Da Abbatto i Muri:
Niente paura, non sei più sola, c’è il capitalismo umanizzato che ti vende – alla modica cifra di 25 euri al pezzo – un braccialetto salvavita. Lo indossi e sei bellerrima e felice. Sorridente, in estasi, manco t’avessero venduto una droga di quelle buone. Del lancio di questo nuovo prodotto “contro la violenza sulle donne” parla Enrica che ne svela legacci e retroscena. Alla faccenda pare sia legata quest’altra impresa con foto che tentano, non riuscendoci, di imitare i volti in fase di orgasmo dell’ultimo film di Lars Von Trier (erano meglio gli orgasmi). Retorica di destra, fedele all’ideologia vittimaria, che relega le donne alla posa di soggetti deboli che pur di stare al sicuro dovranno armarsi di pozioni e amuleti magici. Se mai la stessa impresa volesse “venderci” una spillina per salvarci dalla disoccupazione sarebbe il massimo: perché il “capitalismo dal volto umano” sfrutta l’ideologia vittimaria che è di per se’ una fabbrica di stereotipi e dispositivi di potere. Ti governo in nome del tuo essere vittima, io vendo in nome del tuo essere vittima, vendo gadgets, mi faccio prestare il volto di testimonial perché “donna” e “violenza sulle donne” sono un brand che vende perfettamente e il capitalismo investe su questi temi e non da ora.
Si chiama pinkwashing e anche industria del salvataggio, è un mercato in espansione, perché grazie alle donne ridotte a vittime, senza che abbiano mai potere di parola in quanto soggetti autodeterminati, si vende un buon governo, un partito, un consiglio di amministrazione, una riforma, tutto quello che fa parte del business carcerario, repressivo e securitario, ronde, polizie, carceri, armi, spray, braccialetti carcerari, eccetera eccetera, e poi c’è il terzo settore e i professionismi dell’antiviolenza e ancora il marketing che coinvolge i media, così consapevoli del fatto che parlare di una donna morta e parlarne in un certo modo regala audience, chilometri di trasmissioni televisive in cui personaggi ignoti diventano improvvisamente noti, dove le donne sono sempre oggetti e mai soggetti, giacché si parla di loro in terza persona perché una vittima di violenza che si alza in piedi e dice basta a tutto ciò non viene ascoltata affatto. Anzi. Viene messa a tacere. O fai la vittima vittimizzata o non esisti.
Il capitalismo si serve delle donne per vendere qualunque cosa e se hai un occhio nero vendi meglio, perché la vittima vende di più. Perciò serve che le donne siano oggetto di decisioni altrui invece che soggetti che determinano la propria strategia di salvataggio. Quel che il capitalismo promuove, al pari del patriarcato, è il tutoraggio. Tu sei una vittima e dunque serve che tu sia salvata, finanche grazie a un braccialetto carico di simbolismi, caruccio ma ovviamente inutile allo scopo. Di tutto questo avevo parlato anche nel post sul femminismo necrofilo e la vittima come modello sociale. Vi invito a leggerlo se non l’avete già fatto e poi invito le donne a riflettere: davvero volete essere usate da chi non attende altro che voi siate oggetti di mercato? Potete farlo, certo, nessuno vi giudicherà per questo, anzi, perché per campare si fa questo e altro, ma bisogna essere consapevoli del fatto che la figura della “vittima” si vende al pari della modella che espone il corpo in forma autodeterminata o della sex worker che vende servizi sessuali per libera scelta, giacché stiamo parlando di pornografia emotiva e talvolta anche di morbosi e macabri dettagli che stimolano fantasie in chi vive di questo genere di eccitazione. Perciò autodeterminate la vendita di quel servizio, siate consapevoli del fatto che avete un prezzo e che siete voi a doverlo stabilire. Vendetevi bene perché consegnarvi gratis sarebbe sciocco.
Prendete parola e spazio pubblico, non fatevi rappresentare da chi parla di voi e ignora perfino la vostra esistenza. Le vittime organizzino spazi e luoghi di lavoro, perché se c’è mercato di vendita allora che siano le stesse vittime a guadagnarci per campare, risarcirsi di quello che non hanno e ricominciare. Parrebbe poco dignitoso perché chi vittima lo è stata per davvero non ha spesso alcuna voglia di trascinarsi in quel ruolo per tutta la vita, non ne fa uno status e figuriamoci un commercio. Però i tempi sono cambiati e allora, mie care, come già ebbi modo di scrivere qualche tempo fa, bisogna organizzare i gruppi di “vittime” che parlano per se’, soggetti autodeterminati che non lasciano ad altri delega di rappresentazione e narrazione di quello che ci riguarda. Siamo noi che dobbiamo raccontare quello che abbiamo vissuto e come lo abbiamo risolto. Siamo noi, eventualmente, che dovremmo metterci a vendere servizi e braccialetti. Perché l’idea è buona e se ‘sti ragazzi guadagnano un posto di lavoro e così possono rilanciare una attività fanno più che bene. E i posti di lavoro per noi? Il reddito e le case che non abbiamo?
Infine: vi invito ad osservare il video che, se non fosse un lancio promozionale di un prodotto, ci sarebbe davvero molto da dire. Sembra una parodia. Cosa vuol dire che almeno una donna su sette ha subito una qualunque tra le tante forme di violenza? Chiunque ha subito una qualunque tra le tante forme di violenza. Ed ecco parlare di violenza mollando per strada la specificità di genere, anzi, fagocitandola per riconsegnartela come psicofarmaco sociale che in questo modo ti fa ritenere quanto sia prioritaria la lotta contro una generica violenza sulle donne mentre quello stesso capitalismo rende flessibile il tuo lavoro, lo precarizza, privatizza i servizi, smantella lo stato sociale, ti priva della possibilità di ottenere diritti e privatizza anche la solidarietà. La lotta contro la violenza sulle donne è diventata un’arma di distrazione di massa al servizio del capitalismo. Alcune donne e femministe che si occupano di violenza domestica sono diventate “ancelle del capitalismo“.
Lo scrivo da tempo. Forse ora, dopo tanto raccontarci queste cose e tanti insulti ricevuti per aver infranto il dogma, potrete rendervi conto che è esattamente così. Svegliatevi sorelle. Ma svegliatevi sul serio.
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