aspetto e contrappone alla visione femminista della società una visione tradizionale e patriarcale, in primis sulla suddivisone dei ruoli tra uomini e donne all’ interno della famiglia e della società.. Dico questo almeno in base a ciò che io ritengo essere il femminismo e la “questione maschile”, ma siccome da poco tempo mi sto interessando della questione tra femminismo e “questione maschile”, può anche essere, anzi forse è probabile, che mi sbaglio.
    Sulla questione del “femminicidio”, è indubbio che ci siano a donne ammazzate da uomini e che qualcosa affinchè si prevengano tali delitti, bisogna, pur fare. Non mi convince invece la causa di “genere” che viene ascritta a questa tipologia di delitti, ma proverò ad analizzare ancora e più approfonditamente la questione.
    Saluti.

  3. Patrizia says

    @Fabio

    io ho confutato i numeri di Mazzola.
    tu gli credevi.
    è sempre colpa del testosterone?

    non per eludere la tua domanda. per me il femminicidio esiste perchè ci sono quei numeri, non so gli altr* cosa pensano, io penso questo. la quantità fa la qualità, punto. dopodichè, se anche solo una donna uccide un uomo “in quanto uomo” sono pronta a ribadire per quel caso il mio antisessismo, ma quando il fenomeno supera una soglia e diventa “sociale” allora c’è un problema “sociale”.

  4. Roberto says

    Copio le parole di un amico e le condivido:

    -Il femminicidio è una truffa dialettica, una finzione ideologica-

  5. fasse says

    @Fabrizio
    ovviamente non concordo con quello che dici. non sono la persona più preparata per dirti se dici cose giuste o sbagliate sul comunismo, purchè non ne derivi che né destra né sinistra o né rossi né neri ma liberi pensieri perché alla nostra storia partigiana io sono molto affezionata e il ragionamento di “e allora le foibe” non mi interessa neppure affrontarlo. quello che so è che una ideologia che si traduce in totalitarismo, come il nazismo, nata per dominare altre categorie umane e per opprimerle e non per liberarne alcune ed acquisire ragioni di equità, non c’entra nulla ma proprio nulla con il femminismo.
    che il genere maschile dominante lo abbia percepito come deleterio perché metteva in discussione ogni gerarchia oppressiva e ogni pezzo di storia in cui i generi erano sempre e solo praticamente e culturalmente assoggettati a quello maschile posso capirlo. quello che non capisco è come tu possa ritenerlo tale a fronte del fatto che potrei dire che esistono sulla faccia della terra movimenti opposti ad altre teorie di liberazione come l’antirazzismo ma si chiamano razzisti. e chi dice che l’antirazzismo possa essere una ideologia “suprematista, colpevolizzante e castrante” dei bianchi o che l’antirazzismo sia addirittura lì a vivere in ragione utilitaristica al capitalismo non ha alcuna ragione se non il razzismo.
    un problema che c’è sempre stato con alcuni compagni, e quindi non mi stupisce che possa esserci questa posizione, è il fatto che prima della differenza di genere ci fosse la differenza di classe. tanti compagni concorrevano alla possibilità di acquisire egualitarismo economico ma quando si parlava di egualitarismo di genere veniva fuori che le donne hanno già tutto e che quelle che vogliono tutto sono suprematiste, colpevolizzanti e castranti. ed è con questa colpevolizzazione perenne che il movimento femminista ha avuto a che fare per decenni, una criminalizzazione che aderisce perfino ad una ideologia, quella si, castrante, suprematista e colpevolizzante che vuole le donne sotto processo per aver niente po’ po’ di meno che cercato di ottenere il diritto all’istruzione, al voto, alla gestione equa dei beni, al lavoro, accidenti, il lavoro retribuito. da quanti mi sono sentita dire che l’accesso delle donne nel mondo del lavoro è suprematista, colpevolizzante e castrante. e poi c’è il tema perverso della violenza sulle donne, anch’esso immagino funzionale ad utilitarismi capitalisti, e si, lo riconosco, queste correnti di pensiero non si sarebbero liberate se non in una situazione di benessere apparente ma ciò non vuol dire affatto che i movimenti che sono derivati in epoche storiche precise siano di per sè negativi a meno che tu non mi dica che la donna non andasse liberata, che andava meglio quando andava peggio e che tutto debba tornare così com’era e non credo tu voglia dire ciò.
    io potrei dirti che l’antifemminismo è per esempio il coperchio ideologico di un genere maschile che in quanto ideologia o contro-ideologia ha già in se’ il germe suprematista, colpevolizzante di un intero genere e di una intera lotta e castrante. ti posso dire che è coperchio che giustifica misoginie e sessismi come tu sai bene perché in nome di una teoria antifemminista articolata civilmente così come fai tu esistono esempi, a noi purtroppo negli anni noti ma per ciò che abbiamo visto sono noti anche a voi e non solo a voi, che vogliono semplicemente che l’orologio torni indietro.
    quello che noi vogliamo non è tornare al vecchio femminismo originario e bello perchè quello, per quanto positivo, mancava di una profonda analisi che ammettesse differenze tra i generi e nell’ambito dello stesso genere. un po’ così come fate voi che stabilite che ogni uomo che si esprima diversamente da voi non sia degno di rispetto e di considerazione ma sia da chiamarsi con appellativi che di certo non sono rispettosi della diversità delle opinioni. che poi è la stessa cosa che fa snoq o certo femminismo della differenza quando squalifica le posizioni politiche diverse tra donne e donne, tra noi e loro, attribuendoci una sorta di schiavitù del maschile, potrebbero definirci femmine-pentite per capirci.
    il femminismo cui tendiamo noi è egualitarista, è libertario e si arricchisce delle teorie queer perché diversamente dalle ideologie totalitariste i movimenti di liberazione sono costantemente in evoluzione e quindi giudicarli secondo lo stesso metro è totalmente sbagliato.
    i movimenti di liberazione sono la chiave di volta per ulteriori momenti di liberazione all’interno degli stessi movimenti di liberazione. ed è per questo che esistono i femminismi. e se femminismo fosse uguale a maschilismo che altro non è un proposito di restaurazione di privilegi per il genere maschile vedremmo i maschilismi ma tant’è.
    il femminismo rimette dialetticamente in discussione il femminismo stesso ed è concesso proprio per la sua natura antiautoritaria e antigerarchica. il femminismo postcoloniale, l’anarco femminismo, il cyberfemminismo, le teorie queer che si incrociano con le istanze e le rivendicazioni dei movimenti lgbtq che mi pare nel tuo ragionamento non sono inclusi. cosa dici di loro? sono movimenti suprematisti, colpevolizzanti e castranti degli etero? perché chi pensa questo produce qualcosa che si chiama omofobia, lesbofobia e transfobia. e potrei andare avanti anch’io ma la conclusione sarebbe sempre la stessa. quello che voi fate è giudicare il femminismo addebitando ad esso le azioni di singoli soggetti o singoli rami di movimento. un movimento che continua ad evolversi, che mette in discussione se stesso e che consente a me oggi, come diversamente in altri gruppi idelogizzati, dogmatici, gerarchici e autoritari non potrei fare, di essere diversa da snoq, diversa da chiunque, diversa dalle radicali americane che fanno le crociate contro il porno e la prostituzione, diversa da chi esige e chiede leggi autoritarie e liberticide che castrano la vita di tutti. non solo la tua. castrano anche la mia. e perchè si facciano percorsi di rinascita culturale le analisi bisogna produrle insieme, ciascuno con la propria specificità di genere, perché senza la mia analisi di genere, la tua analisi e l’analisi di genere di altri pezzi importanti del nostro collettivo, uomini inclusi, non puoi produrre una interpretazione del presente. l’errore che fai tu, secondo me, è quello di anteporre la tua analisi alla mia perché ritieni che senza contrapposizione a quella che tu definisci una ideologia non possano emergere i tuoi bisogni che non sono quelli delle donne, né quelli di uomini gay, né quelli di intersex o trans. uomini etero che hanno dovuto inventarsi una cosa opposta e speculare al femminismo della differenza, con le stesse rigidità e la stessa riappropriazione della diversità per trovare uno spazio che non sia nel passato o in altri esempi di maschile presenti. ma oggi non è più tempo di fare quello che dici tu o che dite voi. non è più tempo perchè il femminismo ha gli anticorpi per poter volgere in altre direzioni ma anche verso un antisessismo che sia collaborato da ogni genere di persona e questo rimettere in discussione alla radice le lotte delle donne ci schiaccia di nuovo in un angolo a inserirci nella rete antisessista ancora da gregarie, appendici del maschile, un maschile che si situa, purtroppo ancora, spesso, in difesa della lotta di classe ma non della lotta per la dignità di ogni genere, e in più dovremmo portarci dietro – noi – il marchio colpevolista e criminalizzante dell’aver fatto parte di una cospirazione mondiale che avrebbe prodotto la discriminazione del maschile al punto che c’è chi vorrebbe processarci in quanto femministe, ovvero in quanto aderenti ad una teoria filosofico politica in continua evoluzione, per presunti reati commessi. e se non c’è un grave pregiudizio di genere nel vedere le responsabilità di tutto quello che tu imputi al femminismo nelle donne diversamente non saprei come chiamarlo.
    se non sono stati gli uomini i responsabili di tutti i miei mali, cosa di cui sono certa, se il tuo percorso è egualitarista allora perché hai deciso che sono le donne le responsabili di tutti i tuoi mali? le donne in cima alla lista e addirittura gli uomini in stato di sudditanza e zerbinaggio, il che è offesnivo per chi esprime una posizione diversa e non si identifica in un unico e remoto maschile ed è ancor più offensivo per il fatto stesso di non riconoscergli nel bene e nel male una diversità. è come se io chiamassi le donne che difendono teorie di conservazione di privilegi maschili delle zerbine, schiave del maschile, colluse, kapo’. oppressi che spalleggiano donne che opprimono smarcandosi da altri oppressi e dunque alla stessa stregua di infami. per me le donne che sono diverse da me come identità politica e idee meritano rispetto e considerazione e meritano che io riconosca la legittimità della loro opinione. sono diverse in quanto tali, buone in quanto tali, cattive in quanto tali. perchè il vostro ragionamento allora dovrebbe farmi dire che sarebbero cattive in quanto che sono influenzate da un maschile oppressivo e dunque dovrei vederla in senso sempre autoassolutorio di un genere.
    insomma… ho messo insieme tante ragioni di perplessità oggettiva rispetto alle critiche che vengono mosse al femminismo e la domanda che mi faccio continua ad essere la stessa perchè davvero non capisco. di quale femminismo state parlando? perché di certo non parlate di me. e l’altra domanda è: siete sicuri che l’antifemminismo sia una teoria di liberazione e non una ideologia?

