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La politica al maschile e le donne in politica (le origini delle ronde)

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Questa era la milizia volontaria per la sicurezza nazionale (ovvero le camicie nere) ai tempi di Mussolini.

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Questo è il movimento nazional socialista negli Usa.

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Questo è un membro della Guardia nazionale italiana (le ronde) che sarà presentata il 13 giugno a Milano e che da questa estate in applicazione del pacchetto sicurezza inizierà a pattugliare le strade. Peacereporter le chiama "ronde nere" e pubblica una lunga e interessantissima intervista a Gaetano Saya, fondatore della Gni. Vi invito caldamente a leggerla

Ieri abbiamo osservato increduli come un governo che combatte la cucina araba, i kebab nelle città, che nega il diritto di vivere a tanti stranieri, che si oppone all’ingresso della turchia in europa, che manifesta sovente il proprio disappunto contro i politici filoarabi e contro i nemici "terroristi" del medio oriente, abbia abbracciato la causa araba ospitando una tenda beduina in un parco romano, accogliendo il dittatore gheddafi con foto di rivendicazione anti politica coloniale mussoliniana sul petto, presso una università pubblica impedendo qualunque contraddittorio mentre egli dichiarava comprensione per il terrorismo di bin laden, paragonava i governi dei mujiaidin alla componente teocratica che il vaticano rappresenta nel nostro parlamento, condannava la politica americana di occupazione delle terre arabe, la politica di israele, dichiarava l’idillio tra un dittatore e il "suo popolo" e si dichiarava felice di questo accordo con l’italia attraverso il quale lui può fare pesare la posizione geografica del suo regno per chiedere altri soldi, a parte quelli che gli darà l’italia innanzitutto, per offrire in cambio il servizio di pattugliamento, rastrellamento, deportazione e respingimento degli stranieri che partono dalle coste libiche verso l’europa.

Le amicizie del premier, gheddafi, topolanek, putin, fanno pensare che quello sia il modello politico al quale egli si ispira. Tra dittatori e colonnelli, si capisce, ci si intende. 

Poi però la lega ci spiegherà un giorno perchè respinge stranieri, sfratta e inibisce la vendita dei kebab, non consente l’assunzione di arabi presso i mezzi pubblici, combatte gli stranieri con ogni mezzo, dichiara di essere il difensore della "cristianità" d’occidente e ospita la tenda beduina di un dittatore nel parco della capitale.

Non scordiamoci che i modelli di dittatura più conosciuti sono due: il nazional-socialismo e quello delle repubbliche socialiste sovietiche. Per molte cose si somigliano ed è per questo che Hannah Arendt li raggruppava sotto il nome di totalitarismi. 

In italia decine e decine di anni fa il partito comunista ha dichiarato indipendenza dal modello sovietico e i socialisti invece sono sempre stati orientati a destra. Da quelli che componevano i governi con i pentapartiti, craxi, a quelli attuali che compongono un pezzo del pdl.

Quella categoria di socialisti – secondo giorgio galli in "storia delle dottrine politiche" – non è molto diversa dalla radice politica che animava le file di alleanza nazionale. 

Non c’e’ soggetto più filosovietico di chi si nutre di cultura nazional socialista. L’origine è simile, la derivazione si compie in eguali modelli autoritari. 

Così si spiega la coincidenza d’opinione tra d’alema, la sua vice anna finocchiaro, andreotti e il centro destra. Tutti egualmente felici dell’arrivo di gheddafi in italia.

Chi fa politica in modo realmente laico, questa cosa la sa. 

Capite allora che il pericolo più grande per i totalitarismi è un movimento di giovani, donne e uomini, che contesta la guerra, la repressione, il consociativismo, il revisionismo, lo sdoganamento di culture fasciste, gli attacchi alle libertà individuali, le politiche contro l’immigrazione (dalla turco-napolitano che istituiva i cpt alla bossi-fini con correttivo maroni che li fa diventare cie), la stessa concezione di "sicurezza", la stessa politica economica pro-confindustria e contro gli operai, quando tutto ciò è supportato e promosso sia dal governo d’alemiano che da quello di berlusconi.

La sinistra che fu di gramsci, colui che si oppose al fascismo e morì di galera lasciando in eredità quaderni pieni di grandi verità storiche, e quella che si ispirava a lui aveva una dimensione differente che non è mai stata filosofia del pci (di quel pci che espelleva dal partito pasolini perchè frocio e laico). La sinistra italiana ancora ha il gran difetto di cercare nelle origini simboliche, come quelle brutte lettere di stalin pubblicate su liberazione, una interpretazione alternativa del futuro.

Quella sinistra, che oppone a strutture autoritarie a leadership maschile altre strutture a gestione gerarchica a leadership maschile, non costituisce una evoluzione.

Donne e partiti

Basta analizzare la stessa struttura partito e vedere il ruolo che le donne hanno dentro i partiti.

