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24 novembre, manifestazione contro la violenza maschile sulle donne. Partecipazione critica in fondo al corteo tra i gruppi misti.


Riprendo
un intervento da QUI (e pubblico sotto l’articolo scritto da Stefano Ciccone su Liberazione e uno dall’intero gruppo di Maschile Plurale su Il Manifesto) per insistere sul tema (mi riferisco ad alcuni interventi contro il separatismo, il “sole donne” imposto per l’iniziativa) che inevitabilmente domina la nostra attenzione in relazione alla manifestazione del 24 novembre. E insisto perchè da più parti si continua a intendere che bisogna “tornare a parlare di contenuti” come se qui si parlasse di qualcosa di diverso o come se appunto pratiche e contenuti potessero essere scindibili.


Così per me
non è e so anche che chi mi legge è più che conscio/a del fatto che il tema della violenza contro le donne è una questione che mi preme moltissimo, e mi preme tanto da aver trascorso molto tempo della mia vita a lavorarci su’ e a ragionare di leggi e pratiche e a discutere in maniera animata con uomini e donne sempre tenendo ben chiaro quell’obiettivo.


E l’obiettivo
è la lotta contro la violenza sulle donne, o “violenza maschile sulle donne” come opporranno le instancabili organizzatrici della manifestazione. Per me l’approccio così formulato è solo uno dei tanti possibili approcci. Il mio è diverso. La manifestazione avrebbe dovuto a mio parere contenerli tutt* (gli approcci). Proprio perchè l’obiettivo è la lotta contro la violenza sulle donne e proprio perchè i progetti, le risorse e le idee in circolazione che si occupano di questo non sono così numerose a tal punto da poter rinunciare ad alcune importanti energie disponibili.


E qui non
sto parlando soltanto di gruppi come “Maschile Plurale” che io ad esempio considero importantissimi proprio in funzione di questa battaglia, non parlo neppure dei compagni gay o trans, in parte quasi intimiditi o sollecitati dalle compagne a mostrare reverenziale rispetto per la decisione separatista che non so fino a che punto poi davvero hanno condiviso poichè non ho assistito ad un loro intenso e autonomo dibattito interno sulla questione (ma sotto riporto di un parere chiaro di gay che si dichiarano contro e si svincolano da questo allineamento forzato, denunciando di sentire una chiara discriminazione in questa scelta).


Qui sto proprio
parlando di me e del mio modo di intendere una lotta contro la violenza sulle donne. E’ vero, io alle assemblee di Roma non sono venuta. Non ho potuto. E’ vero: condivido quello che dice il documento e mi piace molto che sia una manifestazione senza cappelli istituzionali, senza bandiere di partito e senza feudatarie del variegato mondo femminista in prima fila, con il coraggio di rifiutare adesioni fasciste. Ma proprio non condivido l’impostazione separatista allargata a tutt*, persino a coloro che non l’hanno mai immaginata e inserita nel proprio taccuino delle strategie politiche.


In questi casi
la scelta potrebbe essere quella di starsene a casa. Perchè essere ospiti sgraditi/e non piace a nessuno. Perchè un conflitto posto in maniera pressante proprio nel momento in cui la piazza deve essere assolutamente dedicata ad un problema così devastante come quello sulla violenza alle donne parrebbe non essere per nulla opportuno. Ma è un tema mio, che mi appartiene, e sentirmelo scippare in una richiesta di omologazione che non è solo sulle pratiche ma essenzialmente sui contenuti, poichè i miei vengono banalizzati e annullati dalla voce prevalente, quella separatista, è per me un fatto doloroso e inaccettabile.


I conflitti
non possono essere rimossi e quindi la piazza deve appartenere anche a quel conflitto perchè dimostri che vi sia, come ho già detto, una partecipazione critica in coda al corteo, non “allineata”, diversa. Perchè penso che questo corteo non può permettersi di perdere pezzi insospettabili, puliti e necessari. Perchè penso che se è vero – come alcune dicono – che un divieto può aver avuto l’insperato e inimmaginabile risultato di stimolare disobbedienze è anche ora di raccoglierne i frutti. Quei conflitti vanno vissuti e portati in piazza e poi agiti in ogni altra sede in un dibattito che deve continuare in maniera serena e positiva come positivo è il fatto che di femminismi ne siano venuti fuori tanti, con idee diverse, con ricchezze irrinunciabili come non accadeva da molto tempo.


