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Cara Dominijanni, il femminismo stesso può essere “ancella del neoliberismo”!

Da Abbatto i Muri:

A me la risposta della Dominijanni al post di Angela Azzaro sembra fumosa, collocabile in quella fascia di pensieri della medio/borghesia di sinistra che parla di anticapitalismo senza aver mai avuto le pezze al culo.

Lo dico con umiltà e rispetto per il suo percorso e i suoi grandi contributi al pensare femminista. Lo dico sentendomi più vicina a lei di quanto non mi sia mai sentita vicino alle Se Non Ora Quando.

Sull’idea di Libertà rimando al saggio di Valeria Ottonelli. Sul concetto di autodeterminazione racconto qualcosa QUI. Sull’idea di normatività bisogna ragionarne.

Mi riferisco in particolare a questo passaggio dello scritto di Dominijanni:

La vera domanda però non riguarda la normatività femminista, bensì la normatività neoliberale, di sistema come si sarebbe detto un tempo, sulle donne. Qui sta il difficile, perché il neoliberalismo non governa reprimendo bensì usando le libertà: non vuole le donne oppresse né represse, le vuole libere, liberissime. Nessuno oggi impedisce a una donna di fare tutti i gesti di libertà che vuole, anzi più questi gesti fanno scandalo meglio è, più la sparano grossa più sono bocconi prelibati da lanciare sul mercato, più esagerano più rispondono al principio prestazione-godimento. Questo non impedisce, ma a mio avviso complica molto il nostro esercizio della libertà, ivi comprese le pratiche ironiche parodiche e di risignificazione a cui tu ti riferisci e sulle quali ovviamente concordo, ma che diversamente da te io non credo possano essere pratiche solo individuali.

Allora parliamo della normatività neoliberale. Non è forse quella che usa il femminismo, le “donne”, la stessa lotta contro la violenza sulle donne, per farne un brand? Non ha a che fare con il pinkwashing? Cosa sono altrimenti le tante pagine di quotidiani, le trasmissioni televisive, le mille strumentalizzazioni, le campagne di promozione di questo o quello, l’antiviolenza declinata a partire da una pubblicità di una azienda che così vende più mutande, la legittimazione di cui gode un governo o un partito quando racconta di aver dato spazio alle donne e di aver proposto e votato leggi “in nome delle donne” anche se le donne non le ha mai ascoltate?

Bisognerebbe chiederlo alle Se Non Ora Quando cosa significa normatività, addomesticamento, normalizzazione del femminismo per volgerlo in direzioni che non ci riguardano. Bisognerebbe chiederlo a chi continua a insistere sul tema più brandizzato e gettonato dai media italiani, che è quello della tutela del corpo delle donne, così la normatività si celebra sulla pelle delle donne a partire da una esigenza che con le donne non c’entra veramente nulla. Perché è assolutamente vero quello che dice la Dominijanni, il capitalismo tritura tutto ma il femminismo non ne esce assolutamente indenne e dunque lei dovrebbe sapere come i suoi argomenti siano più che utilizzati, per esempio, da una comunicazione mainstream che sulla pelle delle donne realizza carriere, prospettive danarose e altro che poco c’entra con le donne in se’.

Non si può parlare di normatività neoliberale, neoliberista, senza considerare che c’è gente che della questione delle donne ha fatto un vero e proprio business. Perché logica di mercato vuole che tu offra brandelli di carne delle donne, sempre vittime, giacché è quella morta, il cadavere, la donna con i lividi, quella che muove le folle indignate, che è il “prodotto” più prodotto di tutte. Eppure, di fronte alle speculazioni di quel tipo, tutto tace. In poche abbiamo raccontato, puntualmente, come un certo femminismo abbia la precisa attitudine a svenderci e svendere le nostre ferite e le nostre lotte pur di guadagnarci qualcosa e fare guadagnare qualcosa ai gruppi, partiti, di appartenenza.

Perciò non è poi così vero che il mercato le donne le vuole “libere, liberissime” perché in realtà le vuole soggiogate, spendibili, le vuole oggetti e mai soggetti. Vuole la prostituta ferita e martoriata per poter ricavare spazio per l’industria del salvataggio, quella che consta di spese militari, galere, armi, e invece è tanto scomoda la sex worker autodeterminata che esige regolarizzazione. Vuole che quella che si mostra seminuda in un programma televisivo appaia in quanto vittima perché il pubblico non apprezza poi così tanto la donna che fa quel mestiere liberamente e senza alcun problema. Esiste un mercato delle mostruosità, l’emergenzialità, quello della shock economy e mi spiace dover essere giusto io a ricordarlo perché dovrebbe essere cosa più che nota. Ed è soprattutto a partire da quell’umore, quello del femminismo liberticida, autoritario e carcerario, finanche moralista e dunque certamente normativo, è a partire da quel femminismo che legittima censure e repressione che in questi giorni è partita l’offensiva contro il culo della Bacchiddu. E’ dall’umore del femminismo “ancella del neoliberismo“, per dirla alla Nancy Fraser, che arriva forte e chiaro il segnale secondo cui una donna deve per forza apparire vittima perché altrimenti, in una logica di grande conservazione, è necessario definirla come complice del patriarcato. Dunque in realtà le donne non sono affatto così libere di autodeterminarsi, di risignificare, di sovvertire e tutte quelle belle cose di cui si diceva, perché quando provano a farlo, anzi, torna il frame normalizzante, che ci riporta a ruoli antichi e stereotipati, noi vittime, angelicate, oppure incastrate per via di precisi codici militanti che diventano funzionali a tutto questo.