I partiti sono composti da organi direttivi, un capo, i suoi vice, gli associati. Il principio è quello di qualunque associazione con statuto, membri, assemblee dei soci (i tesserati). 

Sin da quando ho iniziato a fare politica la discussione – nei movimenti o nei partiti – si concentrava quasi esclusivamente sugli organi direttivi. Sui tempi entro i quali il gruppo dirigente, il direttivo, l’assemblea dei coordinatori o comunque vorrete chiamarla, avrebbe potuto espletare il suo impegno prima di tornare a fare un congresso per il rinnovo delle cariche. 

Tanta intelligenza sprecata per immaginare formule trabocchetto per dichiarare in vita un leader per un tempo massimo di due anni, per esempio, rinnovabili per una, due, tre, quattro volte a seconda del livello di spregiudicatezza del gruppo dirigente.

Lo statuto di un partito si vota durante le assemblee costituenti e si rinnova con mozioni o emendamenti allo statuto di congresso in congresso se un gruppo, i cui termini e limiti sono precisati nello stesso statuto, lo ritiene necessario.

Avete mai partecipato ad una assemblea costituente o ad un congresso di "rinnovo" dello statuto di un partito? Io si.

La cosa più simpatica è il gioco di interventi, la democrazia che si esercita a mimare se stessa e legittimare in senso "popolare" quella o quell’altra posizione mentre i marpioni della politica procedono a raggruppare truppe cammellate che voteranno compatte per la mozione A, la B, o la C. Vince chi ha la truppa più numerosa.

Una truppa nelle sezioni periferiche è composta dai tesserati. Quella dei consigli provinciali, regionali è composta da delegati e anche quella nazionale è composta da delegati, i quali hanno ruolo e nome per farsi delegare dai territori nei quali militano.

In ogni assemblea "costituente" c’e’ sempre una debora serracchiani che dice le cose con il candore tipico di chi ritiene davvero di partecipare ad un percorso di "rinnovamento" della politica. Sono figure che lusingano la vanità del modello paternalista, con una estetica precisa e tanti piccoli elementi che nel gioco della comunicazione funzionano per stimolare l’illusione di modelli di partecipazione differenti.

Gli equilibri di partito si realizzano in realtà attraverso scontri congressuali tra uomini che spesso si servono di donne, piazzate a fare un intervento in mezzo alla discussione, per riequilibrare malumori, sollecitare interesse, accattivare la platea.

Siamo giullari qualche volta non consapevoli di esserlo e talvolta invece si. Complici nel legittimare un modello politico che non sposta di una virgola le modalità anacronistiche di relazione tra i sessi, i linguaggi e la questione più generale della democrazia interna di un partito.

Parlo di partiti ma potrei parlare delle assemblee di movimento dove i leader si chiamano portavoce e dove le donne comunque sono una componente spesso decorativa e raramente inicisiva per le pratiche che si realizzeranno. Il rischio, oltretutto, è quello che si realizzino vere e proprie tirannie delle zone non strutturate, come scriveva la femminista Jo Freeman nel 1970, dove vince la logica del branco e di chi gli sta a capo forte di corporativismi, di sessismi incrociati e concetti trasversali che annullano il dissenso senza che i leader debbano affaticarsi a smontarlo in assemblea.

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Parlavo delle donne nei partiti ma potrei dunque parlare delle donne in politica che anche quando costruiscono aggregazioni solo al femminile rischiano di mimare le guerriglie di partito machiste. Perciò la scommessa potrebbe essere quella di sperimentarsi in modelli di interlocuzione politica nuovi, come è stata ed è l’esperienza della lista di donne di Bologna che forti di mille voti alle amministrative della città si apprestano a costruire un governo "sole" (opposto ai governi "ombra" al maschile).

Riformare la politica senza produrre rotture è oltremodo impossibile. E potete stare certi/e che la mia conclusione non è "affrettata", non fosse altro che per il tempo infinito passato a vivere e studiare forme partito e forme di movimento (comprese quelle sperimentali che al voto a maggioranza oppongono l’ottimo metodo del consenso).

Le donne di partito sono appunto divisibili in varie categorie:

C’e’ la donna alla Serracchiani [guarda il suo intervento] che fa la segretaria di sezione, è stata eletta quale consigliera o amministratrice nel suo territorio, intende avere un ruolo nella discussione interna al suo partito. Analizzate i movimenti del suo corpo, le sue espressioni e ascoltate con attenzione le sue parole.

E’ compiacente, lusinghiera, ammiccante mentre dice cose che sembrerebbero di rottura. Porge le "critiche" rendendole accessibili con un sorriso, ha una corporeità e una estetica che sollecitano attenzioni negli spalti paternalisti, dichiara difficoltà a dare del tu al "capo" il quale la osserva estasiato giacchè è questo l’effetto che fa la bimba che rivela inaspettatamente la geniale attitudine di avere un cervello e di mostrarlo senza "aggressività". Riassumiamo: è carina, dolce e adolescenziale dal punto di vista estetico, non aggressiva, sufficientemente compiacente e ossequiosa e dice cose abbastanza preoccupanti facendole passare per "giuste".