E’ mio parere
che le violenze maschili vengano perpetrate dai maschi. E’ mio parere che quegli uomini che si sono messi in discussione e non hanno difficoltà ad accettare questo dato non vanno esclusi da una battaglia che non può comunque criminalizzare o imbrigliare in ruoli imposti le persone solo in funzione di quello che hanno tra le gambe (che poi è esattamente quello che io chiedo non si faccia con me). Io penso che gli uomini in “punizione” che “dovranno” restare a casa non si sentiranno affatto puniti se non si sono mai preoccupati di questo problema e anzi si sentiranno sollevati da questa responsabilità.


Sarà per noi
una perdita invece il non potere attraversare in corteo strade e vicoli assieme a quei compagni, non tutti gli “uomini” indiscriminatamente con vessilli di partito pronti a scaricarsi la coscienza solo con una apparente solidarietà ma parliamo dei compagni con cui discutiamo e con i quali ci ostiniamo a sostenere costruttivi conflitti di genere. Quei compagni che sono anche portatori di una visione che ci arricchisce rispetto alla stessa “violenza di genere”. Sarà una perdita e anche una sciagurata ambigua rappresentazione di un se’ femminile obbligatoriamente riproduttivo, per cio’ stesso differente, che comunque si allarga alle trans MTF (Qualcuna chiede: dei trans FTM che ne facciamo?). E’ mio parere anche che per coerenza rispetto alla impostazione di battaglia di tipo culturale che lo stesso documento di convocazione richiama, bisogna svincolarsi dal considerare quale unico “persecutore” colui che è stato esecutore materiale del delitto. Quella violenza maschile è veicolata e costruita grazie a molti contesti, non ultimi quelli femminili.


Non basta
dunque chiedere alle donne di unirsi in un corteo di “sole donne” per sciogliere questo vincolo di complicità. Anzi un corteo di questo tipo assolve tutte le donne, nessuna esclusa, e non mette in chiaro risalto che la cultura patriarcale è invece perpetuata anche dalla Ministra Bindi che pare essere una donna, o dalla Ministra Livia Turco che chiede l’adozione degli embrioni esigendone lo status di esseri viventi, o dalla Ministra Pollastrini e altre rappresentanti di questo governo che hanno permesso senza opposizioni chiare che si potesse portare avanti un progetto come il pacchetto sicurezza di stampo patriarcale e razzista e altri progetti che infliggevano alle donne il ruolo di mogli e madri forzatamente eterosessuali che solo in quanto tali avrebbero ottenuto riconoscimenti, vantaggi e anche contributi economici palliativi di tipo fascista.


E il tema
non è che bisogna restringere il nucleo degli interlocutori istituzionali (Che parlarci senza retrocedere sulle proprie posizioni non fa male). Il tema è, piuttosto, che bisogna mostrare radicalità senza scadere nell’irrigidimento identitario e nei vizi ideologici. Soprattutto se questo irrigidimento lo si gestisce scivolando inesorabilmente verso posizioni arroccate ed esasperate che significano chiusura e non disponibilità al dialogo neppure con le compagne di percorso più vicine. Posizioni che significano imposizione autoritaria e non più richiesta palese e libera del rispetto di una scelta politica, più o meno condivisibile.


Ne hanno
scritto le ragazze di Facciamo Breccia di Torino e io mi unisco a loro nel dire che i toni usati in quello che avrebbe potuto essere e che spero possa ancora essere un ricchissimo scambio di idee sono stati fino ad ora tutt’altro che piacevoli. Irrispettosi. E come loro anche a me, e credo anche ad altre, piacerà tornarci su’ perchè i meccanismi di partecipazione sono importanti tanto quanto le pratiche e i contenuti. Vanno di pari passo e sono fondamentali.


