da Abbatto i Muri:
Con l’avvenenza o il sesso ho pagato mille cose. Mi sono guadagnata la libertà da un mondo opprimente che non mi piaceva. Ho usato cazzi, uno dietro l’altro, per farne ponti che mi conducessero altrove. Mi sono data delle possibilità. C’era un pedaggio che mi fu dato da piccola al prezzo di due baci. Da lì capii che era semplice ottenere quello che volevo e le uniche a giudicarmi erano altre timorate di Dio ed educate a tenere salde le cosce e stretto l’imene.
Tieni certe capacità buone per il matrimonio, adopera i servizi sessuali come corredo per l’unico uomo che ti avrà come puttana in esclusiva, e regala moniti, bestemmie, ingiurie e stigmi a quelle che non seguono questo criterio, perché i loro corpi appartengono, giammai decidono di attribuirsi un valore e farne un tramite per raccontare e realizzare un’altra storia.
Lo sfruttamento è sfruttamento se non c’è consensualità. Se c’è consensualità non c’è violenza. A quelle che raccontano che poi mi perderò pezzi di figa o tette o culo bisogna dire che se così è allora hanno dovuto rinunciarvi pure loro ché di servizi sessuali, non pezzi di corpo, ne avranno venduti per ottenere qualcosa. Che sia un contributo materiale, la messa in mora della solitudine, una illusione romantica, due figli, onorabilità, la cazzo di rispettabilità degna di status sociali ambiti e riconosciuti, qualcosa certo l’hanno guadagnata. Ci sono quelle che stanno a raccontarmi che cos’è il piacere e dunque io ve lo racconto in larga parte:
piacere è libertà, innanzitutto. E’ fare quel che voglio senza sentirmi in colpa e qui la colpa arriva da chi giudica quello che faccio e non da un mio eventuale dispiacere. Piacere, godimento, divertimento, significa tante cose. Anche quello che ho vissuto può esserlo stato e certo nulla ha tolto al resto della mia vita perché io sono sempre qui, intera, anzi, precisamente integra, ironica, mai corrotta, con tutti i pezzi del corpo ciascuno al posto suo.
Perciò ho messo panni stretti e scostumati per piacere all’uomo dei miei sogni e li ho indossati per piacere a quello che dopo un semplice pompino mi ha dato modo di ottenere un aumento di stipendio. L’ho data a chi, uomo o donna che sia, mi ha aperto ulteriori sbocchi e poi ho goduto di ogni minima cosa che ottenevo.
Dopo aver leccato una figa, tempo fa, ottenni di essere esonerata da compiti di fatica presso un posto precario e un’altra volta capitò che l’amicizia con un uomo del quale non mi fregava niente mi fece ottenere un contributo utile per molti mesi successivi. Sono stata amante di un borioso signore che oltre a darmi qualche chance mi ha regalato anche un po’ di cose che mai darei indietro. Via via che andavo avanti mi sono anche fatta parecchio brava. Perché chi vende sa qual è il suo prezzo e sa anche come fare a controllare bene la situazione. E gli uomini incontrati erano davvero ingenui, altro che sfruttatori, degli ammalati di solitudine che se avessi voluto mi avrebbero sposata lì seduta stante.
C’è questa cosa sulla quale una donna che ha piena cognizione della cultura dominante può sempre fare leva: non c’è in giro un uomo, in fondo, che non voglia salvare la fanciulla indifesa. Tu fai una sega e loro pensano di salvarti. Tu gestisci un marketing che ti fa ottenere qualche soldo e loro pensano che stai regalando loro unicità e poesia. La cosa seria da imparare è solo non svegliarli da quell’illusione, sennò si incazzano, ed è per questo che non esistono forum reali e virtuali in cui le donne raccontano sinceramente certi uomini. Loro non possono credere che alcune donne siano tutt’altro che romantiche, sentimentali, che vendano servizi sessuali perché vogliono sistemarsi, essere un po’ meno precarie. Romanticamente pensano che fai marchette solo perché sei una povera vedova, madre di cinque figli, affranta e bisognosa. Si eccitano se fai la martire.
Esigono la pornografia oltre il pompino. Vogliono rubare la mia intimità e la stessa cosa vogliono quelle che mi giudicano e da un lato mi chiamano puttana, ché io avrei ottenuto titoli e incarichi dandola via a destra e a manca, e dall’altro dicono che vogliono salvarmi. Ipocrite. Bisognose di lacrime. Pronte a raccogliere pornografia emozionale e sentimentale. Pronte a chiedere che io mercifichi bisogni emotivi pensando che una donna non possa assolutamente essere serena se fa una scelta che non coincide con quella della madre di famiglia. Competitive. Velenose. Perfide. Pronte a chiedere la mia testa, in fondo invidiose perché intrappolate nella loro idea di mondo piccolo/borghese e moralista.