Questo genere di interventi nei congressi servono a legittimare il capo. La serracchiani ha detto, in poche parole, che bisognava fare delle cose e per farle lei opta per un metodo autoritario che poi sarebbe stato quello che ha attuato franceschini lungo tutta la campagna elettorale. Nessun pluralismo interno e dichiarato, posizione univoca, una unica voce, un pensiero unico, una gestione del partito "più forte", partendo dal presupposto che ciò che si intende proporre sia "giusto" e che bisogna ottenerlo in ogni modo possibile, persino cancellando in un solo colpo le voci e i contrasti interni, qualunque essi siano, fosse anche solo per il tempo di una campagna elettorale.

Tutte le voci autoritarie hanno dichiarato o dichiarano necessaria l’applicazione del proprio modello a partire dalle giustezza, reale o presunta, delle proprie ragioni. 

Se vuoi legittimare un modello di reggenza di partito autoritaria non c’e’ di meglio che un intervento apparentemente innovativo che lo sollecita e che delega al capo l’autorità di decidere per tutti, di parlare per tutti. La serracchiani ha riproposto dunque, nel caos di un partito democratico che veltroni voleva "plurale", una visione di partito al "singolare" in un rapporto dialettico che elegge a modello il rispetto per il capo, persino la fascinazione intimidita per il capo.

C’e’ poi la donna alla Anna Finocchiaro, da sempre d’alemiana, cresciuta in ombra al suo leader e  reduce dalla scuola di politica alle frattocchie. Rigida, autoritaria, suscita "rispetto". I movimenti del suo corpo sono maschili, le sue espressioni facciali – potete vederla nei dibattiti – sono maschili. In sicilia (a catania) si è distinta per le alleanze contro claudio fava ai tempi delle amministrazioni comunali di enzo bianco e per essere stata sonoramente trombata alle elezioni regionali siciliane come candidata calata dall’alto alla presidenza contro la candidatura di rita borsellino che era uscita dalle primarie. La finocchiaro è una donna di partito diligente, che obbedisce al ruolo che le è stato consegnato e che interpreta egregiamente i doveri che il partito le assegna, fosse anche quello di farsi trombare alle elezioni siciliane.

Di donne di partito strutturatissime ce ne sono tante e in altri partiti, compresi quelli più a sinistra. Normalmente vanno avanti perchè piacciono al capo, anche dal punto di vista estetico, perchè il sessismo dentro i partiti è un aspetto generalizzato. Tuttavia il solo aspetto fisico non basta. Strutturarsi nel perimetro del partito è un esercizio che deve riuscire senza tentennamenti. Il voto giusto nel congresso, l’intervento giusto per riequilibrare gli orientamenti, la riconoscenza per essere stata messa a capo di mille gruppi per le pari opportunità – le questioni di donne – prima di avere accesso ad ambiti più virili della politica. Una donna di partito strutturata non si ribella, non mette in discussione, o lo fa ma sempre in maniera da essere funzionale al suo leader di riferimento, sia esso il segretario nazionale o il capocorrente tal dei tali che si ritaglia la sua frangia tra gli schieramenti. 

Questo tipo di donna è personaggio complesso: organizza momenti di aggregazione al femminile per ricavare punti di forza e di potere contrattuale da mettere al servizio del partito, si occupa di pubblica amministrazione da vari punti di vista e sempre con lo stesso piglio decisionale, viene dalle scuole di partito e vive la politica come professione.

Una donna che probabilmente voi non ricorderete fu Tina Anselmi. Partigiana, in qualche modo aderente al femminismo cristiano, democristiana vicina ad andreotti, fu membro dei suoi governi varie volte fino al 1981 data nella quale fu nominata a capo della commissione d’inchiesta che analizzò la questione della Loggia P2. La commissione finì i lavori nel 1985, i risultati che vennero fuori furono comunicati al pubblico in modo abbastanza annacquato e bisogna leggerli attentamente per capire quanto eversiva fosse quella organizzazione. Unitariamente fu reso pubblico il piano di rinascita e al potere c’era craxi già amico di berlusconi. A Tina Anselmi, donna di partito obbediente fino a quel momento, non fu perdonato il fatto di aver condotto quella inchiesta e di aver tirato fuori dettagli tanto delicati in un momento nel quale iniziava la guerra interna ai partiti della maggioranza.