  6. Fabio says

    @Patrizia

    « le donne vengono uccise per oltre il 50% dei casi dal coniuge o ex coniuge (35%) o altri familiari mentre agli uomini questo accade per il 15% dei casi (per mano del coniuge nel 5%). »

    Quindi abbiamo sfatato un mito: il maschicidio esiste, dopo tutto, anche se con numeri diversi rispetto a quelli del femicidio.

    Ed allora per quale motivo ci si vuole concentrare solo sul femicidio? Per quale motivo se si riferisce che si tratta solo di un centinaio di donne l’anno si ribatte che il numero non conta, si adopera un metro di giudizio diverso quando si parla di uomini e si fa notare che anche loro vengono ammazzati, e da donne?

    E’ tutto qui il problema, secondo me. Per quanto tutti noi ne sappiamo la differenza di percentuali potrebbe essere tutta giustificata dagli ormoni: il testosterone induce violenza, e gli uomini sono notoriamente più forniti di testosterone delle donne.

    E prima che si rida davanti a questa considerazione si guardino nuovamente i numeri: anche gli uomini vengono ammazzati per mano delle donne. O si considera anche loro, o qualsiasi analisi è totalmente falsata.

  7. Fabrizio Marchi says

    Come ti dicevo, questo di seguito è un mio commento ad un articolo di Fikasicula pubblicato sul blog” tregua di genere” ormai alcuni mesi fa. Il tema era quello della natura intimamente interclassista del femminismo, ma credo che può essere utile anche in questo ambito.
    “Cara FikaSicula, hai messo moltissima carne al fuoco in relativamente poche righe (considerando la vastità e la complessità degli argomenti che hai toccato).
    Farò quindi come Luigi, e ti risponderò in diverse puntate. Per il momento scelgo quindi di concentrarmi sulla questione principale che hai sostanzialmente posto nel documento che ci hai inviato (e anche in altri articoli, alcuni molto interessanti, che ho avuto modo di leggere, in particolare quello dal titolo “Del separatismo opportunista”) e che riguarda quella che il sottoscritto e noi, Uomini Beta, riteniamo essere la natura fondamentalmente interclassista e politicamente trasversale del femminismo.
    Il femminismo, cara F., è una ideologia intrinsecamente e strutturalmente interclassista (e di conseguenza politicamente trasversale), al di là delle interpretazioni che soggettivamente se ne possono dare, anche ben al di là delle differenze fra le varie correnti e sottocorrenti che la animano.
    Mi rendo conto che stai facendo uno sforzo (lodevole sotto il profilo personale e umano ma completamente inutile dal punto di vista politico) per gettare l’acqua sporca cercando di salvare il bambino, ma credo che sia un tentativo, nobile, dal tuo punto di vista, comunque destinato a fallire, per ragioni che, appunto, ritengo essere strutturali.
    In altre parole, quello che tu ritieni essere fondamentalmente un processo degenerativo del femminismo, è invece per me l’inevitabile epilogo di un’ ideologia e di un movimento che conteneva già in sé, né poteva essere altrimenti, i germi di quella degenerazione di cui tu stessa sei stata costretta a prendere atto (con coraggio). Ma è ovvio che, partendo da questa considerazione, sarebbe anche errato definirla in quel modo. Ciò che tu stigmatizzi con una certa dose di (ammirevole) veemenza nel tuo articolo “Del separatismo opportunista” (molto più incisivo di quello che ci hai scritto, forse perché non eri assillata da esigenze di mediazione…:-) ) è in realtà l’essenza stessa del femminismo che anche dal punto di vista etimologico, oltre che concettuale, filosofico e politico, si fonda e non può che fondarsi sul principio di appartenenza di genere. Né potrebbe essere altrimenti, salvo essere un’altra cosa.
    Tu sostieni (e io sono d’accordo te) che l’identità politica (quindi anche la condivisione di determinati valori e ideali) e l’appartenenza di classe, debbono essere il “prius”, prima ancora dell’appartenenza di genere. Ma sostenendo questo, ti poni automaticamente fuori dal femminismo che per ragioni oggettive, e appunto strutturali, si fonda innanzitutto sul concetto di appartenenza di genere.
    Se dei comunisti ti dicessero che sono contrari all’abolizione e al superamento dei rapporti di produzione capitalistici, del lavoro salariato e della proprietà privata, tu cosa penseresti? Semplice: che non sono dei comunisti ma un’altra cosa.
    Ecco, dal mio punto di vista, sostenere che il femminismo possa continuare ad essere considerato tale rinunciando al “prius” dell’appartenenza di genere o comunque rendendolo succedaneo ad altro, equivale a parlare di comunismo o di una società comunista in presenza di rapporti di produzione capitalistici, di lavoro salariato e di proprietà privata. Saremmo di fronte ad una contraddizioni in termini. Insanabile. Quasi una tautologia.
    Per essere e fare quello che tu dici coerentemente di voler essere e fare, cara FikaSicula, non c’è bisogno di dichiararsi o essere femministe, è sufficiente dichiararsi o essere comuniste, o socialiste. Il femminismo, infatti, in quanto ideologia di genere, come ho ripetuto tante volte in diversi articoli e video-interviste, non nasce in seno al Movimento Operaio e alle filosofie e culture politiche che da esso ne sono scaturite (e anche ai sistemi politici che di questo ne sono stati, nel bene e purtroppo anche nel male, la derivazione), ma in quella “sinistra” “liberal” post e soprattutto extra movimento operaio, post e extra comunista, socialista e socialdemocratica (soprattutto negli USA), che non ha mai avuto nessuna relazione con quella tradizione e con quella storia. In un secondo momento il femminismo (non poteva essere altrimenti) trova collocazione, fino ad invaderla e spesso a travolgerla completamente, nella sinistra europea, soprattutto quella “radical” sessantottina e post sessantottina. Ma è proprio da quest’ultima che prende paradossalmente corpo il femminismo della differenza, il più estremista, sessista, razzista, oltre che interclassista e politicamente trasversale (ormai non ne fanno neanche più mistero) che ha finito per essere quello dominante (né poteva essere altrimenti data la natura stessa del femminismo), anche se a tradurlo in pratica e in leggi liberticide, di classe e antimaschili, non sono state e non sono le femministe storiche (che comunque lo sostengono e si guardano bene dal contestarlo) ma personaggi come la Pollastrini, la Fornero o la Carfagna, con il sostegno diretto o indiretto (a seconda delle circostanze politiche del momento, cioè di quale coalizione sia al governo) di tutte le cooptate politico-mediatiche di regime, dalla finiana Bongiorno alla “pidina” De Gregorio fino all’ex demoproletaria Menapace, solo per fare alcuni nomi. Di fatto l’intero circo politico-mediatico femminista e postfemminista insieme al nuovo clero femminile e femminista secolarizzato e politicamente corretto incaricato dell’audience e della costruzione del consenso. Penso alle varie Terragni e compagnia cantando che dall’alto dei loro blog di Repubblica o del Corsera, distribuiscono sistematicamente perle di sessismo razzista spacciandole per progressiste e di sinistra.
    D’altro canto, le stesse Luisa Muraro e Ida Dominijanni (cioè non due qualsiasi, ma le indiscusse “guru”, anche e soprattutto filosoficamente parlando, del femminismo della differenza nostrano), che al governo non sono mai state ma dal punto di vista ideologico hanno responsabilità ancora maggiori, non sono certo da meno quando sostengono che la “violenza è maschile”, perché la sessualità maschile –lo ha ribadito la Muraro in un recentissimo articolo pubblicato sul blog della Terragni – è ontologicamente violenta e pervasiva. Come definire questo concetto, cara F., se non come sessista e razzista (io direi anche con discrete venature naziste)? E cosa può avere a che fare con l’appartenenza di classe, con l’identità politica, con i valori dell’eguaglianza, della libertà, della laicità, del superamento di ogni forma di discriminazione, una simile aberrante interpretazione che ha di fatto come obiettivo quello di dichiarare apertamente che la colpa di essere nati maschi non è emendabile?
    Il femminismo, o post femminismo, come lo definiamo noi appunto per significare la sua evoluzione negli ultimi 40 anni, è quello testè descritto, cara F.; è quello che concretamente e storicamente si è determinato.
    Secondo te il Comunismo (e chi scrive non è tacciabile di anticomunismo…) è stato quello che io e te avevamo e abbiamo nella nostra testa o quello che storicamente si è determinato (vale per tutte le ideologie, sia chiaro, ivi compreso il Liberalismo, ormai completamente sovrapponibile e sovrapposto al Capitalismo Assoluto e alla Ragione Strumentale auto fondata e fine a se stessa) ? E ancora (e mi riallaccio a quanto ti dicevo all’inizio di questo mio intervento) , lo stalinismo deve essere considerato solo il risultato della mente criminale e/o malata di un uomo altrettanto criminale e/o malato, oppure è l’inevitabile degenerazione di un modello politico (stato-partito) che comunque affonda le sue radici in una determinata concezione del “politico” e della politica , leggi concezione leniniana del partito e dello stato, comunque mutuata ed ereditata dalla scienza politica classica (il che non mi impedisce comunque di considerare storicamente Lenin un grande rivoluzionario, ma questo è un altro discorso…).
    La mia opinione, cara F., è che non te la puoi cavare (con te stessa, sia chiaro), raccontandoti che ci sono tanti collettivi di base femministi “buoni” e “autentici” sparsi per la penisola o per il mondo e che una cricca (molto nutrita…) di degenerate o prezzolate dal sistema ha tradito la causa. Sei troppo intelligente per non renderti conto dell’estrema debolezza di questo assunto.
    Arriva il momento per ciascuno di noi, per lo meno per chi è intellettualmente onesto, innanzitutto con se stesso, in cui bisogna avere il coraggio di affondare il bisturi anche dove fa troppo male. Mi sembra di avvertire la difficoltà che stai vivendo in questa fase, e non me ne faccio certo gioco. Al contrario, la rispetto profondamente, perché ci sono passato anch’io, come altri. Ma non puoi sfuggire, a mio parere, a te stessa e alla realtà. Hai dimostrato coraggio scegliendo di relazionarti con noi. Questa tua scelta, se me lo permetti, te lo dico come se mi stessi rivolgendo ad una vecchia compagna e amica, non è solo di natura politica. E’ presente anche una componente psicologica (come in tutte le nostre scelte) che ci racconta di una donna che ha avviato un processo di riflessione e di rivisitazione profondo e non ancora ultimato.
    D’altronde, ogni processo ha bisogno dei suoi tempi. Sappi fin d’ora che da parte nostra le porte saranno sempre aperte.
    Fabrizio.
    P.S. non ho esaurito il discorso sulla trasversalità politica del femminismo, sulla sua natura interclassista e sulla sua funzionalità nei confronti del sistema in quanto coperchio ideologico di un femminile che tutto è, oggi, tranne che un soggetto rivoluzionario anticapitalista…Ti risponderò a breve su questo e anche sugli altri punti, in particolare su alcuni che ritengo di particolare importanza. A presto”.