Nel momento
in cui hanno preso a circolare opinioni “non allineate” da qualche parte si è detto anche di dover restare fedeli alle priorità: il corteo è più importante. Ma le opinioni diverse hanno una loro legittimità e a queste va concesso rispetto e spazio. Perciò scrivo. Non mi piacciono i ricatti come non mi sono mai piaciute le imposizioni, le costrizioni, le censure di nessun genere. Perchè le mie priorità parlano di violenze e violazioni, da qualunque parte esse arrivino. Perchè i conflitti vanno agiti ora, adesso, subito (perchè non stiamo in un partito che di per se’ è “contenitivo” dei conflitti). Altrimenti, per dirla come la cara Slavina “, per la rivoluzione, aspettiamo la pensione…”


Questo è
il “diverso” che gravita in mezzo a noi e fare finta che non esista non aiuterà a fare meglio una lotta contro la violenza sulle donne, specie se questa esclude altre donne che questa lotta, in chiave personale e politica, la fanno da quando sono in fasce. Operare rimozioni del conflitto è come voler rinunciare ad una grande ricchezza che invece va presa, abbracciata e coinvolta. Percio’, sempre con amore e grande stima per le donne che stanno lavorando a Roma per la buona riuscita di questa iniziativa, io continuo ad invitare quanti non si sentono compresi nella lotta separatista a unirsi a chi vorrà attuare una partecipazione critica in fondo al corteo tra i gruppi misti.

Ed eccovi il pezzo tratto da un comunicato di GayToday riferito alla scelta separatista:


Noi questa scelta non la condividiamo, in nessun modo. Non vogliamo
mettere in discussione le teorie femministe separatiste, non è questo
il “luogo” ed il modo più opportuno, ma non possiamo tacere la nostra
dissonanza ed il nostro rammarico.
Crediamo e ci impegniamo
quotidianamente nella lotta ad ogni forma di discriminazione, violenta
e non, e siamo convinti che l’unica strada percorribile per ottenere
uguaglianza e rispetto dei diritti umani fondamentali sia quella
dell’impegno condiviso attraverso l’integrazione e la partecipazione di
tutte le realtà sociali.
È impossibile per noi pensare che una
manifestazione di sensibilizzazione politica la si faccia escludendo
dei soggetti. Diventa ancora più grave apprendere che questa esclusione
è basata su una discriminazione d’identità sessuale.
Noi di
GayToday non ci stiamo ad accettare questa assurda linea politica
secondo la quale la violenza è iscritta nel DNA di ogni essere umano di
sesso maschile.
Con rabbia rifiutiamo questa ideologica
generalizzazione e con delusione constatiamo che la battaglia contro le
discriminazioni diventa senza fine se la si continua a portare avanti
con queste teorie anacronistiche e con questi arroccamenti ideologici. 

—>>> Il dibattito continua anche QUI 

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Aggiungo un articolo di Liberazione scritto da Stefano Ciccone di Maschile Plurale:


In piazza dopodomani
io maschio non vengo. Ma…

Parla un uomo che, con altri, si batte contro gli stereotipi patriarcali.
E non rinuncia ne’ a questo conflitto ne’ al dialogo con le femministe


Stefano Ciccone

Il 24 novembre si svolgerà a Roma una manifestazione nazionale contro la violenza e si terranno centinaia di incontri in tutta Italia.
La violenza maschile contro le donne diviene oggetto di una mobilitazione che ne denuncia il carattere sessuato e il nesso con un modello culturale condiviso. Senza questa capacità di vederne le radici la lotta contro la violenza rischia di farsi generica e ambigua. Così la violenza maschile contro le donne rischia di essere strumentalizzata: per alimentare campagne xenofobe, per rimuovere il nodo vero che riguarda il nesso dei rapporti tra i sessi. La volontà dell’assemblea nazionale di Roma delle donne di costruire una manifestazione di sole donne credo intenda rompere questa ipocrisia con un gesto conflittuale con la cultura e il senso comune in cui nasce la violenza .

Credo sarebbe però un arretramento assecondare l’idea che la violenza sessuale, gli abusi in famiglia siano “affare di donne” questioni di cui la Politica o la società non debbano occuparsi se non come questione di ordine pubblico. Non si tratta di una questione femminile ma al contrario dell’emergere di una “questione maschile” che chiede una presa di parola maschile.
Da alcuni anni la lotta contro la violenza sessuata non è oggetto solo di iniziativa delle donne. La prima occasione di un incontro tra uomini, a Roma, circa 20 anni fa nacque proprio dall’invito delle studenti a noi loro compagni a non aggregarci in modo conformista e superficiale al corteo dell’otto marzo ma a costruire una nostra riflessione e iniziativa.