Era l’inizio del declino della politica andreottiana, in quegli anni muore lima, andreottiano di ferro siciliano, a palermo accade di tutto, la mafia sposta i voti sul candidato martelli che diventerà poi ministro della giustizia e partono le inchieste contro cosa nostra, quelle sulla tangentopoli del nord, le stragi di capaci e di via d’amelio a palermo, il delirio tra gli "imprenditori" del nord e la nascita di vari partiti: la Lega, che portò gli imprenditori al potere, AN che prosegue la politica di rauti e in sicilia diventa il partito degli avvocati, molti difensori di persone coinvolte nelle inchieste della magistratura, forza italia che nasce più o meno per gli stessi motivi e che trova spazio nel momento in cui i vecchi – la democrazia cristiana – tra inchieste della magistratura, pentiti e processi, perdeva i pezzi, il partito socialismo tramonta in tunisia assieme al latitante craxi e il pci inizia la sua "svolta" con occhetto nel 1989, anno della caduta del muro di berlino. Se tutto ciò non fosse accaduto attraverso "metodi" – per così dire – democratici, le elezioni per dirne uno – si potrebbe tranquillamente parlare di guerra tra cosche nella quale i nuovi boss prendono il posto dei vecchi e li piazzano a fare i senatori a vita ridandogli fiato solo in cambio di qualche assoluzione nei vari processi. 

Di Tina Anselmi non è rimasta più traccia non fosse che per qualcun@ che ogni tanto tira fuori la proposta di candidarla alla presidenza della repubblica. 

C’e’ la donna alla Giulia Bongiorno, avvocato di andreotti prima, eletta tra le fila di An poi e ora autorevole membro della commissione giustizia in quota al pdl. Lei è una donna che non viene dalla militanza, dalla memoria di gesta, a destra o a sinistra, ma mette a servizio la sua professionalità e la popolarità che da essa ne è derivata per il processo a carico di andreotti, per una politica che oramai ha trasformato tutti i luoghi di dibattito in sedi di giudizio. Sarà per questo che da un lato c’e’ il partito degli avvocati, tutti felicemente riuniti sotto il titolo del pdl, ghedini compreso, e dall’altro c’e’ quello dei magistrati – ex pm – che non potendo più svolgere il proprio lavoro nelle aule di giustizia partecipano ai dibattiti tivu’ – scazzi moderni tra accusa e difesa, tutti documentatissimi con prove a carico, a discarico, attenuanti generiche o particolari. Giulia Bongiorno è il soggetto politico al femminile utile al metodo attuale nel quale per fare politica è necessaria una laurea in giurisprudenza e nel quale cambia il gergo, lo slang politico che va avanti a suon di sentenze, di archiviazioni, proscioglimenti e condanne pubbliche. Perciò le aule dei tribunali non servono più.

Giulia Bongiorno è comunque donna preparata, che viene da una professione che ha gestito con riconoscimenti a prescindere dai soggetti che poi ha difeso (certamente un genio rispetto a mara carfagna), che per adeguarsi alle esigenze dei dibattiti televisivi s’e’ rifatta il look e l’immagine, la cui nomina a ministro della giustizia al posto di alfano tuttavia non è stata accettata. Il suo ruolo è quello deciso dal partito, come le sarebbe accaduto in qualunque altra formazione politica.

C’e’ la donna alla Emma Bonino, leader riconosciuta tra i radicali che è cresciuta all’ombra di pannella che in televisione appare oramai come bossi. Simulacri nei quali l’età ha lasciato un segno che vengono esibiti come feticci per gli adoratori di dei terreni che continuano a non avere voglia di dare un voto ad un partito capeggiato da una donna.

La Bonino è donna laica, in gamba, che ha seguito pannella in tutto, persino quando egli affrontò la questione morale opponendogli il garantismo. Primi anni novanta. Sicilia con arresti e condanne ai danni di politici che erano stati processati per associazione a delinquere di stampo mafioso, voto di scambio, brogli elettorali, e cosine di questo tipo. Pannella arriva e candida uomini inquisiti o condannati di correnti democristiane che la stessa dc, avviatasi all’epurazione da soggetti con la fedina penale sporca in trasformazione verso il pp (partito popolare), aveva allegramente abbandonato al loro destino. Era il 1994 e pannella avrebbe dichiarato di avere un gran feeling con forza italia e i partiti del centro destra che si opponevano ai processi contro i tangentisti e al carcere per gli associati ai mafiosi. Tutti parlavano di "garantismo". Parliamo delle stesse persone che molti anni dopo si sono opposte con forza all’indulto.

Per i radicali quella scelta fu alquanto impopolare, soprattutto tra i soggetti del movimento antimafia, perchè sebbene il carcere non sia una soluzione in nessun caso ciò non toglie che offrire una posizione di impunità (l’immunità parlamentare) a soggetti che depauperavano il territorio ed erano complici di delitti infami, offrire loro un palcoscenico dal quale poter consolidare la modalità elettorale che poi sarebbe stata quella dei tanti cuffaro, non è stata una gran cosa. Quella strategia, in un momento di cambiamento, quanto meno dal punto di vista culturale, di legittimazione di contesti che non avevano nulla a che fare con i carcerati per motivi politici degli anni settanta, fu perfettamente funzionale ad una politica che proponeva l’arroganza degli inquisiti in contrasto – pari merito – all’azione della magistratura.