  8. Fabrizio Marchi says

    “per me è offensivo che si intenda il femminismo, storicamente antoautoritario e antigerarchico, come una forma di totalitarismo. se ci sono derive autoritarie non lo si deve alla natura rivoluzionaria del femminismo che dunque non puoi affatto paragonare ad ideologie totalitarie”. (Fasse)
    Già una volta posi la stessa identica questione a Fikasicula (che non mi rispose per la verità); quella riflessione, se vuoi, puoi trovarla su “tregua di genere”. Ma in ogni caso te la posso postare anche io.
    Ciò detto (se mi passi il termine di paragone, a mio parere molto calzante), applicando la tua stessa logica, ne consegue che le derive autoritarie di tutti i sistemi comunisti storicamente determinatisi non sono da attribuire all’ideologia comunista, per sua natura antiautoritaria e rivoluzionaria, ma ad altri fattori. Molto probabilmente a quel “cattivone” di Stalin e alla sua cricca e a quei burocrati degenerati con la dacia, la macchinona blu, l’autista e il libero accesso ai duty free shop per occidentali (mentre i comuni mortali facevano la fila sotto la neve al supermercato del sovchoz) , che hanno tradito la causa mandando a bagasce tutto quello che era possibile mandarci.
    Bè, se così fosse (ricordo sempre che chi scrive è un marxista, e non per sentito dire…) le cose sarebbero molto semplici e di facilissima risoluzione. Sarebbe sufficiente mandare a casa i “cattivi” (proprio come vorreste fare voi, mutatis mutandis, con quelle di Snoq), restaurare il “vero” comunismo” (nel vostro caso il “vero” femminismo) e tutto sarebbe risolto.
    E’ evidente, manco a dirlo, che il comunismo non è mica quella cosa “brutta” che si è “realizzata” dall’ URSS alla Romania, dalla Cecoslovacchia all’ Albania, dalla Bulgaria allo Yemen del nord, e via discorrendo. No, per carità, il “vero” comunismo è quello che abbiamo in testa noi, io, te, Fikasicula, i ragazzi dei centri sociali, un po’ di militanti di Rifondazione Comunista e una manciata di intellettuali occidentali (prima erano parecchi di più ma i tempi cambiano, come sappiamo…); quello che non si è mai realizzato ma che prima o poi si realizzerà…
    Mi sembra un po’ debole come interpretazione, non trovi? Io dico di sì, e credo che anche tu potresti essere d’accordo con me. La realtà è purtroppo che il comunismo storicamente determinatosi è stato proprio quella “roba brutta” di cui sopra. E la cosa ancora più amara da digerire è che le ragioni di quella degenerazione affondano le loro radici proprio nell’ideologia comunista stessa, per lo meno nella sua parte rilevante e maggioritaria che è quella che si è fatta stato e ha messo il suo cappello su tutto il movimento comunista internazionale, condizionandolo pesantemente .
    Ricordo che tra la fine degli anni ’70 e i primi degli ’80 feci un viaggio nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”. Parlavo con la gente con l’entusiasmo di un giovane militante comunista occidentale pieno di idee e di buoni propositi, spiegando loro che il comunismo non poteva essere quel sistema burocratico e poliziesco che li opprimeva e gli toglieva l’aria per respirare (e pure il passaporto per viaggiare), ma una società di uomini e donne liberi, eguali ecc. ecc. E quindi anche lì le cose dovevano cambiare, come da noi, che il comunismo avrebbe avuto la capacità di riformarsi…ecc. ecc. ecc.
    Gli sguardi di coloro che mi ascoltavano (come fossi un marziano) valgono più di qualsiasi parola che potrei scrivere… Al termine di questi miei soliloqui (perché ero solo io a parlare, e non solo perché sono logorroico…) mi chiedevano se potevo andare a compragli una stecca di Marlboro o una scatola di sapone liquido al duty free shop per turisti (dove loro non potevano accedere) evitandogli una fila chilometrica ai negozi di stato (dove naturalmente le Marlboro non c’erano, ma questo è un altro discorso…). Mi ci volle poco, devo dire, per capire quanto fosse stupido da parte mia insistere con quell’atteggiamento da pseudo intellettuale che voleva spiegargli che il comunismo non era la realtà che loro vivevano quotidianamente ma un’altra cosa…
    Non so se il termine di paragone è sufficientemente chiaro. Spero e credo di sì.
    Tornando quindi a noi, cara Fasse, capisco che per te e per molte altre donne, il femminismo avrà anche significato il sol dell’avvenire e la liberazione dalla sempiterna e insopportabile oppressione maschilista, ma posso garantirti che per noi (e, ne sono certo, anche per milioni di altri uomini, anche se non si esprimono) ha rappresentato, perché così l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle e sulla nostra carne viva, una ideologia (e soprattutto una prassi) fondamentalmente sessista, suprematista, colpevolizzante e castrante, anche se (ben) camuffata sotto gli abiti progressivi e progressisti della “liberazione” universale delle donne, degli uomini, dei panda e perfino dei cigni del laghetto di Villa Borghese….
    Non solo. Ha rappresentato e rappresenta, e qui viene il bello (si fa per dire…) il coperchio ideologico di un genere “femminile”, a nostro parere largamente maggioritario, che ha scelto di vivere secondo le logiche del sistema dominante, cioè della ragione strumentale e utilitaristica che è alle fondamenta dello stesso sistema capitalistico. Quanto ciò sia dovuto alla capacità pervasiva psicologico-culturale del sistema e quanto questo stesso meccanismo abbia attecchito su un terreno già di per sé fertile da questo punto di vista, è discorso troppo lungo e complesso che mi guardo bene dal fare ora e che rimando (spero ci sarà occasione) ad altro momento. In questa sede mi limito a ricordare che sia sul sito Uomini Beta, sia in alcuni libri (quello del sottoscritto e quello di Rino Della Vecchia), abbiamo affrontato questa tematica, e in particolare quella della diversità/asimmetria sessuale fra uomini e donne (argomento per voi tabù, ma tant’è…), e delle sue implicazioni, specialmente nella loro relazione con l’ideologia capitalistica dominante.
    Mi fermo, naturalmente, per le solite ovvie ragioni di tempo e di spazio.
    .

  9. fasse says

    Mauro non sono d’accordo.
    per me è offensivo che si intenda il femminismo, storicamente antoautoritario e antigerarchico, come una forma di totalitarismo. se ci sono derive autoritarie non lo si deve alla natura rivoluzionaria del femminismo che dunque non puoi affatto paragonare ad ideologie totalitarie.
    in quanto all’esercizio retorico che parla di sollevitazioni di leggi speciali e di xenofobia voi dimenticate e lo dimentica anche Mazzola, che fu il movimento femminista, unico in Italia tra gli antirazzismi, che elevò in modo consapevole e da una prospettiva di genere un fortissimo no al decreto antistupro, ai vari pacchetti sicurezza e ad ogni forma di persecuzione contro gli stranieri in nome delle donne e a difesa delle “nostre” donne così come veniva ripetuto da certa retorica fascista.
    il movimento femminista portò in piazza contro il pacchetto sicurezza 150mila donne. e tutto quello che alcuni dissero il giorno dopo fu soltanto che le femministe volevano alimentare politiche antimaschili.
    si può perdonare un giudizio dato da enorme pregiudizio a chi non sa o non legge o non coglie le sfumature delle azioni politiche ma non a chi come Mazzola parrebbe essere una persona che di politica ne capisce. Perché se ne capisci allora non solo sai che non ci piace urlare all’emergenza per sollecitare leggi speciali ma anzi ci opponiamo ad esse con tutte le nostre forze, spesso sole e senza l’appoggio di tutte le persone che rispolverano l’antiautoritarismo solo quando c’è da contestare il femminismo o le lotte contro la violenza sulle donne. e in questo caso, scusa, ma no, critiche di questo genere sono chiaramente ispirate da un pregiudizio di genere.