Da allora è cresciuta una pratica maschile, ancora limitata e poco visibile, che parte dal contrasto alla violenza sessuata per una riflessione sulla costruzione sociale della mascolinità e per costruire spazi di libertà anche per gli uomini da un “destino” schiacciato sugli stereotipi della virilità e sul dominio. Un anno fa con l’appello “La violenza contro le donne ci riguarda, prendiamo la parola come uomini” questo impegno ha assunto nuova visibilità ed ha coinvolto singoli e associazioni. Oggi la rete di gruppi di riflessione e iniziativa maschile rilancia questa iniziativa riaffermando che non è possibile contrastare la violenza senza aprire un conflitto con la cultura che la genera.
Un conflitto che, crediamo, vada agito anche da uomini che riconoscono nelle forme delle relazioni tra donne e uomini dominanti e nei modelli di vita assegnati ai due sessi, la fonte di una oppressione che immiserisce anche le proprie vite.

Assumere invece la corrispondenza tra un ordine, un sistema di gerarchie e poteri e l’esperienza umana dei singoli uomini, porta ad affermare che la crisi di quell’ordine rappresenti una minaccia per ogni uomo, che il cambiamento delle relazioni tra i sessi, la crescita della libertà delle donne sia fonte di sofferenza e disagio per ogni singola vita maschile. Noi riteniamo che questa trasformazione rappresenti al contrario un’opportunità.
Scegliamo di aprire su questo un confronto ed un conflitto tra uomini, che, oltre semplici e ipocrite denunce della violenza, ascolti le domande che attraversano le nostre vite e costruisca risposte diverse da quelle della reazione revanchista e della nostalgia identitaria.
Ma le forme tradizionali di conflitto tra uomini, ci appaiono inservibili e ambigue: i figli che detronizzano i padri, la competizione tra maschi, la denuncia da parte degli uomini, civili ed evoluti delle violenze di “culture” altre di cui celiamo il volto maschile.

I gruppi maschili hanno così preferito dedicarsi a percorsi di condivisione e consapevolezza, vedendo nella presa di parola e nell’azione politica pubblica il rischio dell’inautenticità, dove il parlare del mondo diventa un modo per non parlare di sè, guardando con sospetto alla stessa gratificazione del partecipare ad una manifestazione contro la violenza degli altri uomini che può rappresentare l’occasione per la rimozione pacificata della necessità di una riflessione su se stessi.
La partecipazione di uomini al corteo del 24 è però divenuta occasione di un conflitto tra donne. So che sarebbe un errore far diventare questo elemento il dato centrale che paradossalmente occulta le ragioni di questa giornata. Non potendo partecipare a questo dibattito posso solo non imporre una presenza maschile. La mia idea di politica non si riduce al partecipare a un corteo e dunque proseguirà anche dopo il 24 in dialogo con le donne. Questo dialogo deve però avvenire in reciproca autonomia e in reciproco riconoscimento. Nè credo che la scelta della separatezza nel corteo del 24 possa prescindere da una riflessione sulle pratiche nei luoghi misti nei movimenti e nei partiti in cui troppo spesso si conferma la centralità degli uomini di potere e in cui difficilmente si produce una critica visibile verso forme gerarchiche di delega e di appartenenza.

La pratica che abbiamo costruito come maschileplurale e come gruppi di uomini, per quanto limitata, chiede di essere riconosciuta per la sua realtà. Affermiamo che esiste un’articolazione tra uomini non per “porci fuori” da una responsabilità collettiva e da una storia di cui siamo parte. Proprio l’attraversamento di questa storia e il rifiuto di ogni estraneità alla violenza e al potere hanno caratterizzato il nostro percorso. Chiediamo però un’interlocuzione politica non semplificata sulle rappresentanze di genere. Vogliamo marcare lo spazio e la distanza tra la storia di ogni uomo e le rappresentazioni di genere, le istituzioni e le strategie di potere maschili per rendere possibile un cambiamento e una rottura di complicità. Non ci interessa una politica che agisca un conflitto contro qualcosa di astratto ed estraneo incapace di riconoscere che da questi conflitti siamo attraversati e attraversate. Assumere la corrispondenza tra un ordine, un sistema di poteri e l’esperienza umana dei singoli uomini, porta a dire che la crisi di quell’ordine rappresenta una minaccia per ogni uomo, che il cambiamento delle relazioni tra i sessi, la crescita della libertà delle donne è fonte di sofferenza e disagio per ogni singola vita maschile. Noi riteniamo che questa trasformazione rappresenti al contrario un’opportunità.