“Alla fine ti accorgi che ti realizzi solo con cose vere...” – disse una, come se io invece celebrassi la mia vita con cose false. Le cose vere alle quali si riferiva erano matrimonio, convivenza, figli, saldi principi in cui ipocrisia vuole che nessuno mai dovrà dirti che ti sfrutteranno se tu non decidi quale sarà il tuo prezzo e non impari a gestire quel che ti riguarda.
“Questo ti impedirà di avere cose belle…” – e parlava certo, ancora, di matrimonio e figli, come se io comunque non avessi diritto all’amore, al sesso per piacere, o ai figli.
“Come farai a dirlo alla persona con cui vuoi stare?” – ed ecco il punto infine, il sacro target patriarcale che impone che io sia di esclusivo possesso d’uno che se sa che l’ho data a due, tre, quattro, potrebbe già pensare di rottamarmi. Ecco perché sarei dovuta restare a fare niente anche quando il momento era decisamente propizio e la scelta più che utile.
Ho venduto baci, carezze, seghe, pompini, cavalcate, gemiti, tenerezze e sono ancora qui, viva, tranquilla, e se mi manca qualcosa non è certo per quello che ho fatto ma per altre ragioni che compongono la precarietà di tutti. Fossi nata figlia di papà forse l’avrei data a un principe o una principessa e mi sarei sistemata decisamente meglio, perché l’efficacia della vendita dipende anche dalla cerchia di persone che stanno a tua disposizione. Infine uno dei punti di rottura al quale tenacemente si attaccano sorveglianti della cultura patriarcale e giustiziere per la purezza dell’orgasmo è proprio questo: tu sei merce d’altri, sei oggetto utile a matrimoni combinati e di interesse, hai più valore economico se il tuo imene è intero e se la tua bocca ha succhiato un unico uccello, ovvero quello di tuo marito o della persona che dici di amare.
Perciò vali. Se la dai via allora scadi, ti si svaluta il culo, la tua carne perde punti ché il costo lo stabiliscono le guardiane e i guardiani della morale pubblica.
Il punto è che non mi pento di niente. L’ho data via, per bisogno, denaro, lavoro o solitudine. L’ho data per piacere, consapevolmente e consensualmente. Ho scelto, l’ho voluto, senza mai dichiarare che in fondo io e tante tra noi abbiamo fatto concorrenza a donne che fanno quel mestiere senza ipocrisia, anzi – che idiota sono stata! – facendo ben attenzione a distinguermi da loro, ché quelle come me agli occhi di chi vuole comprare qualcosa sono un po’ più “pure”, serbano quel minimo di santità che ti fa attraversare il mondo delle signore perbene, regalano quella minima illusione che se gli succhi il cazzo è perché gli vuoi un mondo di bene, sei una che la dà via senza averci sul groppone il marchio della puttana. Di fatto, però, quelle come me fanno concorrenza alle altre ancor più sovraesposte e senza l’alibi sociale del baratto di casa in casa e di ufficio in ufficio.
Io non mi pento. Non mi vergogno. Tornassi indietro, nelle stesse condizioni, certamente lo rifarei. Unico rammarico, per l’appunto, quello di non aver dichiarato con orgoglio quel che sono e ho fatto tentando di restare ancorata a uno schema sociale ipocrita, bacchettone e che discrimina chiunque non cali le braghe ad autoritarismi in cui devi rispettare un codice preciso quando si tratta di uso del tuo corpo. Perché puoi dare il culo in fabbrica, lavando scale e vecchi, puoi massacrarti la vita in ogni modo possibile ma non sia mai che dai prestazioni sessuali per avere qualcos’altro in cambio.
E detto questo, dunque, sono meno capace di una che la tiene stretta e dice di non averla data via in cambio di qualcosa proprio mai? Sono meno meritevole? Ho meno diritti di quelle che non chiamate zoccole?
Volete misurare il vostro grado di sessismo e moralismo? Decidete qual è il mio angolo di mondo secondo il vostro punto di vista e avrete capito da che parte state.
Com’è che si diceva? Il corpo è mio è lo gestisco io.
Non sono vittima, non sono colpevole. Sarò pure una zoccola ma proprio per questo valgo. Eccome se valgo.
Ps: Market/Girl è un personaggio di pura invenzione (somma di mille storie vere che conosco). Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.
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