Skip to content


Sarai libera di essere conformista! (che culo!)

Da Abbatto i Muri:

Prosegue la “dialettica” tra femminismi, salvo quei casi in cui essere pro/contro il bikini della Bacchiddu può costarti veramente un ban :D.

Provo ad articolare una risposta al post di Cristina Morini tenendo conto anche di un commento di Anna Simone che scrive: “Secondo me dovremmo rivederci tutte e organizzare qualcosa per ripensare i motivi della libertà femminile oggi!“.

Perché il punto chiave, come io umilmente provai a dire pubblicando il saggio di Valeria Ottonelli, è proprio quello della “libertà”. La libertà di Paola di pubblicare una fotografia con un bikini, di andare oltre le critiche e gli insulti ricevuti, di farsi una fotografia con una collega. Perché è di questo che si sta parlando. Si parla del fatto che le sue azioni avrebbero una ricaduta su tizia, caia, sempronia, dunque su persone interne alla lista Tsipras, su altre femministe che della lista se ne fregano il giusto e su donne che in generale ritengono che il linguaggio dei corpi debba essere inserito in una dinamica più militante. Non sottovaluto nulla. Rispetto ogni posizione comprensibile ma il punto è che si tenta, in una maniera un po’ più arzigogolata, di dare spessore e consistenza, dal punto di vista culturale, ad una opposizione che in generale parte dal presupposto di cui parla Anna Simone. C’è chi, in gruppo, vorrebbe “ripensare i motivi della libertà femminile oggi“.

Pensare che un gruppo di donne possa riunirsi e ragionare dei motivi della “mia” libertà a me preoccupa un po’. Perché non trovo differenza tra i recinti culturali che ho superato, faticosamente, provando a combattere tra dipendenze e precarietà quando le donne del mio territorio mi guardavano male perché vivevo non secondo le regole che loro accettavano per se’, e quelli che un gruppo di femministe potrebbe realizzare per dirmi quando, dove, come, le mie scelte e azioni possono dirsi libere.

In generale: mi dispiace che non si riesca a notare come un femminismo moralista esista (eccome se esiste!) e mi spiace che ne esca legittimato da una discussione in cui pur di ripristinare l’ordine costituito vedo un lieto scambio di like e opinioni e consensi tra femministe e donne che se non avessero un nemico esterno si scazzerebbero dalla mattina alla sera tra di loro. Trovo rischiosa la sintonia creata tra femministe della differenza, abolizioniste della prostituzione, antiporno, promotrici del maternage sociale e istituzionale, donne di sinistra che non votano, situazioniste e comuniste, donne lievemente destrorse e conservatrici, su un fatto che le ha messe tutte immediatamente d’accordo: Paola non aveva la libertà di fare quello che ha fatto perché “il corpo è mio ma non è mio” (Dominijanni dixit) e perché bisogna pensare la propria libertà senza ritenersi sovrane del proprio corpo e delle proprie scelte giacché bisognerebbe mettere tutto ciò in relazione alle altre donne (mi pare questa sia la sintesi di quanto scritto da Cristina Morini).

A me fa piacere che Cristina tiri fuori il tema della biopolitica perché è politica sui corpi, in questo caso sul corpo di Paola Bacchiddu, che si sta facendo, e non capisco come questo possa essere comprensibile e giusto. Perché possono non piacerci i selfie, può non piacerci facebook, nel quale però restiamo a ragionare con le amiche e colleghe, possono non piacerci tutti i prodotti della comunicazione attuali, per quanto alcune critiche mi sembrino pretestuose e demonizzanti dei mezzi che si usano più che del resto. Possono non piacerci molte cose ma questo non significa che altre non abbiano il diritto di preferirle.

Di selfie vive tra l’altro ormai anche la nostra comunicazione militante. Per il diritto all’autodeterminazione, l’aborto, la 194, contro la precarietà, per raccontare la lotta NoTav, in solidarietà a Marta (ricordate?), per mille e mille altre buone ragioni i selfie sono stati un mezzo per raccontare un altro punto di vista, perché la comunicazione non la snobbi, la attraversi e la contamini, la risignifichi, per dirla con un termine usato del dibattito in corso. Quello che ha fatto Paola è criticabile perché non avrebbe risignificato? E vogliamo metterci d’accordo su cosa sia la risignificazione e la sovversione dei linguaggi? Perché dubito che su questo avremo tutte la stessa opinione. E insomma: cosa le si rimprovera? Di non apparire abbastanza proletaria? Di non essere troppo pornoterrorista? Di non essere troppo Femen? Era una foto. Sulla sua bacheca facebook. Messa lì con ironia. E per questo troppa gente l’ha messa in croce e ancora oggi c’è chi addirittura le imputa la difficoltà della lista Tsipras a forare con la campagna elettorale. Appunto.