Se il conflitto è con un Maschile a tutto tondo, i possibili posizionamenti per me uomo sono o l’ipocrita solidarietà, o la superficiale dichiarazione di estraneità o la reazione revanchista o depressa. Io sento invece che questo conflitto che le donne hanno reso visibile nella società è un conflitto che anche io posso agire, dal mio punto di vista, per la mia libertà.
Con il movimento delle donne vogliamo costruire luoghi di relazione che non si fermino alla denuncia dell’arretratezza della politica o della difesa del potere da parte maschile, ma dove la relazione e il conflitto tra donne e uomini faccia parlare le concrete vite e soggettività. Questa scelta richiede di riconoscere questa relazione come potenzialmente trasformatrice da chi la pratica.
La giornata del 24 può essere l’occasione per fare un passo avanti nella relazione politica tra donne e uomini e per produrre quel conflitto necessario che contrasti la violenza e apra nuovi spazi di libertà per tutti e tutte.

22/11/2007

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E aggiungo anche un articolo dal Il Manifesto

Un cambio di civiltà contro la violenza sulle donne

 

«La violenza contro le donne ci riguarda,
prendiamo la parola come uomini», così affermava l’appello che un anno
fa ha raccolto centinaia di adesioni rilanciando una presa di parola
pubblica maschile contro la violenza e dando vita a molte esperienze di
scambio e confronto sia tra uomini, sia con le donne.
Oggi, contro
la violenza sessuata non ci sono più soltanto le donne. E’ cresciuto
nel nostro paese un impegno di uomini, singoli, gruppi e associazioni,
contro la violenza sessuale e per un cambiamento culturale e sociale
nei modelli maschili e nei rapporti tra i sessi. Una presa di coscienza
maschile che però stenta a divenire visibile e a determinare scelte
politiche e comportamenti coerenti. Troppo spesso la denuncia della
violenza contro le donne da parte della politica e dei mezzi di
informazione tende a occultare questa necessità e veicola messaggi e
valori ostili alla libertà delle persone di progettare la propria vita
oltre gli stereotipi e le rappresentazioni dei ruoli sessuali,
gerarchiche e fisse.
In vista della Giornata internazionale contro
la violenza alle donne del 25 novembre, torniamo a chiedere agli uomini
di assumersi le responsabilità e l’impegno per un cambiamento che
riguardi la nostra vita quotidiana, le nostre famiglie, gli ambienti di
lavoro e di studio.
Il percorso che abbiamo fatto con altri uomini
ci porta a dire che non basta essere genericamente contro la violenza:
è necessario denunciarne le radici in una cultura condivisa e diffusa.
Sentiamo il rischio che questa giornata si riduca a un rito
pacificatore fine a se stesso, nascondendo la necessità di aprire un
conflitto esplicito con luoghi comuni, pregiudizi e culture, complici
della violenza o quantomeno suo retroterra naturale.
La violenza
maschile contro le donne è un dato strutturale della nostra vita
sociale, delle relazioni tra donne e uomini nelle nostre famiglie, nei
luoghi di lavoro e di studio, nelle nostre città; dello stesso segno è
la violenza che si dirige contro tutto ciò che non rientra nel
tradizionale stereotipo di maschile/femminile, come la violenza
omofoba. Per sradicare queste violenze, è necessario rompere con la
cultura diffusa che le produce. Alimentare l’immagine di uno «stato di
eccezione» che richieda provvedimenti di emergenza è un modo per
allontanare la consapevolezza di questa realtà. Le ricerche e le
statistiche evidenziano che nella stragrande maggioranza dei casi gli
