Da Abbatto i Muri:
No, non cercate di immaginare che tipo di prostituta io sia perché l’immagine che cercate di sovrapporre alle mie parole è rassicurante, stereotipata e non mi rappresenta. Io sono istruita, intelligente, in grado di scegliere e non ho alcun bisogno che voi mi descriviate come una povera reietta, un rifiuto sfortunato della società, che altri dovrebbero salvare. E’ proprio questo il punto dal quale faccio partire la mia storia.
C’era una volta un cliente abituale, di quelli che hanno in mente quell’immagine stigmatizzata della puttana schiava del pappone e che non può fare altro che apprezzare colui il quale vorrebbe “salvarti”. Diceva frasi tipo “quanto devono averti fatto soffrire…” o “sei stata stuprata da piccola?” oppure “mi dispiace davvero per la vita che fai… vorrei fare qualcosa per te…“. Dovete sapere che parte della recita che alcune volte una puttana deve portare avanti riguarda il fatto che bisogna capire quali sono le cose che possano rendere felice un cliente. E’ necessario dare supporto alla sua immaginazione, agevolare il suo desiderio, affinché lui stia meglio.
In quel caso era chiaro che quel cliente aveva bisogno di sgravarsi dal senso di colpa la cui radice forse era da attribuire alla sua repressiva e sessuofoba educazione cattolica. Non so. Quello che so è che aveva bisogno di sentirsi nobile, un innamorato sofferente, un paternalista utile, affinché io riuscissi a eccitarlo e dunque a farlo venire. Inutile, almeno all’inizio, precisare che non avevo alcun pappone, che quella era la mia scelta e che lui era soltanto un cliente come tanti altri.
L’immagine che della puttana viene diffusa in certi film è quella della fanciulla grata per essere tirata via dalla strada. Su questa cosa la società patriarcale ha realizzato un altro dei suoi mille puntelli attraverso i quali alle donne è stata inflitta subordinazione. Patriarcato vuole che bisogna essere grate se lui ti toglie dalla strada, se ti sposa e fa di te una “donna onesta”, chè se non sei sposata diventi disonesta, se riconosce tuo figlio dopo che t’ha messa incinta, se rende legittima la tua prole, se ti conduce all’altare e se, dunque, ti dà una collocazione sociale, uno status che conforta tutti quanti all’idea che l’unico sogno certo nella vita di una donna sarebbe quella di farsi scopare da uno soltanto e poi di godere di un matrimonio.
Voi non immaginate quanti sono quelli per i quali bisogna recitare il ruolo della vittima passiva delle decisioni altrui quasi che la loro sessualità fosse davvero intrisa di masochismo. Hanno bisogno di sentirsi colpevoli, e poi chiedono di essere aggravati dall’incarico di salvare le donne che restano in pericolo su tutto il pianeta. Non gliene fotte niente della madre, forse, che vedono a sparecchiare, cucinare, lavorare dalla mattina alla sera ma hanno in mente di salvare la puttana perché così la scopata a loro viene meglio.
Ci fu una volta, però, che lui risultò decisamente più insistente. Diceva di aver programmato ogni cosa, non pensava neppure che io potessi scegliere, perché d’altro canto lui mi offriva la libertà. La libertà secondo la sua idea di liberazione delle donne. Che io potessi sentirmi libera già così non gli passava proprio in mente ed è questa una cosa che espone le puttane, certe volte, alla violenza, né più e né meno di quello che accadrebbe quando una persona si sente rifiutata e innesca meccanismi che parlano di possesso e morbosa ossessione.
Sapete perché quelli così vengono dalle puttane e sulle puttane realizzano sogni d’ogni genere? Perché hanno bisogno di un soggetto debole, quello che non può opporsi alla loro idea di salvezza, per poi proporre lo stesso schema di schiavitù dal quale tante in realtà fuggono. Pensano di trovare una donna che non potrà dire di no, che accarezzerà il loro ego prima che il loro uccello e che, infine, sarà il loro perenne fenomeno da baraccone da esibire al mondo per dimostrare la loro bontà ovvero quella che subirà mille ricatti e colpevolizzazioni perché se tu sei la donna che lui ha salvato dalla strada non potrai che essergli grata in eterno.