Ma al di là del fatto che questa cosa la condividiate o meno il punto è se nel suo contratto di lavoro c’è scritto che non potesse mostrarsi in bikini sulla sua bacheca. Se lei ha firmato un tale divieto allora la questione riguarda puramente lei e il suo datore di lavoro. Se non esiste quel divieto, e se ci fosse sarebbe a mio avviso molto grave, in special modo per una lista di sinistra, non si capisce come e perché le donne dovrebbero avere il diritto di sindacare sulla sua scelta. Allora a me viene in mente che la sovrapposizione tra candidate della lista Tsipras, amiche di candidate e persone vicine alla lista e il mondo del femminismo crei una sorta di cortocircuito per cui si cerca una risposta politica e filosofica a qualcosa che attiene ad altro. Quelle che dentro la lista non condividevano quell’azione, per ragioni ideali, di opportunità, o non so cosa, hanno spostato, secondo me, il malumore su un altro piano che ha finito per coinvolgere tutte.

Ha finito per coinvolgere perfino quelle che con la lista non c’entrano niente e che non votano neppure. E queste ultime sono quelle che rispetto di più perché la loro posizione è quella più squisitamente politica e si tenta un superamento di quello scontro polarizzato tra chi è pro o contro il bikini della Bacchiddu. Perciò, credetemi, considero molto importante che se ne discuta ma se si arriva, alla fine, a queste conclusioni, mi chiedo di che femminismo ci si nutre e dove sta la “sorellanza”, il rispetto per l’autodeterminazione altrui. Non è forse quello di Paola un atto di libertà di cui tenere conto? Non merita forse rispetto? In che modo l’atto di libertà di Paola danneggia le altre? Quali altre? Ha forse lei costretto qualcuna a fare quello che per libera scelta ha fatto lei?

Allora torno al tema della libertà femminile (davvero c’è  un maschile e un femminile quando si parla delle libertà? mah!) che, secondo Morini:

si alimenta sempre del valore relazionale fra donne e non può mai essere immaginata come espressione puramente individuale, sganciata da un processo di interazioni e relazioni che risponda alle diverse interpretazioni della libertà femminile, valutando anche le conseguenze sulle vite poste ai margini e tra confini che rispondono alle diverse interpretazioni del potere. Pensiamo per esempio alle donne migranti la cui soggettività è data dalla compresenza simultanea di diversi assi di potere: da quello patriarcale tradizionale ai processi economici e politici che usano il linguaggio efficientista del neoliberalismo.

Non lo capivo nel linguaggio di Dominijanni e non lo capisco neppure ora. Questa faccenda di incastrare la mia azione libera in un processo di relazione “fra donne” (non tra persone? non tra affetti o per affinità?) per tutte le ragioni sopra descritte per me ha senso fino ad un certo punto. Forse che le donne non sono a volte organiche al potere e alla conservazione? Forse che non sono normative ciascuna a proprio modo? Forse che nelle nostre scelte non ci siamo mai trovate a compiere atti di rottura trovandoci in forte dissenso anche con le donne? O l’unico atto di rottura e l’unica scelta da compiersi in modo indipendente (qui detta in termini denigratori come “espressione puramente individuale“) può avvenire solo quando dovrò prendere le distanze dalle azioni maschili?

Nella mia comunicazione militante, giusto per parlare di scelte di relazione, io scelgo di parlare di donne senza mai sovradeterminare e offendere le precarie, le migranti, quelle di altre culture e religioni, di differente orientamento sessuale, di diversa etnia e provenienza, di diverso mestiere e diversa precarietà. Vorrei però capire in cosa, esattamente, la scelta libera di Paola avrebbe offeso tutta questa gente. In che modo può essere risultata offensiva per le migranti? E poi, siamo sicure che le donne, tutte, e le migranti, tutte, vanno considerate come corpo unico che deve viaggiare compatto alla meta? Siamo sicure che dentro quei nuclei non si manifestino differenze e azioni di rottura, scelte libere e “individuali”, sganciate dal branco, per guadagnare in premio una qualunque forma di emancipazione?