  10. mauro recher says

    secondo me ,invece di fare una guerra di numeri ,do morti (è peggio il fascismo o il comunismo ? E giù numeri di morti ,dimenticando che ,tutte e due erano delle dittature ,come se un numero maggiore portasse l’altra ideologia ad essere immune da critiche) ,sull’articolo di Mazzola ,forse si è trascurato il vero bandolo della matassa ,cioè questo passaggio —————————————————————–
    Abbiamo già vissuto un fenomeno analogo che ha prodotto gravi e irresponsabili danni (con la xenofobia imperante, con la caccia allo straniero, anche se non clandestino) grazie alla politica speculativa della Lega, ben sostenuta dall’intero Pdl, quando per anni si sono posti in risalto i delitti compiuti da alcuni soggetti extracomunitari, nascondendo le buone azioni di altri extracomunitari. La bufala dell’uomo nero e delinquente, a prescindere, ha ingenerato un clima di paura che ha poi portato tanti voti alla destra xenofoba. Una tale squallida politica ha però destabilizzato la società civile. Il cui prezzo è incomparabile, per tutti.
    ———————————————————————————————————————
    ho appena letto adesso che il Gasparrini ha “glissato” ,invece ,per il punto è fondamentale ,andando in giro per i siti e blog femministi ,c’è una “diffidenza” del genere maschile ,come dire “Si ,vero ,non tutti gli uomini sono uguali ,però non mi fido ”
    Cosa è dovuta questa “paura” ? Cambiano i soggetti e non le azioni ,perchè ,non si voleva cambiare la cultura anche all’extracomunitario? Non tutti sono cattivi ,però .davanti ad un extracomunitario ,cambio strada ….Dal dottore “quando vedo un extracomunitario ,io ho paura” ..C’è da chiedersi quando si cambierà strada davanti ad un uomo ?
    Grazio per l’attenzione

  11. fasse says

    Fabrizio, no, scusami, infatti il riferimento al confronto tra morti sul lavoro e femminicidi non lo faccio a te ma in generale. io parlo di generi e violenze sui generi in relazione proprio al ripristino di ruoli che per me, si, sono stabiliti da una cultura patriarcale. con ciò non voglio assolutamente dire che le donne siano eternamente oppresse perchè altrimenti staremmo qui a fare movimento interclassista invece che movimento misto non separatista. anzi rivendichiamo il diritto di poter dire che le donne sono oppressorE tanto quanto e nella storia di esempi di donne oppressorE ce ne sono tanti. da dove viene quella cultura per me è dato da chi aveva il potere di determinarla ed è la storia che mi racconta che erano gli uomini a comandare. con la complicità di chiunque abbia perpetuato quella cultura. ma il velo di oppressa dall’altro genere io me lo sono tolto da un pezzo e credo anche altre tra noi. il mondo è cambiato e non mi serve rimettere in discussione un pezzo di storia e rileggerla per parlare di egualitarismi e altre forme di rivendicazione perchè quela rilettura l’ha già fatta per me e noi chi si occupa di teorie e filosofie queer.
    se si può fare un momento di riflessione pubblica questo non so dirlo. deve stabilirlo il collettivo perchè il percorso di confronto tra alcune di noi e voi riguarda appunto alcune di noi e voi e non tutto il collettivo.
    quello che ti posso dire comunque come spunto di riflessione ulteriore è che a fronte del ragionamento che alcune di noi hanno fin qui tentato di fare quello che ha pubblicato mazzola è solo provocare lo scontro e dare più forza alle stesse persone che parlano di strage di donne e invocano leggi speciali.
    quello che ha fatto mazzola è delegittimare le stesse donne, come me, che lottano contro quelle derive autoritarie e legittimare, perchè le ha rese vittime di un attacco mediatico (“ciance”?), quelle che oggi possono rivendicare la necessità di un intervento forte a fronte di simili uscite. e quello che mi chiedo, e con me qualcun altra, è a parte che dare soddisfazione viscerale ad alcuni uomini feriti quale sia stato l’obiettivo politico di una uscita come quella di Mazzola. a cosa è servito buttare benzina sul fuoco?

  12. Fabrizio Marchi says

    “Quale sarebbe il percorso in avanti se a determinare l’avanti è un’unica direzione ovvero quella indicata da chi si affatica a tentare di mettere sullo stesso piano le vittime di femminicidio e le morti violente per incidenti stradali o le morti sui luoghi di lavoro?” (Fasse)
    Scusa Fasse, ma chi avrebbe mai fatto questo genere di equiparazione? Il sottoscritto mai, Uomini Beta men che meno.
    Se devo discutere di violenza di genere, che pure esiste, in un senso e nell’altro, anche se spesso in forme e modalità diverse (mi darai atto, spero, che quando si parla di “violenza di genere”, in ogni ambito, forse anche questo, ci si riferisce esclusivamente a quella subita dal genere femminile, mai di quella subita dagli uomini, e sì che di esempi te ne potrei portare a decine) , discuto di violenza di genere, non di morti sul lavoro. Non sono/siamo così a corto di argomenti (e neanche così maldestri) da rispondere ad una questione che ci viene posta svicolando e contrapponendone un’altra. Anzi, personalmente mi è accaduto spessissimo il contrario. Ricordo che una volta, durante un dibattito in una tv privata romana, l’allora presidente dell’UDI, mi rispose dicendo che se è vero che a morire sul lavoro sono quasi esclusivamente uomini, è altrettanto vero che a morire di aborto sono solo le donne…
    Ovvietà di questo genere a parte (che non meritano commenti per la loro banalità stupidità), la tragedia, di classe e di genere (ma il secondo aspetto è del tutto ignorato, guarda caso, come se non esistesse) viene da noi evidenziata non solo per denunciare il fatto in sé, comunque gravissimo (un’ ecatombe maschile che solo in Italia dal dopoguerra ad oggi ha causato tra le 150 e le 200.000 vittime, senza contare le centinaia di migliaia di feriti e invalidi), ma anche e soprattutto per sottolineare l’enormità del paradosso di una società che si dice essere ancora dominata dall’oppressione maschilista, nella quale però a morire sul lavoro erano e continuano ad essere gli “oppressori” al posto degli “oppressi”, anzi, delle “oppresse”, in questo caso. E’ come dire che nell’Alabama o nel Mississippi di un secolo fa, a morire nelle piantagioni di cotone non erano gli schiavi neri ma i padroni bianchi. Il paradosso, come ripeto, è talmente enorme, da diventare surreale.
    Ma questo non ha nulla a che vedere con il tema del “femminicidio”, che è una questione altra, rispetto alla quale io rispondo entrando nel merito, non parlando di morti maschi sul lavoro, di padri separati gettati in mezzo alla strada o di denunciati (falsamente) per molestie o violenza sessuale.
    Ciò detto, i temi che hai toccato, sono moltissimi. Non entro neanche nel merito perché dovrei scrivere per ore se non per giorni (non ho neanche il dono della sintesi, come molti sanno…) senza fermarmi e purtroppo non ne ho il tempo. Mi limito a dire che le contraddizioni che personalmente ravvedo nel tuo (forse vostro, non lo so, non posso dirlo perché non ho gli elementi sufficienti) modo di ragionare e di procedere, sono enormi, per lo meno stando a quanto hai scritto poc’anzi.
    Credo che, forse, se lo ritenete opportuno (mi rivolgo ovviamente, non solo a te, ma a tutto il vostro collettivo), sia giunto il momento di un confronto più ampio e approfondito che non può essere ovviamente svolto scrivendo poche righe su questo o quel blog, digitando su una tastiera.
    Se siete interessate, troviamo un modo, che può essere un incontro, una conferenza, anche informale, in un primo momento anche non pubblica, dove confrontarci e verificare se ci sono gli elementi necessari e sufficienti per un possibile comune, anche se pur parziale, percorso.
    Ciò detto, è però evidente che se la vostra reinterpretazione della storia, come mi sembra di scorgere dalle tue parole (il riferimento al patriarcato, come origine e causa prima di tutti i mali del mondo, è significativo, in tal senso), è del tutto sovrapposta a quella classica del femminismo di sempre (in tutte le sue correnti e sottocorrenti), fondata sulla riproposizione pedissequa del paradigma, o per meglio dire del “copia-incolla” della dialettica hegelo-marxiana, presa in prestito, trasposta e declinata in base ai propri desiderata (chi scrive è un marxista, o anche un marxista, sia pure non ortodosso) , cioè uomini sempre, comunque e dovunque oppressori, e donne, sempre, comunque e dovunque oppresse -una delle più grandi operazioni ideologiche di falsa coscienza mai avvenute nella storia (finalizzata a instillare in ogni uomo un inestinguibile senso di colpa), anche se non la sola, ovviamente – il cammino è oggettivamente in salita…
    Ma questo, eventualmente, lo verificheremo, se ce ne saranno le opportunità, in corso d’opera. Il dialogo, civile e rispettoso dell’altro/a, è di per sé un fatto positivo, anche quando non si addiviene a nulla.
    Noi, per quanto ci riguarda, siamo pronti.

  13. fasse says

    Ho capito Rita e quello che dici io lo avevo a mio modo analizzato qui http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/10/23/non-serve-nessuna-task-force-contro-il-femminicidio/
    ma in generale è da un bel po’ che abbiamo tirato il freno a mano perché alcune di noi si sono rese conto di aver sbagliato metodo di comunicazione politica con alcuni errori di valutazione anche seri rispetto alle possibili soluzioni. siamo militanti e facciamo del nostro meglio e con ciò non intendo giustificare ma quello che al momento ci preme, come mi pare di aver perfino letto tra le righe di quello che dice Mazzola, è il fatto che non si alimentino derive autoritarie che sono già in atto e quindi proponiamo continuamente una riflessione che rimetta in discussione una serie di cose, legislazione inclusa, proposte, campagne mediatiche. il rischio di una generalizzazione nell’accusa lo abbiamo affrontato e spero risolto e lo viviamo in maniera dinamica e sempre pronte a rimetterci ancora in discussione perché come dici tu non serve a nulla alimentare una atmosfera da terrore ciclico che richiama a leggi speciali. lo sappiamo. stiamo lottando contro questo.
    ma questa opposizione ai metodi e questa ricerca di ulteriori soluzioni pratiche è complessa e non può certo banalmente trincerarsi dietro numeri e opposizioni tra lotte distinte dai generi.
    quello che voglio dire, Rita, è che Mazzola è superato ma lo è nei fatti. lo è dalla vostra e nostra riflessione. lo è dalla nostra pratica politica e che dunque quel minimo di ragionamento, espresso per quel che mi riguarda in modo offensivo perché mi ferisce personalmente oltre che in senso politico, perché mi relega, a me, a interpretare un ruolo che non è mio, perché offende e svilisce la mia lotta, questo ragionamento di Mazzola non ha più senso. Non lo ha non solo per noi ma non lo ha per voi.
    Culturalmente è solo deleterio. E’ quello il passo indietro che obbliga noi a tornare a puntualizzare cose che dovrebbero essere discusse con più calma e in altro modo. E’ quello il passo indietro perché obbliga ad un corpo a corpo che noi pure in qualche modo respingiamo e rifiutiamo sempre in un’ottica costruttiva. E’ lui che vuole la guerra tra i generi e non noi. Questo deve essere chiarissimo perché se Fabrizio viene a dire a noi che è nostro il passo indietro allora non ha colto il danno enorme che una uscita del genere produce proprio in un momento in cui tutto il mondo urla alla vendetta contro gli assassini.
    E’ lui che ha superato il perimetro della barricata, si è piazzato in mezzo a chi discute e ha ordinato di fare la guerra. E’ lui che ha offerto spunti e motivi a chi si sente ferito per una ragione e per un’altra per ricominciare una guerra senza senso perchè è senza senso. E questa per me è una grave responsabilità politica che va anche molto oltre la questione in se’ o le sciocchezze che ha scritto.
    Di questo volete parlarne o siamo sempre e solo noi che dobbiamo affrontare queste bordate testosteroniche via Media senza dire una sola parola?
    Vi pare quello un modo per stabilire contatto e dialogo chiamare “ciance” le cose dette e scritte? Perché se quello vi pare un modo di buon senso per parlare di conflitti tra uomini e donne dove le donne ciancierebbero e gli uomini condurrebbero battaglie legittime e sofferte allora io non so davvero più che dire. Ecco.