autori delle violenze sessuali e degli omicidi sono i partner, i
familiari, gli ex, o i colleghi; mass media e rappresentanti politici
continuano invece a rappresentare la violenza contro le donne come
opera di stranieri e sconosciuti. In questo modo si occulta il fatto
che la violenza contro le donne è trasversale alle culture e attraversa
profondamente la nostra stessa società e gli stessi spazi domestici e
familiari.
A questo proposito, denunciamo l’uso strumentale di questi
episodi per fomentare campagne mediatiche e politiche a sfondo
xenofobo, che sottraggono responsabilità ai maschi italiani e
aggiungono violenza a violenza, anziché aiutarci a affrontare insieme i
nodi di fondo della violenza maschile che attraversano le relazioni
quotidiane. La violenza maschile non è un «corpo estraneo» da espellere
perché riguarda la nostra stessa cultura: crediamo che la xenofobia, la
negazione della differenza, il ricorso alla violenza per imporsi, la
difesa virile dell’italianità e l’ergersi muscoloso «a difesa delle
proprie donne» siano parte dello stesso universo culturale maschilista
in cui cresce anche la violenza contro le donne. La violenza, inoltre,
rimanda al rapporto tra potere, libertà e autonomia tra donne e uomini.
Spesso le violenze sono la reazione a scelte autonome di
determinazione, di crescita personale, di donne che si muovono con
diritto da sole. Eppure le campagne contro la violenza tendono a
riproporre un’immagine delle donne come soggetti deboli da porre sotto
la tutela dello stato. L’autonomia delle donne è per noi non una
minaccia a cui reagire con violenza, ma un’opportunità.
Come
uomini abbiamo un grande guadagno possibile da un cambio di civiltà:
una maggiore ricchezza e intensità nell’esperienza del nostro corpo,
della nostra sessualità, del nostro desiderio, delle nostre emozioni;
una nuova capacità di cura di sé, dei propri cari, dei propri figli;
una qualità migliore delle relazioni, tra noi uomini e con le donne;
una vita meno ossessionata dalla competizione, meno segnata dalla
violenza; un mondo di donne e uomini più civile e pacifico, più capace
di rispondere a una nuova domanda di senso che attraversa la vita di
moltissimi uomini. Donne e uomini contro la violenza.
In occasione
del 25 novembre si svolgeranno molte iniziative promosse da donne
appartenenti a diverse culture politiche e a diversi livelli
istituzionali. E’ stata anche indetta una manifestazione nazionale
delle donne contro la violenza il 24 novembre a Roma. Il percorso
collettivo che come uomini abbiamo vissuto fino a oggi ci porta a non
limitarci a solidarizzare con questa mobilitazione delle donne. Molti
di noi si sono attivati con iniziative contro la violenza organizzate
nelle diverse città italiane. Vogliamo contribuire con la nostra
autonoma riflessione e domanda di cambiamento, ma vogliamo anche
intrecciare con queste iniziative un dialogo che valorizzi il lavoro
comune fatto e che vada oltre la giornata del 25 novembre creando
occasioni di cambiamento di sé e delle relazioni sociali tra donne e
uomini.
Chiamiamo tutti gli uomini a esprimersi, assumersi con noi
la responsabilità di un impegno attivo per un cambiamento culturale
che, crediamo, è l’unica condizione per contrastare la violenza ma
anche un’occasione di libertà per noi uomini.
*** Stefano
Ciccone, Beppe Pavan, Marco Deriu, Alessandro e Gianluca Mereu, Roberto
Poggi, Massimo M. Greco, Alessio Miceli, Umberto Varischio, Alberto
Leiss, Claudio Vedovati, Orazio Leggiero, Jones Mannino,
www.maschileplurale.it

 

Posted in Corpi, Fem/Activism, Pensatoio.