Da lì nasce concettualmente la versione per cui chiunque sia inquisito è un "perseguitato" per motivi politici dalle toghe che spesso diventano rosse. E come sapete quella modalità ha fatto scuola ed è diventata la regola. Quel che è peggio, per quanto personalmente mi interessa, è che fornì una traccia culturale dalla quale il movimento antimafia non seppe risollevarsi se non dopo molti anni senza tuttavia riuscire a tracciare mai più quella linea di indignazione tra i siciliani che in quel periodo invece era fortissima e tangibile. Ad un risveglio di coscienze in termini culturali corrispose dunque la motivazione opposta a salvaguardare lo status quo.

La Bonino fa dunque parte di un sistema politico che – non ho mai capito se su commissione, in malafede, per smantellare dall’esterno movimenti di dissenso civile reali, o per profondo idealismo messo a servizio delle persone sbagliate – volendo appunto credere che si tratti di soggetti in buona fede orientati in senso laico a costruire comunque uno stato nel quale i diritti civili dovranno prima o poi essere riconosciuti, comunque usa la leadership narcisista e maschile come elemento di interlocuzione politica.

Avete mai visto un partito con una "segretaria" di partito donna? Io no. Se non teniamo conto della candidatura a premier (nelle ultime elezioni nazionali) della santanchè, della mussolini, e per sinistra critica di flavia d’angeli.

Le prime due sono popolari, ricche, facenti parte di famiglie o memorie storiche delle quali gli uomini si sono serviti. La Mussolini viene candidata svariati anni fa per il suo cognome, per la sua parentela, per attirare gli aficionados e i nostalgici. La Santanchè è un soggetto di destra dio-patria-famiglia e faccia rifatta che interpreta perfettamente il concetto estetico della donna di destra e descrive altrettanto perfettamente cosa si intende per "emancipazione femminile" in quel contesto.

La D’Angeli viene fuori su proposta di una "associazione" che per ora ha una struttura di "coordinamento", quindi anche un coordinamento nazionale, ma fa parte di quelle eccezioni che riguardano i periodi disgraziati a percentuali basse. Sono davvero candidature di servizio. Se vi fosse stata una sola possibilità di fare eleggere una donna forse, dico forse, non sarebbe mai stata candidata. Lei così come le altre due, temo.

Sulle donne di sinistra torneremo poi. Le donne di partito di destra invece sono "a servizio". Come nel tempo di mussolini, le donne di destra corrispondono ad un modello estetico, ad una perfezione che rende orgogliosa la componente maschile, ad una autonomia che si esplicita nella visione di donne che oppongono al femminismo che crede nel valore della differenza il modello femminile della copia perfetta dell’uomo con dovere di procreazione.

Una donna di destra emancipata è la perfetta repubblichina, la soldatessa della decima mas, la donna dell’esercito che canta l’inno di mameli, la ministra che sente il culto della patria e immagina la procreazione come una modalità di servizio.

La donna di destra emancipata potrebbe apparire stranamente persino più emancipata di una donna di sinistra. Peccato che si strutturi all’interno dei partiti con gli stessi strumenti e le stesse dinamiche di qualunque altra donna. La visibilità che trae dal suo ruolo le viene concessa per investitura. 

C’e’ la donna formato mara carfagna, novità della politica che "assume" le candidate attraverso i casting e con l’analisi dei curriculum vitae. Nessuna militanza, nessun dovere di formazione politica se non quella che deriva da corsi specifici che sono costruiti con lo stesso principio dei corsi di formazione mediolanum (la finanziaria poi divenuto gruppo bancario della famiglia berlusconi). Avete mai seguito un corso di formazione per il reperimento di "clienti" per assicurazioni, finanziarie, aziende, persino enti pubblici? I corsi di formazione sono equivalenti al battesimo di soggetti tra i quali vengono individuati quelli che sono più adeguati al profitto che l’azienda stabilisce come obiettivo. Sono corsi che si dividono in momenti motivazionali, lezioni di marketing, analisi di mercato, nozioni minime generali, nozioni particolari sul prodotto da vendere, forme di comunicazione da utilizzare, look da tenere (tayeur invece di abiti informali), movimenti del corpo ed estetica da seguire (taglio di capelli, trucco), parole di contatto con il cliente da imparare a memoria. Tutto serve a costruire soldati e soldatesse per una azienda autarchica che presto ti fa sentire parte del gruppo e ti affida degli obiettivi da raggiungere.

Il modello mara carfagna volente o nolente ha condizionato tutta la politica che era e continua a restare a preminenza maschile. Dopo la discesa in campo di berlusconi e delle sue girls, le donne di centro sinistra, a parte le cattoliche alla bindi (apprezzabilissima per la coerenza), sono dovute correre ai ripari. Rivoluzionato il look di livia turco ed è cambiata la scelta delle candidate. Il centro sinistra si è dotato di soggetti televisivi: la melandri, la pinotti, e così via.

La sinistra più sinistra invece ha continuato a tenersi le militanti di sempre che per il periodo in cui è stato loro possibile accedere al mezzo televisivo erano le più umane. 