A me pare di si, penso che di conflitti tra donne ce ne siano tanti, più spesso rimossi o inibiti con l’evergreen “non facciamo la guerra tra donne“. Mi pare che non siamo uguali e che pensiamo cose diverse e lo stiamo ampiamente dimostrando in questi giorni, con la incapacità, spesso, di gestire i conflitti, di riconoscere la differenza dell’altra, e di smettere il piglio giudicante che vorrebbe normare e limitare la libera scelta altrui con le motivazioni più varie. Qui non si tratta perciò di rispondere alle diverse interpretazioni del potere o di smarcarsi dal linguaggio del neoliberalismo. Qui si tratta del fatto che non si può imporre alle donne, tutte, “i motivi della libertà femminile“, anzi, direi che questa cosa non si può imporre a nessuno, uomo o donna che sia. Perché se si stabilisce che solo io so quali sono i motivi per la tua libertà tu hai smesso di essere libera. Ti si chiede soltanto di conformarti e di conformismi, nel femminismo, direi che non ne abbiamo affatto alcun bisogno.

—>>>Segnalo QUI un articolo su Lenin in rapporto a donne e sessualità e aggiungo poi un pezzo tratto da un post di Valerio Mele:

“Ancora si parla di “reificazione”?… di riduzione a cosa, a oggetto? Il timore che esprime qui Cristina Morini ha dell’anacronistico… con una certa nostalgia del “soggetto”, con una necessità (da parte di chi? di quale istanza? di quale composizione? di quale comando “rivoluzionario”?) di fare ordine in quel “femminismo libertario” che si agiterebbe “scompostamente in rete”. “Tutto si gioca tra libertà individuale e libertà collettiva”, sostiene, riproponendo (si tratta di una pallida eco di confronti storici ben più tragici) vecchie istanze “marxiste” di organizzazione, di temperamento degli eccessi “individualisti”, da parte di una lotta (?) che si vorrebbe, in questo caso (e qui è la novità comica, più che tragica), più signorile, più “composta”, appunto… con un’egemonia di intellettuali sulle istanze della “base”, come si diceva una volta… Voglio dire: perché preoccuparsi di cosa succede là sotto? Quale istanza, quale “potere costituente” vorrebbe prendere la parola e si lagna perché le masse si alienano, si reificano, si mettono a fare pompini o sesso violento? In nome di cosa si giudicano troppo “scomposte” le pratiche testuali o sessuali di chi scrive cose come quelle su “Al di là del Buco” (con tutti i suoi limiti e defezioni)? In nome di quale “soggetto”, intero, “normale”?
Lo stigma finisce per colpire financo la “psicosi” (“Facebook e i social network come il terreno dove diviene evidente la trasformazione della relazione in commodities con tutte le ansie psicotiche che questa trasformazione comporta”), con tanti cari saluti alla “schizoanalisi” (o quantomeno ai tentativi di superamento del paradigma che istituì tutte le altre forme di reclusione, secondo Foucault)… Si è tutti a rischio TSO richiesto dai sostenitori del “comune”? Dovremmo de-reificarci pena il non accoglimento in nuovi circoletti esclusivi? (…il mio punto di vista non è nemmeno “umano”, figuriamoci).”

Ps: vorrei rispondere anche al post che Maria Luisa Boccia ha condiviso sulla bacheca di Angela Azzaro ma non mi è chiaro se si tratti di una formale protesta contro quelle che hanno dissentito dalle posizioni vicine al femminismo della differenza o se proponga qualcosa che possa farci andare avanti nella discussione. Le ho risposto brevemente qui. Di più, al momento, non so dirle.

Ri -Ps: suggerirei, per evitare la sovrapposizione di umori avvelenati dalla campagna elettorale, di rinviare questo dibattito a dopo il 25 maggio. Ma se volete continuare fate pure… 🙂

—>>>Leggi la risposta di Mario Gamba a Cristina Morini: Il corpo a corpo con il capitale.

Leggi anche:

Un corpo a corpo – di Elettra Deiana
Il corpo è mio o non è mio? Risposta a Ida Dominijanni – di Angela Azzaro
Libertà (evitare le crociate di liberazione delle altre donne, please!) – di Valeria Ottonelli
Davvero il corpo è mio ma non è mio?
Femminismo: io sono più autodeterminata di te
Cara Dominijanni, il femminismo stesso può essere “ancella del neoliberismo”!
Paola Bacchiddu e il “bene” superiore del partito!
I 10 Comandamenti del Femminismo Moralista
#Adinolfi, il culo per Tsipras e l’antisessismo di comodo
Paola Bacchiddu, c’era una volta un bikini che indignò le moraliste
Le critiche ai culi scoperti e il femminismo moralista
Ce lo chiede l’Europa: “Il corpo è mio è ci faccio quello che voglio io!” – la campagna di solidarietà per Paola Bacchiddu.

Posted in AntiAutoritarismi, Corpi/Poteri, Critica femminista, Pensatoio, R-esistenze, Scritti critici.