  14. Patrizia says

    Parliamo di dati. Quelli riportati da Mazzola non attengono al femminicidio ma alla generica quota di donne tra i morti ammazzati, l’avvocato incorre in un errore grossolano.
    I dati sul femminicidio si possono consultare sempre dalla stessa fonte riportata da Mazzola, l’Unodc, a questo indirizzo:
    http://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/statistics/Homicide/Globa_study_on_homicide_2011_web.pdf (pag. 11 e pag. 57)
    dove si evince che le donne vengono uccise per oltre il 50% dei casi dal coniuge o ex coniuge (35%) o altri familiari mentre agli uomini questo accade per il 15% dei casi (per mano del coniuge nel 5%).

    riporto anche il commento dell’Unodc che cita proprio l’Italia:

    “Violence against women does not limit itself to one particular form, nor does it discriminate between contexts, circumstances and locations. But its most common manifestation globally is intimate partner/family-related violence, which at
    its most extreme ends in homicide. Women can and do kill their loved ones, yet the vast majority of victims of intimate partner/family-related homicide
    are females at the hands of their male partners, be they past or present.

    Indeed, in many countries intimate partner/family-related homicide is the major cause of female homicides, and female homicide rates are much more likely to be driven by this type of violence than the organized crime-related homicide typology that so affects men. For example, in 2008 more than a third (35 per cent) of female homicide victims in countries of Europe were murdered by spouses or ex-spouses and 17 per cent by relatives, while women account for more than three quarters (77 per cent) of all the victims of intimate partner/family-related homicide in the region. It is for this reason that in many countries the home is the place where a woman is most likely to be murdered,
    whereas men are more likely to be murdered in the street.

    Available time-series data show that over time intimate partner/family-related homicide levels have a tendency to remain fairly stable, meaning that in contexts of decreasing homicide rates the share of this type of homicide increases in proportion to others. In Italy, for example, intimate partner/family-related homicides, and its female victims in
    particular, now account for more homicides than the victims of mafia groups. On a far greater scale, in Asia dowry-related deaths still cost many thousands of women’s lives every year.”

    un’altra “dedica” all’Italia è il grafico a pagina 60, che mostra le quote di uccisioni per sesso e per motivo -di genere o per crimine organizzato, interessante darci un’occhio.

  15. RitaVergnano says

    1) non a caso ho precisato che sarebbe un lavoro che dovrebbero fare gli organismi sovranazionali e ong collegate. Mi pare di essere stata chiara, non voglio certo caricare “bollettino di guerra” di una responsabilità politica, ma casomai dare atto che si è interrogata sull’analisi, meglio di quanto “appare” facciano organismi sovranazionali deputati e investiti al colloquio coi governi mondiali.
    Nel caso lo ripeto, ma con questa frase
    “Ripeto è solo a titolo di esempio, queste sono analisi che dovrebbero fare organismi “organizzati” se mi passate il termine, sovranazionali e in collaborazioni con ong”, volevo proprio dire che più che eseguire “conteggi” di donne uccise servirebbe chiedere conto di come le conteggia chi parla di “strage” sui giornali. Perchè questo è il secondo punto, di capitale importanza, che suppongo abbia fatto saltare l’autore dell’articolo sulla sedia. Che scopo può avere parlare di “strage delle donne” sui maggiori giornali nazionali? Che effetto ha sulla psiche collettiva? Io, per esempio, sono tra quelle che non credo proprio serva a risolvere materialmente il problema ma casomai ad acuire e creare quel senso di disagio e di colpevolezza che s’avvita su se stesso.
    Cioè è questo secondo voi il modo giusto di rappresentare mediaticamente il fenomeno? Detto questo, ho detto il mio parere, (peraltro abbastanza noto) 😀 e quindi lascio stare perchè altrimenti si continua all’infinito sul “noi proponiamo soluzioni, voi non date soluzioni”. Io francamente, ma credetemi, lo dico senza polemica, e con nessuna intenzione di dirvi quali passi dovete o non dovete fare. Semplicemente non ho (mai) trovato utile la sterile rappresentazione mediatica del fenomeno col titolone “Strage di donne”. “Emergenza italica” . Io con questo intendo proprio dare visibilità al fenomeno, ma darla in un modo sbagliato. Cioè continuo a non vedere (e vabbè sarò miope) una scarsa “visibilità” del fenomeno. Se accendo la TV, su qualsiasi telegiornale, trasmissione di approfondimento che sia nel pomeriggio, in prima serata o in seconda, vedo nell’imminenza della tragedia una sequela di titoli con “strage e femminicidio, fermiamo il femminicidio, l’Italia al primo posto per la strage di donne”. Questa la chiamo visibilità autonominata. Come altro? E la vedo da un bel po’ francamente, da talmente tanto tempo che in genere spengo per sovraesposizione, pure a me che sono donna. Perchè mi fa quasi sentire una “fortunata sopravvissuta” nella giungla. Non oso pensare l’effetto che può avere in un soggetto maschile. Però le cifre continuano a restare quelle da anni. Mi permetto quindi di osservare che forse la strategia (perchè più che di soluzione parlerei di strategia) evidentemente non ha esito, anzi funziona al contrario se mi dite che aumentano.
    Per il resto ho già detto (e mi ripeto) che sono molto d’accordo con altre prese di posizione che spostano l’angolo della visuale. Ed è questo il punto in “essere” per quanto mi riguarda.
    Ahò.. giuro! fino ad un anno fa non avrei mai pensato che le “prime” a mettere in discussione certi teoremi e certi slogan foste proprio voi di FaS, datemi tempo di metabolizzare perbacco! Capisco anche il tuo punto di vista sul discorso nell’articolo di Mazzola, in merito al discorso delle percentuali statistiche di omicidi senza l’analisi dei moventi, ma continuo a vederlo come “inizio di una disamina” seria che vada oltre all’emozione del conteggio di ogni morta nella statistica delle vittime che fa nascere come risposta gli elenchi di ogni donna che compie una nefandezza per rispondere a questa battaglia iniziata dalla “nuova” cultura, chiunque sia quella che l’ha portata. Ma a mio avviso, il punto non è “non riconoscere il problema” ma proprio quello di cercare di incastrarlo in un’ottica più ampia. .. poi mi tengo per me i pensieri sul femminismo che ha scardinato la cultura 🙂
    Sarebbe un discorso infinitamente lungo, ci ho messo quattro anni per arrivare a questo percorso..non posso pensare di farlo in quattro righe, senza suscitare fraintendimenti

  16. fasse says

    Rita, il maschilismo è quello di chi tenta di ripristinare regole gerarchiche che vedono sulla scala dei poteri certi uomini su ogni altro genere. Dopodiché, ti giuro, ho già preso atto per tempo che questa costituisce una evidente differenza tra me e il mondo antifemminista, per esempio, ma non ne faccio un problema se in definitiva a prescindere dal fatto che tu ti interroghi sul fatto che la cultura patriarcale abbia segnato o meno la storia di chiunque, quello che a me interessa sono gli obiettivi e le soluzioni per una serie di disagi. E in questo senso, come dicevo rispondendo a Fabrizio e a Massimo, trovo abbastanza sterile e privo di utilità logica e pratica il fatto che io debba certificare le responsabilità sociali di una cultura oppressiva di certo non stabilita dai generi che non avevano voce in capitolo nello spazio pubblico. E questo non assolve nessuno e la lettura che ne consegue non inficia in assoluto la discussione pratica sugli obiettivi perché io non mi sento oppressa in quanto donna più di quanto non si senta oppresso oggi un lui in quanto uomo perché siamo tutti pezzi di una rete produttiva che arricchisce altri. La differenza di genere, le rivendicazioni di genere, sono trasversali a tutto e subito dopo io metto le rivendicazioni di classe.
    Con molta onestà intellettuale ti dico che davvero non colgo la necessità di porre in dubbio il fatto che c’è stato un tempo in cui le donne non potevano neppure parlare. In quali modi le donne silenziate abbiano collaborato alla perpetuazione di uno schema e di una cultura non è di certo secondario ma la costruzione gerarchica e sociale era di un pater, familias, o comunque di un patriarca che in alcuni luoghi e settori esiste ancora oggi, poi c’era la madre e poi i figli eccetera. Come all’interno di questo schema gerarchico agivano le parti che non avevano potere di comando e decisione possiamo discuterlo quanto vuoi ma qui e oggi c’è da risolvere un problema. E c’è da farlo insieme. Tutti i generi uniti/e e senza indugi. Compagni, compagne, madri, padri, uomini, donne, gay, lesbiche, trans, tutti oramai costretti a svolgere ruoli che non vogliono svolgere.
    E vorrei definire un dettaglio: le rivendicazioni di genere, di altri generi, incluse quelle degli uomini, dei padri, sono possibili perché le donne hanno rotto uno schema e una breccia con le lotte femministe. Senza il fragore e il casino fatto per rimettere in discussione ruoli in famiglia neppure i padri oggi potrebbero rivendicare di essere genitori paritariamente in modi fino a 30/40 anni fa impensabili.
    E allora semmai il punto è distinguere tra le varie correnti che il femminismo ha generato e ce ne sono alcune che sono responsabili di regressi e altre che tentano di andare avanti facendo delle cose assurde e altre che hanno approfittato delle lotte per autoassolversi e portare avanti politiche neoliberiste e massacranti. E altre che sono assolutamente funzionali ad uno schema in cui i poteri sono segnati ancora da una rigida gerarchia sociale ed economica che esige per ragioni di mercato, per questioni di profitto, per capirci, perchè interessa a chi ha i soldi, che si torni ad un ripristino di ruoli sociali in cui le donne restino a casa a produrre figli e cura gratuitamente e gli uomini fuori a fare gli operai sottopagati che mantengono le famiglie. Lo sfruttamento ci colpisce tutti e tutte e dunque oggi, no, il passo indietro, il regresso, finanche il backlash gender io non lo addebito ad un maschile troglodita che certo esiste ma è marginale e non influenza nessuna decisione, quanto ai poteri economici che risistemano in chiave conservatrice per reincasellarci tutti quanti per dare fiato ad un becero modello di nuovo schiavismo e produttività capitalista.
    A fronte di tutto questo vorrei capire, e lo chiedo ancora, qual è la ragione per cui uomini e donne dovrebbero scannarsi e perché le rivendicazioni rispetto al femminicidio o alla paternità, per dire, debbano essere in conflitto perché io le vedo invece come una unica battaglia da fare proprio in ragione della sconfitta di quel ripristino di regole che si ispirano alla cultura patriarcale per renderci funzionali alle regole di mercato.

    in quanto a Bollettino di Guerra non ha mai avuto, che io sappia, la pretesa di essere un osservatorio che certo dovrebbe esserci. è uno strumento di documentazione militante e dunque serve per fare analisi militanti con umiltà. che poi su scala nazionale decidano di attingere da lì per sparare numeri a muzzo per parlare di femminicidio scordandosi che maralibera conta anche gli uomini e i bambini e ora si metterà a contare anche altre categorie di soggetti non è di certo colpa nostra.