Io vivo nel mondo reale, dove le donne precarie si fanno il culo così dalla mattina alla sera e una cosa è chiara a tutte: senza reddito non c’è libertà. Per nessuna. Perciò ti trovi a dover gestire la tua vita giostrandoti tra un lavoro e l’altro, un appiglio precario e l’altro e bisogna fare questo strette tra due differenti modelli di normatività. Da un lato il vecchio modello patriarcale e dall’altro il femminismo “moralista”.

Chiarisco: capitalismo vuole che noi si resti a casa. Non siamo per niente liberissime di scegliere. Ci vuole a svolgere ruoli di cura e a riprodurci. L’antiabortismo non è una roba che viaggia in senso anticapitalista, anzi. E’ di supporto preciso ad un modello di società in cui le donne devono restare ferme alla norma etero/patriarcale, perché sfuggire da essa significa non lavorare più gratis per crescere i figli, curare gli anziani, per partorire altra manodopera a basso costo. Non è un caso se troppe donne di centro sinistra, che viaggiano in senso neoliberista, organiche al potere, a parte spingere per la totale precarizzazione del lavoro poi continuano a ragionare di conciliazione, in nome della differenza, che torna sempre in mezzo come scusa per difendere l’indifendibile. L’antiabortismo e l’adesione al modello della donna vittima, non sono affatto in contraddizione. Viaggiano insieme e vanno per neofondamentalismi: antiabortismo, antiprostituzione, antiporno, antinudo, anticulo.

Perciò davvero non ho ben capito dove Dominijanni vede tutta questa libertà. Siamo povere, precarie, obbligate a partorire, facciamo una fatica enorme a trovare una pillola del giorno dopo e un ospedale dove non ci sia un obiettore. Poi capita che per emanciparci dal bisogno dobbiamo scoprire il culo, fare lavori indossando divise improbabili e lì puoi risignificare quel che ti pare ma se hai da mantenerti e mantenere figli, se ne hai, c’è poco da discutere. E in quel caso che succede? Che un tempo trovavi solo i maschilisti e le moraliste vecchio stampo che ti davano lezioni di vita sul fatto che era meglio andare a lavare scale per due soldi e oggi trovi anche questa bella corrente di femministe, moraliste, che dall’alto delle loro posizioni si permettono di giudicare e instillare sensi di colpa e davvero non capiscono.

Non capiscono come l’economia, per quella che è, la puoi attraversare, risignificandola a partire dal fatto che tutto quel che fai è una precisa scelta. Una scelta comunque emancipatoria, si, come lo è perfino quella delle migranti che rischiano la vita per andare a trovare un futuro altrove. E non sarà la scelta che farebbero altre donne ma non per questo può essere sottoposta a norme, giudizi morali e a questo po’ po’ di valutazioni che secondo me sono pretestuose. E risultano tali perché chi legge che “il corpo è tuo ma non è tuo” non attende altro che questa legittimazione morale per dichiararci tutte, indistintamente, oggetto di interventismi a cura di paternalisti e sovradeterminanti antiporno, antinudo, anticulo o abolizioniste della prostituzione, che sono tra le prime persone a cliccare like sui post di Dominijanni.

Le donne sono spesso precarie: ce n’è una che può dare lezioni di reale libertà all’altra? Direi di no. Ogni scelta merita rispetto come altrettanto rispetto merita chi vive di contaminazioni e attraversamenti precari e non ha tempo, modo e voglia di perdersi in mille intellettualizzazioni che non portano veramente a nulla. Il dubbio infine è questo: per essere davvero libera e poter dire che il corpo le appartiene una donna deve aspettare la sconfitta del capitalismo? E nel frattempo di che viviamo? Quand’è che avremo diritto di dire di Si, di scegliere e dire “il corpo è mio e lo gestisco io“? Nel frattempo: come mangiamo? Cosa facciamo? Questa è la domanda, molto concreta, che vorrei fare a tutte.

Mi scuserà Dominijanni per aver ampliato il ragionamento che ovviamente non è rivolto solo a lei. Il suo spunto è stimolante ed esorta ad ulteriori approfondimenti. Parlo a quelle come me. Ditemi: voi che ne pensate?

dominijanni

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