Donne come mara carfagna non hanno alcun potere nella gestione del partito. Non saranno mai ministre di rispetto con ruoli di rilievo, non saranno mai parte di un direttivo, non avranno mai potere decisionale. Le donne alla mara carfagna sono comparse addestrate a fare le rappresentanti dell’azienda. Finanziaria, contratti telefonici a tariffe multiple o voti al partito, sempre dello stesso metodo parliamo.

Nel pdl esistono anche le donne come la ragazza – giovane – cui è stato affidato l’intervento di apertura del congresso che sanciva la nascita del partito. Anche lei in posa adorante verso il capo, ossequiosa, anzi di più: mistica e adorante. La giovane donna che interviene per dichiarare l’amore per il leader usa gli stessi meccanismi persuasivi e di comunicazione che forse spontaneamente – perchè ci credeva e per acquisita "cultura subordinata ai leader", ahinoi (parlo del linguaggio usato e non del contenuto dell’intervento) – ha usato la serracchiani.

Ha messo in moto gli stessi istinti, stessa emozione, stesso pathos. Una giovane donna che investe in un ideale che descrive come fosse un sogno, con la gratitudine per chi le ha affidato il compito di aprire l’assemblea e la timidezza compiacente dovuta ad un capo che concede ad una donna di essere protagonista, anche se solo per un attimo, di una giornata così importante.

Capite bene che se a parlare fosse stata Isabella Rauti, moglie di Alemanno e capo dipartimento alle pari opportunità nonchè vera presunta anima delle politiche di quel ministero, l’effetto sarebbe stato un po’ diverso. 

Una donna che fa politica per tanto tempo ha lo stesso impatto che può avere anna finocchiaro. Sanno di vecchio, non suscitano tenerezza, se si decidessero – nei momenti di incontro di partito – a manifestare una opinione indipendente sarebbero considerate irriguardose, aggressive, irriconoscenti, inadeguate. Sono donne che in modo diverso dovranno comunque recitare il verbo dei loro leader di riferimento, padri e mariti inclusi, e che non possono permettersi di intervenire nei dibattiti pubblici rischiando di apparire persino più intelligenti di brunetta.

Anche il pdl perciò rinuncia ad esibire le donne o le rende funzionali agli scazzi interni tra le correnti divise in ex forza italia ed ex an. Lo scazzo non risparmia colpi bassi e delegittimazione del leader attuale. Gianfranco Fini cerca ruolo e spazio e anzi si prepara a succedere a berlusconi ritagliandosi un ruolo indipendente e muovendo critiche predurantepost elettorali.

Tutte donne funzionali ad un meccanismo che vede gli uomini a guidare le truppe. Gli obiettivi e i metodi sono diversi ma il risultato è lo stesso. 

C’e’ la donna formato partito di sinistra, rifondazione e affini, totalmente assente dal dibattito pubblico se non tra le donne e le persone che continuano a seguirle. Ancora oggi bertinotti rilascia interviste per spiegare dove dovrebbe andare la sinistra. Le varie frange spezzettate dell’ex rifondazione, i cossuttiani, i socialisti residuali, sinistra democratica, sono comunque guidate da uomini. Tra tutti i frammenti quello di "sinistra critica" mi pare quello che mette in circolo una esperienza e una pratica femminista meno succube.

Elettra Deiana in una sua riflessione a proposito della sconfitta della sinistra nelle ultime elezioni, dice: "Ormai è tutto un gioco di trucchi sulle aspettative. Le aspettative
dei politici – per lo più di sesso maschile, come la piramide del
potere politico rende inevitabile e forse anche il loro narcisismo
facilita – senza distinzione di collocazione politica, sono un po’ come
l’elastico. Si aggiustano ex post, a seconda dei risultati."

Continua:
"Ma il problema è anche un altro ad altri e più diffusi livelli. La
coazione a ripetere il decalogo delle certezze, l’ossessione delle
proprie ragioni, l’incapacità di guardare oltre".

Le donne di sinistra non sono mai capolista nelle elezioni. Raramente candidate per motivi differenti dal rispetto della quota prevista. Le donne di sinistra non hanno voce nelle segreterie di partito e non riescono ad evitare quella che Elettra chiama "coazione a ripetere".

Le donne di sinistra che dentro i partiti di sinistra sembrano essere una – seppur lieve – minaccia per gli uomini leader, se esse si pongono alla pari, se possiedono personalità spiccate e rischiano di avere un proprio seguito, se non sono anonime o brillanti gregarie, vengono schiacciate come formiche sul prato, in una giornata di sole, nel mezzo del pic nic della real politic.

Prendo a prestito uno slogan condiviso recentemente dal coordinamento delle lesbiche romane: "Non si abbatte la casa del padrone con gli strumenti del padrone".