Capisci? Dovrai scopartelo tutte le sere, dovrai servirlo e riverirlo, dovrai mostrargli gratitudine e diventare la sua perfetta geisha che lo fa sentire in ogni caso assai migliore. La cosa atroce delle liberazioni è proprio questa: sono nè più e né meno che progetti di colonizzazione, culturale, economica, fisica, da parte di persone che poi trarranno beneficio da essi e che subordineranno le tue richieste alle proprie perché quel che tu pensi e vuoi non godrà mai di alcun diritto alla legittimità.
Una puttana, così come stigma vuole, è perciò quella alla quale puoi fare indossare l’abito sociale che ti pare, le fai fare figli quanti ne vuoi, la rendi funzionale ad un altro percorso che è quello che porta alla riproduzione e cura, la fai diventare il tuo personale vessillo per darti una immagine pubblica socialmente accettabile e se non lo gradisci e sfuggi quella idea di “redenzione” ed “espiazione” del peccato allora ti guarderanno con disprezzo, odio, livore, rancore, cattiveria.
Quando cominciai a evitarlo perché diventava sempre più insistente lui diventò uno stalker. Si fece passare per un protettore da un altro cliente e lo cacciò via. Mi seguiva e mi aspettava a tutte le ore e io temevo di non poter più uscire di casa. Essere una puttana in una nazione in cui non puoi contare su una collega che vive con te, che divide il tuo stesso luogo di lavoro, perché altrimenti sareste entrambe accusate di favoreggiamento, ti rende oggetto di situazioni come questa. Sei sola e non puoi neppure rivolgerti a chi potrebbe provvedere perché se ti va bene ti chiedono uno sconto o la vogliono gratis, hai comunque addosso il marchio della puttana e se dici che un cliente ti vuole fare del male, dato che la loro idea di consensualità è già di per se’ piuttosto vaga, finisce che ti ridono in faccia.
Spiegai a quest’uomo che non volevo essere salvata, non mi interessava la sua proposta, non avevo alcuna voglia di essere la sua sposa, la madre dei suoi cazzo di figli e, forse, la serva della sua vecchia madre. Non mi interessava e non mi interessa tuttora perché la mia idea di convivenza con un partner è proprio un’altra. Allora non avevo un compagno e oggi che ce l’ho io so perfettamente che non mi basta affatto che uno mi dica che vuole salvarmi per innamorarmene. Mi salvo per mio conto e lui deve solo esserci, così io per lui, senza rifarsi l’ego sulla mia pelle perché non ha una vita autonoma e soddisfacente di cui godere.
Gli dissi che era semplicemente un cliente, glielo dissi senza scuse, in modo chiaro e diretto e questo non gli piacque, perché un cliente, alla fine, non è altro che una persona che ti tratta male se tu non ti sottometti al suo autoritarismo. E’ un uomo che potresti incontrare ovunque e che fa leva sulla marginalizzazione alla quale le puttane sono sottoposte, si serve dello stigma che è costruito apposta per fargli pensare che siamo oggetti delle decisioni altrui invece che soggetti e protagoniste delle nostre scelte.
Quando mi spinse nella stanza provai invano a farlo ragionare. Mi picchiò forte, mi spogliò. Piangeva mentre penetrava. Il pianto era per via della fine di quell’illusione. Ora doveva semplicemente tornare a vivere e ad affrontare il fatto che per relazionarsi con una donna avrebbe dovuto ascoltarla. Ascoltarla invece che ricucirle addosso risposte e identità che non le appartengono. Ascoltarla invece di far finta che lì non c’è una persona ma l’oggetto sul quale costruire un egoistico furto di autostima.
Ero piena di lividi, maltrattata, sfinita e lui mi gettò in faccia i soldi con disprezzo. Perché “puttana”, per lui e molti altri, non equivale a quella che la vende, quanto, piuttosto, a quella che non dice di si e rifiuta le loro paternalistiche attenzioni. Ed è così che mi fu chiaro come quel cliente non abusò di me in quanto prostituta ma in quanto donna, come capita in molte altre situazioni.
Quando raccontai questa storia ad una collega mi disse che anche lei aveva avuto la sua dose di legnate da parte di un cliente “geloso”. “E’ capitato a molte“, disse, “e capiterà ancora se non si capisce che il nostro è un mestiere e nulla più“.
E’ un mestiere. Il mio mestiere. Peccato non sia riconosciuto in quanto tale…
Ps: è una storia vera. Ringrazio la persona che me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è assolutamente casuale.
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