  17. RitaVergnano says

    “Scrive di neutralità e compie un grande errore, spero involontario, mettendo sullo stesso piano femminismo e maschilismo come farebbe il più disinformato dei sessisti perché non puoi mettere sullo stesso piano il razzismo e l’antirazzismo in quanto hai avversione per ogni forma di “ismi””

    Il punto è qua a mio avviso: se si assume l’ovvietà che “femminismo” è la presa di coscienza del sé femminile e la conseguente battaglia per i diritti per “sé” (e di battaglia in battaglia, si arriva appunto a definire il “delitto d’onore” femminicidio) si compie un passo identico a quello di cui si accusa l’altro, secondo me.
    Premesso che io non sono mai stata d’accordo su questo punto, il femminismo (storico e non) ha come elemento fondante l’idea che il mondo sia stato costruito e pensato sul modello maschile (escludendo l’altro da sé, in questo caso femmina) con l’ovvia conseguenza che, mi pare, citi pure tu nell’articolo
    “cioè di un genere contro tutti gli altri, donne in testa, e la reazione del femminismo che è fatto di migliaia di teorie e pratiche tese a superare quel perimetro di oppressione e a recuperare egualitarismo tra i generi, tutti.”
    L’ovvia conseguenza cioè, che ci sarebbe un genere oppressore da sempre e un genere oppresso, disperatamente attivo nel tentare di superare il perimetro in cui è confinato.
    Non mettiamoli sullo stesso piano no, ok, però “maschilismo” è un termine che nasce proprio a seguito dell’emancipazione femminile, come contrapposizione negativa delle battaglie “buone”. Ma a questo punto., posto che il femminismo (o i femminismi) sono stati la battaglia dal punto di vista femminile (certo con l’utopia che liberare le donne sia liberare tutti, ma sinceramente da un punto di vista storico anche la “parte” maschile potrebbe addurre le stesse motivazioni- che il mondo era costruito per il bene di “tutti” con l’apporto di “tutti” i due generi in termini psicologici, sociologici, antropologici e compatibilmente con le mutate condizioni ambientali nel corso del tempo e dei luoghi) come vogliamo definire le problematiche di genere maschile e la loro rivendicazione? Indefinibile?

    Sì la battaglia è sui numeri, mi pare ovvio. No, non ci sono 60/70 uomini uccisi per ragioni di possesso “materialmente” da una donna.
    In genere anche i delitti d’”onore” di cui sono vittima gli uomini sono compiuti da altri uomini, è vero. O meglio la mano è la loro. I mandanti molto spesso non si sa (tra l’altro Warren Farrell in America nel suo libro “il mito del potere maschile” oggi introvabile, fa un’analisi anche “oggettiva” dei delitti compiuti da uomini con mandante donna che molto spesso, se non sono più che eclatanti non assurgono all’onore della cronaca e nella statistica restano come omicidi di uomini su uomini)
    In questi casi ce la si cava dicendo che il mandante è la cultura patriarcale e maschilista, di fatto rimandando di nuovo a una responsabilità di genere.
    E torniamo ad un punto morto, secondo me. In cui ci saranno sempre coloro che ravvedono nel termine stesso un “privilegio” riservato a questo particolare tipo di violenza quando compiuto nei confronti di donne.
    Molto studio ci sarebbe da fare in questo senso per andare proprio alla radice dei moventi e delle motivazioni degli omicidi cosiddetti “passionali” o in ambito familiare tra partner.
    Ho visto che “bollettino di guerra” ad un certo punto aveva iniziato ad elencare anche le vittime collaterali (intese come uomini rimasti uccisi in queste tragedie, come i partner attuali della vittima o i parenti- penso al nonno di Stefania Noce, per esempio). Però non è un lavoro semplice. Servono (servirebbero) analisi di esperti, piattaforme di studio che cominciassero ad elaborare i moventi.
    A titolo di esempio io ricordo il caso di un uomo che uccise la moglie perché lei NON voleva la separazione, fra i tanti casi elencati di “femminicidio”. Ok c’è l’elemento dell’omicidio fra partner, c’è l’elemento della violenza sulle donne, ma non c’è l’elemento del possesso, in questo caso.
    Ripeto è solo a titolo di esempio, queste sono analisi che dovrebbero fare organismi “organizzati” se mi passate il termine, sovranazionali e in collaborazioni con ong.
    Ma io mi chiedo sempre di più se questi organismi non seguano strade politiche imperscrutabili, in maniera consapevole o inconsapevole, lontani dall’obiettività statistica (.. che significa analisi senza pregiudizi di alcun tipo, ponendosi dal punto di vista meramente scientifico nell’assemblare i numeri)

  18. fasse says

    Io ovviamente non trovo affatto che sia un passo indietro. Un passo indietro rispetto a cosa? Quale sarebbe il percorso in avanti se a determinare l’avanti è un’unica direzione ovvero quella indicata da chi si affatica a tentare di mettere sullo stesso piano le vittime di femminicidio e le morti violente per incidenti stradali o le morti sui luoghi di lavoro?
    Ci sono persone che muoiono ogni giorno per ragioni diverse. E non c’è, almeno per quel che mi riguarda, nessuna scala di priorità.Ho eguale attenzione verso una persona che muore per mancata sicurezza sul lavoro che per una vittima di femminicidio. Ma Le due cose sono diverse e diversamente vanno trattate e risolte. A monte ci sono cause differenti e non riconoscere questo dato mi pare un po’ miope.
    Il femminicio è una modalità sistematica di ammazzare le donne perché le si reputa di proprietà di qualcuno, inferiori, controllabili, alla mercè di chi decide per te cosa devi fare nella vita. E’ frutto di una mentalità usa e getta che considera i corpi delle donne di proprietà di uomini che non pensano che quei corpi siano guidati da volontà propria.
    E’ una mentalità che in Italia si chiamava dal punto di vista legislativo “delitto d’onore” ma si chiama anche in altri modi e continua a perpetrarsi anche oggi con il potere di vita e di morte che un uomo, ex fidanzato, marito, compagno, esercita sulla ex compagna o sulla compagna attuale.
    Capisco che per la maggior parte degli uomini questo non venga riconosciuto come un problema perché probabilmente chi scrive non ha proprio di questi problemi, non ha mai ritenuto di possedere una donna né di fare l’atroce scelta di obbligarla a stare con lui perché non era in grado di accettare la fine di una storia ma esistono situazioni, e ne esistono tante, in cui queste modalità ripercorrono le relazioni e tale mentalità legittima questi delitti che non sono motivati da altro che dal possesso.
    Se non risaliamo alla causa non possiamo stabilire che si tratta di una modalità barbara di sancire un diritto proprietario, mia o di nessun altro, che non è uno slogan, nons i tratta dell’ennesima statistica di cui personalmente me ne frego, ma si tratta di una mentalità diffusissima che comunque vogliate definirla va combattuta. E per combatterla bisogna capirne l’origine, l’obiettivo e tentare di prevenire. Questo è il lavoro che facciamo anche noi ed è un lavoro che in termini di responsabilità sociale non può assolutamente essere trascurato. Se a voi non interessa occuparvene perché avete altri delitti di cui occuparvi e altre priorità nessuno viene lì a dirvi e allora occupatevi anche di femminicidio perché altrimenti ci offendete con il continuo riferimento ad un unico problema. Semmai siamo noi a interessarci diq uello che fate e a tentare di capire se e come possiamo dare una mano. Qui nessuno, fino ad ora, ci ha mai detto, a prescindere da come vuoi chiamare questo fenomeno, che vuole collaborare e proporre per fare in modo da trovare soluzioni.
    Perché la soluzione per prevenire un delitto commesso dalla criminalità organizzata non può essere la stessa che per un femminicidio. La soluzione che adoperi per prevenire un delitto a seguito di una rapina non è la stessa che trovi per un femminicidio. E se vi scoccia che le donne decidano di autonominare autodeterminandosi una cosa che succede, che ci succede, affinché sia riconoscibile quando invece viene culturalmente confusa, mischiata, dimenticata, io non capisco cosa proponete in cambio. Qual è la controproposta. Perché è troppo semplice andare a pescare il dato numerico per cui le donne morte sono più in svezia che qui. ovvero è un dato che può servire a me per dire che non basta una legislazione repressiva per risolvere e io assumo quel dato e ne faccio tesoro ma questo vuol dire che le donne che qui muoiono devono continuare a morire?
    ripeto che davvero non capisco il punto. io sono d’accordo sul fatto che non si debba farne motivo di richiesta di provvedimenti repressivi e autoritari ma questo non impedisce a me dal punto di vista culturale di cercare di prevenire. e la faccenda culturale, qui in italia, si compone del fatto che siamo ancora fermi e ferme ad una mentalità in cui se un marito ammazza la moglie i media dicono che lui era geloso e che l’amava tanto.
    sono certa che voi su queste cose non siate d’accordo e che come me considerate la maniera in cui vengono trattati questi delitti assolutamente anacronistica. e dunque ditelo. in italia accade questo e siccome vogliamo migliorare, si spera, dovrà accadere altro di diverso e migliore.
    occuparsi di questo non toglie dignità ad altre lotte e altri bisogni. a noi non interessa che il tema sia mainstream oppure no. qui non ci guadagniamo nulla se vive o muore una donna per mano di un uomo violento. ma è una necessità di cui sentiamo di occuparci, dal personale al politico, esattamente come fanno i padri separati che dal personale al politico staccano un fenomeno dagli altri e lo fanno emergere per tentare di trovare una soluzione ai loro disagi.
    la prospettiva per guardare alle soluzioni per i femminicidi è di genere perchè sono delitti con una chiara connotazione di genere così come lo è lo stupro.
    la connotazione di genere si inserisce nella scia di delitti compiuti e direttamente discendenti dalla cultura patriarcale che unisce odio di genere e controllo per le donne, i gay, le lesbiche, le trans e gli uomini che non sono fedeli ai ruoli assegnati.
    I padri, per esempio, sono tra questi perché non si rassegnano a fare i genitori come si voleva un tempo, con esclusiva responsabilità di pagamento ma vogliono occuparsi della cura del proprio figlio. e il fatto che a loro sia così difficile raggiungere lo scopo deriva proprio da una cultura patriarcale che ha insignito alle donne e lo impone ancora il ruolo di madre/cura e agli uomini quello di riproduzione/mantenimento. chi poi veicola quella cultura, donne, uomini, chiunque, non ha importanza. ma tutta la nostra struttura sociale è attraversata da problemi derivanti da una cultura che discrimina i generi, tutti i generi, se non aderiscono ai ruoli assegnati.
    in tutto ciò chi ha rivendicazioni di genere da fare, per sganciarsi dai ruoli imposti, gay, lesbiche, trans che segnano e nominano per distinguerli i delitti di stampo omofobico, lebofobico o transfobico, non viene qui a dirmi che il femminicidio non esiste perché i delitti che vedono come vittime alcune donne sono identici a quelli che vedono come vittime gay, lesbiche, trans, perché la stessa radice ma diverse le cause, diversa la soluzione, diverso il ragionamento culturale a monte e diversa la battaglia da fare. lo stesso vale per gli uomini, i padri. non siamo noi a dire loro che le vittime di cui parlano, di qualunque genere, siano da confondersi con tutte le altre perché ogni problema ha una sua specificità, c’è una battaglia culturale da fare e dunque una soluzione da individuare.
    dunque davvero non capisco perchè tanta ostinazione nel cercare, tra tutti e tutte, di ridimensionare, banalizzare ed escludere dalle battaglie di genere un fenomeno così ampio e deleterio quando riguarda le donne.
    Sono le donne il problema? perché se il problema sono le donne, giusto quelle, allora il ragionamento che sta a monte è quello si un passo indietro. un enorme passo indietro perché cercare e trovare spazio per una rivendicazione di genere che finalmente riguardi gli uomini, inclusi quelli etero, non significa dover invisibilizzare le rivendicazioni delle donne. in special modo se le due cose non sono in conflitto.
    combattere contro il femminicidio è in conflitto con le rivendicazioni di genere degli uomini? e se si, perché è quello che ha detto Mazzola e di quello parlo, se la lotta contro il femminicidio opprimerebbe la lotta dei padri e per un diverso diritto di famiglia in che modo questo accade? perché la mia lotta per non fare morire delle donne ammazzate deve inficiare la lotta di un padre che vuole stare con suo figlio?
    questo è il punto. in concreto. dunque parliamone ma parliamo di cause e soluzioni.