Quello che risulta evidente è che la "forma partito" così com’e’ non va bene. L’accesso delle donne alla politica è brutalmente ostacolato per motivi diversi. Il centro destra impone target, look, e tutto quello che serve a rappresentare il brand. Il centro sinistra, con le dovute differenze, applica spesso in modo ipocrita lo stesso sessismo, per cui se non sei esteticamente gradevole, intelligente per il piacere narcisista e utilitaristico del leader, sia esso imprenditore, avvocato, giudice, politico di professione, attore, sindacalista, se ritieni scioccamente di vedere applicato il principio meritocratico per cui ti si riconosce spazio perchè hai il diritto di avere quello spazio, se rivendichi partecipazione, valorizzazione reciproca, qualunque cosa che non somigli neppure lontanamente ad una lamentela vittimista (ma come tale spesso sarà bollata), se definisci con chiarezza ciò che avviene e la chiami per nome, essendo essa pura "discriminazione", sei fuori, non esisti, non ti candidano neppure nelle liste per i consigli di quartiere.

Oltretutto le donne sono sempre economicamente svantaggiate e una campagna elettorale costa, ragion per cui il partito sostiene la moglie di qualcuno ma non la donna che non può contare sul mantenimento di un coniuge. Le donne che possono andare avanti hanno comunque una condizione di agio e benessere che le mette in condizione di poter lasciare i bimbi a qualcuno, se ne hanno, di finanziarsi volantini e benzina, di essere "autonoma" dal partito che a quel punto la candida perchè altrimenti quella si candiderebbe da sola. Accade, come abbiamo più volte visto, che la politica investa con più convinzione su un uomo gay, su un uomo nero, ma mai su una donna.

Questo modello resiste, come dicevo anche nei modelli non strutturati a tal punto che – per esempio – a londra un gruppo di donne hanno dovuto fare una azione antisessista durante una conferenza di movimento anarchico, perchè non era stato ammesso nessun tavolo tematico che trattasse questioni di genere.

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I modelli di attività politica percorribili restano sempre divisi tra quello separatista e quello misto con tentativi di crescita collettiva ragionati, consapevoli e "insistenti". Il mondo è fatto di generi diversi e crescere insieme è ovvio che serva più che crescere da sole in un mondo che continua a restare uguale.

Una crescita collettiva parte tuttavia sempre dalla condivisione di esperienze e consapevolezze individuali e perciò già in un altro momento analizzavo l’ipotesi di guardare con grande interesse ad esperienze come quella vissuta a bologna della lista di sole donne a sostegno di un sindaco donna.

La scommessa potrebbe essere quella di inventare una forma di partecipazione alla politica diversa dal partito, diversa dal movimento destrutturato che lascia spazio alle varie forme di tirannia – ivi comprese quelle al femminile se si manifestano, diversa dall’aggregazione che agisce in coerenza con o si oppone alle istituzioni a partire esattamente dalle stesse modalità di decisione, rappresentanza, esposizione all’esterno.

Una forma diversa, con un linguaggio diverso, una tecnica decisionale differente. Preferire il metodo del consenso, che tiene conto della opinione di tutte, invece che quello a maggioranza; strutturare le assemblee senza gerarchie, tavoli della presidenza, interventi frontali; rinunciare ai riconoscimenti personali per confondersi in una entità collettiva, come fanno le sexyshock che dappertutto si chiamano, tutte, con lo stesso nome: Betty; rendere disponibili risorse (compresi video, libri, contributi di vario tipo) come beni comuni, senza copyright, invenzione del capitalismo per attribuire brevetti ad ogni cosa, dalle creazioni frutto di intelligenza ai semi del riso basmati (vedi la battaglia di vandana shiva), a quelli che riguardano i prodotti di laboratorio, esseri viventi con copyright appartenenti alle multinazionali farmaceutiche.

Cambiare la politica significa cambiare i metodi della politica, studiarne i contenuti, la comunicazione secondo il livello di persuasività, arrivare ad una espressione pratica che risponda ad esigenze che dovrebbero estendere il concetto di "personale" che è anche "politico".

Abbiamo un "personale" da riversare nella politica per capovolgere il senso della partecipazione. E’ la politica ad essere al nostro servizio e non noi ad essere a servizio della politica.

La politica è il luogo attraverso il quale possiamo esplicitare rivendicazioni che partono dal nostro privato, attraversano il terreno collettivo e diventano proposta.

Dopo il femminismo che parte da se’ è necessario riparlare, giacchè se ne è parlato senza che si sia approdate a nulla, di politica che parte da se’. Il nostro se’ che non può abdicare al suo ruolo per delegare tutto al se’ dell’uomo di partito, specialmente se quel se’ corrisponde a personaggi come berlusconi.

Partecipare alla politica risponde a vari quesiti. Innanzitutto bisogna chiedersi:

– cosa mi manca. 

– cosa mi serve.

– cosa gli altri non mi danno.

– cosa la politica mi aiuta a prendere.

Nel nostro caso già la sola risposta a queste generiche domande diventa un programma politico

Il programma politico che non vuole essere ideologia, dogma, inseguimento dell’audience in risposta a ricerche di mercato che analizzano le preferenze degli elettori, deve necessariamente partire da se’.

