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Nel nome del padre di mia madre! (ma i figli sono utili al capitalismo)

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Da Abbatto i Muri:

Leggo dal testo di una petizione, pubblicata sullo sfondo di vari simboli tricolore, lanciata dalla signora Natoli, da tempo impegnata su questo tema, e firmata in primo luogo da un tot di persone di varie formazioni politiche che vanno da SeL, Pd, al centro destra, inclusa la Mussolini, questo passaggio:

La registrazione anagrafica di un figlio avviene in concomitanza con la nascita e poiché il cognome sancisce la relazione di appartenenza a un’area familiare e questa è inizialmente configurabile ESCLUSIVAMENTE mediante la relazione psicofisica col genitore gravido che partorisce, chiediamo che PER PROSSIMITÀ NEONATALE il cognome di quel genitore sia il primo dei cognomi del figlio, senza che tale posizione possa incidere sulla futura libertà del figlio di scegliere quale dei suoi cognomi attribuire alla propria discendenza.

I maiuscoli stanno nella stesura originale. Mie le sottolineature.

La corte europea dice che il cognome della madre è un diritto e dà ragione a una coppia che di comune accordo ha intrapreso questa battaglia per il riconoscimento del cognome materno.

Subito la faccenda è stata supportata dalla onorevole Mussolini il cui cognome della madre mi deve essere sfuggito perché davvero non lo leggo ne lo vedo riaffermato nelle sue motivazioni. Quello che scrive è che ha lottato, ed era certamente suo diritto, per piazzare il cognome “Mussolini” a seguire i nomi dei suoi figli. E’ una sua rivendicazione d’appartenenza a una storia, una origine precisa familiare e, ripeto, ne ha diritto, ma più che di battaglia per il rispetto del nome della madre a me pare una lotta per il riconoscimento e la legittimazione del cognome del padre della madre.

C’è chi ha seguito questo tortuoso percorso per affermare un principio e chi da tempo si batte affinché un figlio non sia solo discendenza del padre in quanto unico depositario di controllo e autorità nei confronti di quella discendenza. Tutto chiaro, ma…

Non ho bisogno di raccontare quel che è stato perché tutti lo sappiamo e sappiamo ancora quanto sia complesso ragionare di figli quando è una donna, senza un uomo accanto, a farli con il rischio di vederli bollati come illegittimi ché l’unica legittimità ai figli arrivava solo dal riconoscimento paterno.

Ma come siamo passati da un racconto e una rivendicazione antipatriarcale a una assoluta asserzione di proprietà sui figli da parte della madre? E’ la stessa asserzione di proprietà che fa dire ad alcune madri che i figli giammai saranno “concessi” a genitorialità di uomini etero o gay? Cosa significa che il cognome del figlio dovrebbe derivare per prossimità neonatale? Ovvero il cognome, il primo timbro d’appartenenza, lo mette principalmente chi partorisce? Quindi il parto determina una priorità di discendenza?

La battaglia dei due coniugi vinta in Corte Europea credo sia stata fatta insieme affinché accanto al nome del figlio fossero accostati i cognomi di entrambi i genitori, senza ordine di apparizione. Rivoluzionario sarebbe anagrammarli e ottenere un nuovo nickname per segnare una distanza dalla cultura che dà valore alla stirpe, al ceto, ai figli dei figli dei figli che vengono sempre prima dei figli della povera gente che in qualunque modo si chiami non ha comunque diritto a niente.

Insomma, si, certo, entrambi i nomi, in ordine sparso. Spingere in senso diverso determina una forzatura, significa anche argomentare restando entro lo stesso schema di chi ritiene che un cognome sia fondamentale per stabilire l’appartenenza di un individuo.

I figli sono persone e non portatori sani delle reputazioni e delle storie dei clan familiari, di madri e padri che siano. E se continua così, temo, che i figli di domani decideranno di chiamarsi “Uffa!” o “Sgrunt” o “Ilcognomeèmioeloscelgoio“, perché a questo punto mi pare che il cognome sia gestito a mo’ di battesimo religioso e che tu voglia trasmettere una religione, la tua, o un cognome così vissuto, dalla nascita  a me parrebbe un atto di sovradeterminazione, un sacrificio rituale di un corpo ignaro, al quale lascerei libertà di scelta quando è grande e in grado di capire.

Questa battaglia a chi viene prima, se chi dà il seme o chi partorisce, vissuta come una ricorsa a superare l’altr@ mi sembra semplicemente ripetere lo stesso errore di sempre. Comunque sia fornisco una disillusione. Oggi come oggi, tempo di biocapitalismo, in cui i corpi dalla nascita appartengono al “libero mercato”, le griffe sui figli non le forniscono neppure  i genitori. Nascono come corpi/oggetti di Stato e del capitale con marchi proprietari di ben più grosse aziende e qui c’è da stabilire che quelle creature non devono appartenere a nessuno ma a se stesse. Accompagnarli in quel cammino è un dovere, senza giocare sulla loro pelle a chi per loro dovrà contare di più.

Come scrivevo QUI basta guardare a come il capitalismo preme sul controllo dei corpi delle donne, appaltando quel controllo a culture autoritarie che cozzano con la libertà di scelta degli individui, restringendo il cappio attorno al nostro collo quando di tratta di contraccezione, interruzione di gravidanza o sterilizzazioni forzate all’occorrenza, e già da lì si capisce che quei figli li stiamo mettendo al mondo per soddisfare la richiesta di forza lavoro, produzione e riproduzione. Li mettiamo al mondo mentre chi gestisce economia e welfare sui loro corpi stabilisce ruoli di genere precisi e li destina, fin dalla nascita, alla realizzazione di obiettivi ben precisi. Bambine educate ancora a riprodurre altra forza lavoro e bambini a fare gli schiavi produttori per imprese che quando dissenti o non gli servi più ti buttano al macero.

Possiamo anche scazzarci fino al secolo prossimo venturo a quale dovrà essere il cognome che arriva prima o dopo ma c’è di fatto che quei figli non appartengono a nessun@ tra noi/voi. C’è da liberarli dai brand, dalle griffe, da ogni imposizione d’appartenenza. C’è da fornire loro opportunità, strumenti che diano loro la libertà di chiamarsi Pinco Pallo ma di essere liberi per davvero.

Entrambi i cognomi è giusto, è una battaglia sacrosanta, o che si diano strumenti ai figli affinché scelgano, poi da grandi, i nomi che preferiscono. Io continuo a tenermi il mio che adoro, ché è, per puro culo, lo stesso, per mia madre e per mio padre. E sempre precariⒶ, comunque resto…

—>>>Foto tratta dal pezzo di FaS: “maledetta pedofilia III°” in cui potete leggere anche di “Le mani delle corporation sui bambini

A proposito dell’esaltazione del materno leggi anche:

Posted in AntiAutoritarismi, Critica femminista, Pensatoio, R-esistenze, Sessismo.

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