  19. Alessandra says

    @Marchi: Le donne conteggiate, le famose 101, non sono quelle uccise da una tegola in testa o da un incidente stradale. E sono proprio una ogni due/tre giorni. Lei ha il diritto di avere il suo punto di vista che è poi quello classico, il fatalismo, l’insignificanza del fenomeno sulla vastità della popolazione nazionale, che è poi l’opinione largamente predominante al di là degli articoli di giornale o dei libri sul tema. Se altre persone si sentono a disagio con questi fatti, hanno però il diritto di parlarne e di chiedere visibilità, di invocare un cambiamento alla radice di queste vicende. Se vi dà così fastidio, dovreste chiedervi sinceramente perché.

  20. Fabrizio Marchi says

    Trovo che questo articolo di FaS , abbastanza scontato, per la verità, per lo meno dal mio punto di vista, sia un passo indietro rispetto al percorso, anche coraggioso, che sta compiendo quel movimento. Specie in considerazione del fatto che l’articolo di Mazzola rappresenta una mosca bianca nel mare magnum della comunicazione a senso unico che continua indefessamente nella sua sistematica operazione di colpevolizzazione e demolizione psicologica e morale del genere maschile (operazione in sé qualunquista, interclassista, politicamente trasversale, sessista e razzista).
    Peraltro, è il termine stesso di “femminicidio”, anche dal punto di vista semantico (il linguaggio è come la matematica: non è mai casuale) che contiene quel concetto di criminalizzazione del maschile di cui sopra.
    Il termine “Femminicidio” deriva infatti da “genocidio” , ed è a quest’ultimo che vuole richiamare, anche e soprattutto da un punto di vista psicologico di massa.
    Voglio ricordare che fino ad un paio di anni fa circolava, o meglio, era stata diffusa ad arte da tutti i media, fino a farla diventare immaginario comune, una macroscopica quanto spregevole menzogna (diventata un vero e proprio mantra ripetuto come una filastrocca in ogni dove), in base alla quale la prima causa di morte nel mondo per le donne era la mano omicida degli uomini. “Ne uccide più l’amore del tumore”, questo lo slogan (lo ricordo bene). Più del cancro, più di ogni altra malattia, più delle carestie, delle siccità, degli incidenti stradali, delle guerre (chi vuole approfondire, volendo, può leggere questo articolo pubblicato sul nostro sito http://www.uominibeta.org/2012/05/13/la-grande-menzogna/ ) .
    Poi, pian piano, dopo anni di martellamento mediatico, la menzogna ha cominciato a venire a galla. Addirittura Amnesty International (così come l’Unicef) è stata costretta a smentirla un paio di anni fa, lo ricordo bene, con un trafiletto sul suo sito ufficiale – come usano fare tutti i media dopo che per anni hanno creato un mostro, sbattuto in prima pagina, rivelatosi poi innocente (ma intanto lo hanno demolito) – in cui spiegava appunto che la notizia era fondata su dati falsi e non provati.
    Ora, sarebbe lecito (e soprattutto doveroso) chiedersi, e invito tutte e tutti ad una riflessione in tal senso, come sia stato possibile che una menzogna di siffatte proporzioni potesse essere trasformata per anni ed anni nella verità assoluta. Il bello (si fa per dire…), miracoli del potere mediatico, che da un momento all’altro, non se ne è più parlato (chi scrive è uno che per una buona parte della sua vita ha lavorato, sia pur modestamente, nell’ambito della comunicazione, e sa di cosa parla…). Come ripeto, vuoi per una ragione, vuoi per un’altra, la “grande balla” era venuta alla luce, e di conseguenza non era più credibile. Ciò non toglie che quella grande, gigantesca, ciclopica bugia abbia contribuito a costruire un clima, a forgiare coscienze (falsa coscienza), a condizionare psicologicamente intere masse umane di donne e di uomini, e a tradursi in atti politici concreti (leggi leggi repressive, liberticide e antimaschili).
    Ora non se ne parla più. Ai piani alti hanno deciso di cambiare strategia. Ora lo slogan è diventato “ogni due/tre giorni una donna viene uccisa”. Naturalmente ci si guarda bene dall’indagare più di tanto, anzi, non si indaga affatto. Perché se lo si facesse si scoprirebbe che non tutte le donne uccise sono vittime dell’”amore” (o della spregevole oppressione maschilista, a seconda dei punti di vista), che molte vengono assassinate per le stesse ragioni per le quali vengono assassinati anche gli uomini (che sono vittime di omicidio in misura quattro o cinque volte superiore alle donne), che un parte, mediamente tra il 20 e il 25%, vengono uccise da altre donne, che una cinquantina o una sessantina circa di “femminicidi” (anche se fossero cento non cambierebbe nulla) ogni anno su una popolazione di trenta milioni di donne e trenta milioni di uomini non costituiscono neanche il barlume di un fenomeno degno di essere annoverato fra le statistiche (qualsiasi serio esperto di statistica, non a stipendio, potrebbe confermarlo…) e che l’Italia, considerato da sempre come uno dei bastioni del maschilismo più duro a morire, le donne uccise sono molte, ma molte di meno (da quattro a cinque volte) rispetto a quelle uccise nelle evolutissime, civilissime e soprattutto femministissime Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Germania, Francia e via discorrendo (chi volesse approfondire può leggere http://www.uominibeta.org/2012/10/19/il-femminicidio-finlandese/) .
    Naturalmente ora sarebbe necessario aprire una lunga riflessione sul tema della violenza, argomento a dir poco complesso, di come viene esercitata, da chi viene esercitata, con quali modalità, in quali forme e via discorrendo. Non lo faccio, per ovvie ragioni di spazio e tempo. Chiunque fosse seriamente intenzionato a farlo sa come contattarci: siamo disponibili in qualsiasi momento a pubblici confronti.

  21. Massimo Rosini says

    Io credo che la violenza vada combattuta a prescindere da chi sia la vittima: uomo donna bambino …ecc. … Da bambino mi è capitato più di una volta di innescare una rissa per difendere mia sorella dai bulletti di cortile (mia sorella ha tre anni più di me …mannaggia) lei era dolce ed incapace di concepire che qualcuno fosse scorretto … oggi ho una figlia ed il solo pensiero che qualcuno la tocchi… questo per dire quanto sono avverso alla violenza specie se sui più deboli. Detto questo con quali metodi fermare gli idioti che si credono proprietari di qualcun’altro e si ritengono in diritto di picchiarlo,ucciderlo? …Anche impedirgli i contatti con chi gli vuole bene non è una forma di violenza? A quest’ultimo problema forse il rimedio esiste al primo non riesco ad immaginarlo però se esiste …ben venga. Però non farne mai una questione di genere: la violenza è violenza da chiunque e contro chiunque esercitata in qualsiasi modo …anche psicologico.