3 Responses

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  1. FikaSicula says

    Deceptacon anche io penso che domani sarà bello perchè guarderò finalmente negli occhi tante compagne che amo e con cui è un piacere discutere anche delle cose che ho scritto sopra. e di persona i toni sono meno aspri perchè noi conosciamo le ragioni vere della nostra sorellanza 🙂

    imprecario qui sei il benvenuto e le tue riflessioni sono una grande ricchezza per me e per chi legge questo blog. condivido molte delle cose che dici. circa il rischio che il dibattito si sposti sulla storia del separatismo (e’ già successo purtroppo e quindi tanto vale spiegarne le ragioni) ti rimando invece al commento di una delle care compagne (brina) che organizzano a roma che dice qual’e’ il rischio vero del corteo e per risolverlo c’e’ bisogno dell’aiuto di tutti, anche il tuo. quindi vieni e ci troverai numerosi/e 🙂

  2. imprecario says

    non so ancora cosa farò domani, l’idea di uno scenario tipo il dialogo del mio ultimo post mi deprime. Probabilmente alla fine mi armerò della mia macchina fotografica (compagna inseparabile nelle manifestazioni) e cercherò di capire che aria tira e se è il caso di unirmi alla coda del corteo. Quello che resta di questa vicenda è una serie di considerazioni, anche in seguito ad una discussione con una vecchia compagna:

    1) ciò che uccide la sinistra è l’autoreferenzialità della sinistra. Mi chiedo se quando l’ultim* compagn* rimarrà sol* si renderà conto di ciò o continuerà a vivere nel su* mond* fatato fatto di immortali principi che moriranno con lui/lei

    2) Per molt* non è chiara ancora la differenza tra il ciclostile ed internet. La comunicazione viene gestita nello stesso modo: girando la manovella. La reazione a catena e la diffusione sulla rete che ha avuto questa manifestazione ha rappresentato, fino a qualche giorno fa, un elemento prezioso di sensibilizzazione … poi evidentemente ha spaventato l’ipotesi che il circuito diventasse più ampio del solito “io, mammeta e tu”

    3) La pratica ricattatoria di chi ha l’egemonia purtroppo non nasce e non muore con questa manifestazione. A parte questo vedo come molto reale il rischio di manipolazione e di stravolgimento dei contenuti da parte dei media e di spostamento dal tema della violenza maschile sulle donne alla contraddizione separatismo si/ separatismo no

    4) Sono stravecchie le categorie di analisi. Ieri mi è stata motivata la scelta separatista come baluardo all’arrivo in massa delle organizzazioni politiche e sindacali che premerebbero per una manifestazione aperta agli uomini! E a pensare che proprio qualche giorno fa era una compagna di rifondazione a giustificare il separatismo con l’esempio dello sciopero dei neri d’america contro la segregazione sui mezzi pubblici!!!!
    La nostra sindrome dell’ assedio a volte è veramente patetica.

    5)Una cultura delle differenze dovrebbe portare ad un’organizzazione che permetta l’esprimersi delle diverse modalità d intraprendere percorsi di emancipazione e liberazione. Vedo una specularità preoccupante tra il volere imporre al corteo il separatismo anche a chi non lo pratica e il ragionamento di base antiabortista per cui una opzione etica di Tizi* si vuole che condizioni il comportamento di Semproni*

    scusa lo sfogo ma quale posto migliore di questo fantastico blog 😉

  3. deceptacon says

    carissima Fika Sicula,
    ti ringrazio per tutte le riflessioni, connessioni e scompaginamenti disseminati tra le infinite maglie della rete e che mi hanno permesso di non perdere il filo di tutte le cose che sono state prodotte in questo ultimo mese. Come ti capisco quando scrivi che dopo il corteo bisognerà tornare a parlare dei conflitti che sono emersi in questa circostanza. Bisognerà tornare a parlare delle strategie che vogliamo mettere in atto nello spazio pubblico, cioè della necessità di comprendere i nostri posizionamenti nel momento in cui compiamo certe rivendicazioni; così come bisognera tornare a riflettere sull’impossibilità di non fare ricorso ad alcune categorie (come quella di “donna”, ad esempio), proprio nel momento in cui le vogliamo criticare, smontare, rifiutare…
    Al momento, però, non riesco a pensare ad altro che a domani, a come sarà bello immergersi in un flusso di corpi di donne che non si rassegnano, di uomini dissidenti, di passioni e forze che aprono alle infinite possibilità del cambiamento.
    un abbraccio forte
    deceptacon (aka fika pugliese)