Quel se’ può coincidere con altri se’ e può arricchirsi di altri punti, non sempre coincidenti, ma certamente risolvibili con l’autodeterminazione, con proposte che contemplino la libertà di scelta alla base di tutte le questioni che ci riguardano.

Costruire un programma come terreno di rivendicazione significa fare già una assemblea costituente. Significa dare vita ad un meccanismo che scardina la dipendenza dalle strutture al maschile. Significa imporre l’agenda politica invece che subirla. Significa agire invece che pietire spazi. Significa avere l’occasione per ripensare la struttura dello stato, il welfare, le istituzioni nel suo complesso, il loro ruolo. Tutti luoghi che a prescindere dal fatto che li partecipiamo o li ostacoliamo comunque esistono e regolano le nostre vite.

Personalmente mi sono stancata di partecipare alla politica patteggiando uno o due punti di programma che coincidono con le mie esigenze o con le esigenze di tante donne e di tante categorie queer. Mi sono stancata di cercare con la lente di ingrandimento uno o due punti descritti nei programmi delle liste che si presentano alle elezioni. Mi sono stancata anche di non votare quanto ho scelto di non farlo perchè comunque il mondo va avanti anche senza di me e voto o non voto sento il dovere di costruire una proposta politica che abbia un senso differente e che non naufraghi nella acquisizione dei portavoce di movimenti come candidati dei partiti già esistenti.

In svezia il partito pirata, nato e cresciuto sull’esigenza di lotta per la libertà del web, ha preso il 7%. Una idea di partenza precisa e un obiettivo chiaro.

Sarebbe forse il caso che tutti i soggetti che in italia hanno a che fare con l’antisessismo, soggetti anche misti, queer, decidessero di costruire luoghi della politica differenti?

Senza capi al maschile, possibilmente, senza capi in generale, senza vecchi soggetti che non ne posso più.

Noi abbiamo una urgenza, assieme alla democrazia ci stanno togliendo agibilità politica. 

Non c’e’ nessuno che ci rappresenti e non c’e’ nessuno dal quale molt* vogliono essere rappresentat*. Altro che alternativa di sinistra, altro che girotondi, altro che recupero dei vecchi simboli.

Io vorrei vedere tant* gay, lesbiche, trans, donne, antifascisti, antisessisti, antirazzisti che prendono la parola per costruire cultura differente, tra noi, fuori da noi, ovunque. Non un ghetto ma un posizionamento, una strategia che rivendichi protagonismo in un momento di gravissimo regresso che invoca lo sterminio – fisico, politico, metaforico, culturale – di tutt* noi.

Pensiamoci. Pensateci. Ma non a lungo. Perchè è la politica al maschile, il paternalismo e la visione autoritaria che porta con se’, lo squadrismo cameratista, la logica del branco, che conduce alle ronde giacchè quelle non sarebbero mai state concepite in una dimensione di responsabilità collettiva attenta alle questioni di genere. 

E venite al pride a roma domani (13 giugno). Mi raccomando.

Posted in Fem/Activism.


5 Responses

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  1. claudio. says

    forse sono un pò off.

    ma volevo segnalare questa ricerca, che spiega
    forse, a grandi linee, perche anche nella politica, sempre meno donne in gamba e piu veline, a quantita, mi sa che anche carfagna era velina??

    non per demeritare le veline, ma se queste vanno a feste festini, cosa possono capire di chi viene discriminato, o altro?? sono procaciatrici di successo, e possono farlo, vedi ricerca.
    e papy ne approfita, come e sempre successo.

    http://www.ansa.it/…izza_new.html_988756622.html

  2. fikasicula says

    ciao alessandro,
    se leggi più giù ho scritto “Tra tutti i frammenti quello di sinistra critica mi pare quello che mette in circolo una esperienza e una pratica femminista meno succube.”

    so che dentro sinistra critica ci sono tante compagne, alcune le conosco anche. ma flavia non era il segretario ma la candidata a premier, se non erro.

  3. Alessandro says

    Ciao Fikasicula.

    Nel tuo intervento, ad un certo punto tu dici:

    “Avete mai visto un partito con una “segretaria” di partito donna? Io no. Se non teniamo conto della santanchè e della mussolini.”

    A dire il vero non proprio una “segretaria”, ma una portavoce di un movimento politico io l’ho vista e sono orgoglioso di aver votato per lei alle ultime elezioni politiche.

    Dai un’occhiata a questo link:

    http://www.sinistracritica.org/node/540

    Ciao da Alessandro

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  1. Il Vento e L'Anima linked to this post on Giugno 16, 2009

    Donne ,partiti,sistemi elettorali da http://femminismo-a-sud.noblogs.org/ Nella lunga descrizione sui motivi per cui le donne e la politica dei partiti non vanno per niente d’accordo, va aggiunto un paragrafo che riguarda le elezioni a cura dei part