  22. Alessandra says

    @Fabio: Se il punto sono i numeri, credo proprio che i numeri descrivano un fenomeno statisticamente rilevamente. Credo inoltre che un uomo abbia molte meno probabilità di essere ucciso da una donna per motivi “d’onore”, che una donna da un uomo. Credo infine che non ci sia nazione al mondo che non conosca questo fenomeno, o che conosca in misura maggiore il fenomeno inverso. Ma il problema non sono “gli uomini” o “le donne”, ma la mentalità malata in cui molti e molte crescono, che nella maggior parte dei casi non genere morte ma vite piene di sofferenze, soprusi, anni gettati alle ortiche. Per me è un motivo sufficiente di preoccupazione e riflessione.

  23. °°°@ says

    Mazzola dimostra di non aver capito un tubo proprio per le statistiche che riporta, che si riferiscono alla percentuale di donne fra le vittime di omicidio, cosa che non ha alcun senso. Sarebbe come dire che siccome le vittime di mafia sono meno della metà delle vittime totali, allora non sono vittime di mafia. Però il suo errore è talmente grossolano che se qualcuno glielo dice magari lo capisce.

    Quello che ha magari senso discutere, anche se è una questione complessa e non è il caso di farla è in che maniera questi omicidi fanno parte di un fenomeno. Che si riverbera poi chiedendosi in che modo la stampa ne dovrebbe parlare.

  24. °°°@ says

    @ Fabio

    il tuo ragionamento non ha senso dal punto di vista logico. Il femminicidio, qualsiasi cosa esso sia, si manifesta o non si manifesta se l’evento a cui ci riferiamo è legato in maniera diretta al significato che diamo al femminicidio. I numeri non c’entrano nulla.

  25. Fabio says

    @fasse

    Ero dell’impressione che l’argomento fosse “l’esistenza del femminicidio” e non le soluzioni allo stesso.

    Prima di dare soluzioni a qualcosa dobbiamo stabilire se quel qualcosa esiste in quanto fenomeno in sé e non piuttosto, come sfaccettatura di un fenomeno ben più ampio e che non riguarda solo un genere. Ribadisco: non escludo che esista il fenomeno del femicidio/femminicidio, ma avrei bisogno di vedere numeri certi per stabilirlo.

    Sono invece pressoché sicuro che esista violenza ai danni dei più deboli, qualunque sia di volta in volta il soggetto più debole.

    Ad ogni modo, non capisco perché tu le soluzioni le voglia da me, piuttosto che chiedermi di collaborare insieme a trovarle.

  26. fasse says

    Fabio non mi hai ancora detto quale soluzione pensi sia necessaria per fare in modo che i delitti d’onore o femminicidi finiscano.
    100, 80, 60, è importante? Le vogliamo fare morire perché TU non puoi prescindere dai numeri?
    Sul piano pratico vorrei mi suggerissi la tua soluzione. Misurati su questo. Altrimenti non sto qui a discutere con te se e come i delitti sono o non sono appannaggio di un solo genere perché io non faccio assurgere a caso generale quello particolare. Mi sono casomai ritrovata a vivere personalmente una cosa che era conseguenza di una cultura generale. Ed è la stessa cultura che fa morti anche tra gli uomini perché di cultura patriarcale e di possesso si muore in tanti.
    E in ogni caso, ripeto, potrei dirti la stessa cosa anch’io. Perché la questione dei padri è una questione di genere? E perché dovrei considerarla fondamentale se sono “solo” casi particolari che si fanno assurgere a condizione generale?
    Ti sembra un piano di discussione accettabile? A me sembra abbastanza miserrimo e di assoluta mancanza di sensibilità ma anche di conclusioni pratiche.
    Dammi una soluzione. O ti interessa qui, sulla mia pelle e su quella di ragazze uccise di recente, puntualizzare senza rispetto per ciò che penso io – perchè il rispetto delle differenze è fondamentale, senza che si provi a convertirci ad altre religioni – soltanto che per quello che ti riguarda non è una questione di genere? Se è così, ripeto, non c’è confronto perché prima che scannarci sulla tua idea a tal proposito bisogna che ci parliamo di cose pratiche. Dammi una proposta pratica per risolvere questi delitti. Grazie.

  27. Fabio says

    @fasse

    Se si parla di un fenomeno generale non si può prescindere dai numeri. Se si parla invece di casi particolari allora anche il sottoscritto potrebbe avere qualcosa da dire nel merito di violenze subite, e non da uomini.

    Si fa troppo spesso l’errore di assurgere a condizione generale quello che è il proprio caso particolare, e questo non rende giustizia a nessuno, men che meno alla verità dei fatti.

    Mi dispiace per la tua situazione personale ma, credimi, non sei l’unica ad aver cose da raccontare, e cose da raccontare ne hanno anche gli uomini. O davvero pensi/pensate che la violenza, persino fisica, persino quella che sfocia nell’omicidio, sia appannaggio solo di un genere? se

  28. fasse says

    Scusa Fabio, mi vedi? Ti sembro una cifra? Un numero? Vuoi parlare con me? Allora l’asetticità la vai a cercare all’ospedale o in obitorio. A me la contabilità ragioneristica non interessa.
    Devo farti lo stesso ragionamento cinico? Quante donne sull’orlo della povertà e quanti uomini? E quanti padri? Eccetera eccetera. Questo è il modo in cui discutono alcune. Non io. Ed è tutto molto triste, davvero triste ed è di una mediocrità, perdonami, spaventosa.
    Sei un padre che ha problemi? Non mi permetto MAI di esigere di discuterne in modo “asettico” perché i suoi problemi sono seri, li vive sulla sua pelle e io impiego empatia, hai presente?, per ragionare di quello.
    Io sono una donna che ha vissuto un grave problema di violenza. Sono quasi morta per un quasi delitto d’onore e con me qui altre persone hanno avuto brutte esperienze, non tutte per fortuna. Non ne faccio una questione di coinvolgimento emotivo alla faccenda perché non è così ma vedo tante altre meno fortunate di me che muoiono per la stessa identica ragione.
    Hai una soluzione? Fai uno sforzo mentale per dirmi come tu vorresti impedire questi delitti? Perché li vuoi impedire, vero? E se non ti interessa impedirli allora non abbiamo nulla di cui discutere. Come ho scritto nel mio post comunque tu lo voglia chiamare è una tipologia di delitto diversa da altre, ha una connotazione di genere e non è da risolversi prima né dopo. Ma è da risolversi e dunque dammi la tua soluzione perché di cifre e numeri e cose asettiche non discuto. Grazie.
    Rispetto e riconoscimento per il dolore altrui è una chiave di accesso per ogni confronto costruttivo. La negazione del mio problema pronunciata in modi così pretestuosi dice che tu quel confronto semplicemente non lo vuoi.

  29. Fabio says

    L’articolo di Mazzola pone una questione di meri numeri, cita delle statistiche ed in base a quelle imbastisce un ragionamento.

    Se non si è d’accordo col ragionamento, bisogna spiegare perché, tenendo però bene a mente le statistiche. Buttarla sul filosofico, come mi appare si fa in questo articolo, può essere utile, ma fino ad un certo punto, se poi i problemi si vogliono affrontare davvero.

    La questione semplicemente è: esiste TANTA violenza sulle donne che sfocia poi in omicidio da giustificare il termine “femminicidio”, sottolineando una differenza tra generi?

    Per amore di verità e scientificità, analizziamo la questione asetticamente leggendo i numeri. Quel che c’è da conoscere semplicemente è:

    1) Quanti assassini uomini ci sono, e quante donne?

    2) Mettiamo che ci siano X% assassini uomini, le donne vengono ammazzate da uomini in percentuale maggiore o minore di quell’X%? Se la percentuale è maggiore in maniera statisticamente rilevante, allora possiamo parlare con legittimità di omicidi che hanno alla base la differenza di sesso, altrimenti no.

    Tanto semplice.

    Tiriamo fuori questi numeri, che neanche Mazzola tira fuori (è fuorviante tirare in ballo solo la percentuale di donne uccise senza sapere da chi sono state uccise ed in che percentuale), e discutiamone in maniera asettica e scientifica, sì?

  30. Alessandra says

    @Matteo Anch’io credo che non ci sia un omicidio più grave di un altro e non mi illudo sui miglioramente dell’umanità. Credo tuttavia che una fattispecie di omicidio particolarmente futile ed evitabile come il femminicido o comunque lo si voglia chiamare, insomma l’ex delitto d’onore, figlio di una non-cultura misogina che non ne vuole sapere di evolversi, meriti attenzione. Quelle vite che si perdono per una sciocchezza potrebbero essere risparmiate se si cercasse di diffondere una concezione delle relazioni meno malata (forse mi illudo, ma ci credo). Questo non vuole dire odiare gli uomini né accusarli in blocco di alcunché.

  31. Matteo says

    Ho letto l’articolo in questione, e mi sembra che si stia travisando il nocciolo dello stesso..in nessun punto c’è stata una negazione della violenza verso il femminile bensì si è posto l’accento sull’eccesiva e deleteria esposizione mediatica del fenomeno.
    Perchè come lei ben sa le dinamiche di suggestionamento della massa sono alquanto diverse da quelle del singolo individuo. Perchè dove io ( e anche lei penso) ravviso uno spunto di riflessione, per la massa si trasforma in isteria. Il problema di denigrare il genere maschile tutto ed invalidarne il suo riconoscimento sociale è reale. E la prova si può trovare nei risultati di simili campagne di bombardamento nel caso di altre tematiche (percezione dello straniero, antieuropeismo, islam…). Non vuol dire negare il problema ma di evitare anche effetti collaterali.
    Anche perchè tra il mondo del femminismo, di cui lei ha dipinto le qualità in contrapposizione al maschilismo, spiccano gruppi che tutto cercano fuor che una effettiva parità. E questo è innegabile, come tutti i movimenti nasconde anche degli aspetti negativi. E questa informazione/suggestione negativa fa loro gioco forza.
    Chiudo con una riflessione personale. Con il termine femminicidio si continua a incanalare il tutto in una tematica di genere. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere l’eliminazione di qualsiasi omicidio. Non può esistere un omicidio più sbagliato di un altro. Ma per la mia impostazione sono convinto anche che l’estirpazione totale di questa realtà dal genere umano sia puramente utopia. L’umanità può migliorare, fin che non giunge al suo “asintoto” che lei ben può immaginare quale sia. Tutto questo per dire: è giusto sensibilizzare, ma attenzione a non fare le lotte ai mulini a vento. Che magari comportano altri problemi senza comunque risolvere il male iniziale.