Da Abbatto i Muri:
“Una doppia penetrazione alle 8 del mattino non è facile!” dice un personaggio femminile che nel film Moliere in Bicicletta recita la parte di una attrice porno. Lei spiega la sua professione ad un tronfio attore snob che per godere di legittimazione presso un pubblico più colto calpesta i sentimenti di un amico, gli ruba un ruolo teatrale e recita “Il Misantropo” mentre guadagna milioni di euro con una serie televisiva in cui si finge un medico che salva chiunque da malattie improbabili.
Sempre più di frequente, per fortuna, in alcuni film sono inseriti, anche marginalmente, soggetti, anche femminili, che svelano l’ipocrisia di certi meccanismi e risultano assai più autentici rispetto ad altri protagonisti. La narrazione si serve spesso di elementi di scardinamento e sovversione che regalano un punto di vista diverso, spostano il centro del discorso e inevitabilmente cortocircuitano significati e paradigmi. L’attrice porno che con candore e grande professionalità racconta del suo impegno, mentre l’attore di fiction tv intrise di perbenismo e moralismo la prende in giro, fa emergere perfettamente quel che oggi è realmente pornografia, sentimentale, emotiva, ipocrita, e quello che invece no.
Tale premessa mi serve per raccontare un film che volendo stigmatizzare la pornografia finisce piuttosto per riprodurla. Il film che racconta la storia di Linda Lovelace, liberamente tratto dal libro che lei stessa ha scritto per denunciare le violenze subite da parte dell’ex marito, mostra la necessità di normalizzare il suo personaggio per renderlo accettabile alla società perbenista e borghese e forza la stessa narrazione della autrice del libro per riconsegnarla allo status di vittima non già della famiglia/società bigotta e di un ex marito violento ma dell’industria pornografica al cui interno, in effetti, lei trova gli strumenti e le persone, uniche tra tutti, che la aiuteranno a salvarsi.
Linda Marchiano quando denuncia le violenze subite dall’ex marito e racconta come in effetti lei non fu libera di scegliere, smette di essere elemento destabilizzante di una società bacchettona e moralista e si mette a servizio della causa antipornografia che, per sua stessa ammissione, finisce per sfruttarla, schiacciando la complessità della sua narrazione per legittimare la richiesta di censura nei confronti della pornografia. Infine Linda molla anche le antipornografia giacchè a lei non consegnarono mai neppure gli importi dei libri che le femministe antiporno avevano venduto servendosi del suo nome.
Lo stesso film fa però notare come Linda fosse vittima di una madre che sostanzialmente la consegnò a un uomo violento pur di vederla sposata e poi si rifiutò di accoglierla in casa e darle una mano quando la figlia andò a chiederle aiuto. Il film mostra solo alla fine una presunta riconciliazione con la madre nel momento in cui Linda ai suoi occhi fu pubblicamente e mediaticamente redenta. Plausibile pensare che il percorso di espiazione e redenzione realizzati in pubblico, dopo tante offese, tante mortificazioni subite da parenti che la rifiutavano e tanto disprezzo da parte di un pubblico che la stigmatizzava, le fosse assolutamente necessario per ricavarne successiva accettazione e canonizzazione. Plausibile pensare anche che le conclusioni rese nel film in cui a lei si lascia affermare che l’unica via di realizzazione per una donna sarebbe quella di far da madre e moglie siano una forzatura rispetto a quanto lei stessa raccontava.
Linda fu soprattutto vittima dell’ex marito che la obbligò a prostituirsi e a girare porno. Ma se il film Lovelace e le femministe antipornografia si servirono di questo dato per ricavare che pornografia=male c’è chi fa notare come in quel contesto, in cui restò per altre produzioni anche dopo il divorzio, lei trovò persone che non la giudicavano, rispettose delle sue scelte e mai violente. Fu in effetti il suo produttore a offrirle ospitalità e aiuto quando lei, picchiata, sfruttata dall’ex marito, ricacciata indietro dalla madre, rifiutata dalla famiglia, stigmatizzata dalla società che anzi guardava lui, in quanto marito di una attrice porno, come una specie di santo la cui sopportazione bisognava lodare, finalmente fuggì via.
Allora come adesso, dunque, principale causa di tolleranza delle violenze è lo stigma della colpa impresso nei confronti delle donne che, a qualunque livello, gestiscono corpo e sessualità in maniere che tradiscono il senso della morale e del decoro collettivo. La “colpa”, consegnata anche dalle femministe antipornografia quando altre faranno scelte diverse che sfuggono le loro norme, è il motore essenziale che muove la macchina dell’inquisizione sociale a carico di donne che saranno considerate degne di considerazione solo quando si dichiarano vittime.
Il punto è che se si considera la questione da un punto di vista moralista e quasi religioso non si riesce più a ragionare di autodeterminazione delle donne sapendo distinguere quel che in qualunque circostanza rappresenta una costrizione e quale una libera scelta. Perciò, io potrei dire, che non è il porno in se’ il problema ma problema è quando qualunque donna sia costretta a fare qualcosa che non vuole.
Potrei applicare lo stesso principio su altre situazioni. Per esempio: non è il convento in se’ ad essere pessimo per le donne, ma pessimo è il fatto che nei conventi alcune venissero rinchiuse per ordine delle famiglie. Giammai potrei formulare un divieto legislativo che impedisca alle donne di diventare suore. Spererei sempre che quelle che sono diventate tali non per scelta ma per costrizione esigano strumenti (non tutele) per liberarsi e raccontare la propria ribellione.
E se non si ritiene di “salvare da se stessa”, così come va di moda dire oggi raccontando di donne che subiscono oppressione, una suora richiusa in un convento, ché mai mi è parso di vedere movimenti anticlausura tra quelli femministi, perché è chiaro a tutte che il punto chiave sta nel fatto che deve essere una libera scelta e non una imposizione che può pesare anche sulla mia vita, perché mai allora questa ossessione per le donne che recitano nei film porno?
Di quanta pornografia è fatta la televisione, quante attrici recitano ruoli abominevoli e quante per campare vendono professionalità ed esibizione del corpo per recitare in scene idiote, in quanti modi una donna, una persona, può prestarsi per guadagnare denaro? Tanti. Ed è solo per fanatismo e moralismo che si immaginano in stato di schiavitù soltanto quelle che mostrano il corpo.
Perciò considero ancora che il personaggio, per quanto secondario, del film Moliere in Bicicletta diventa scardinante di questa ipocrisia mentre molla con uno sbadiglio le pompose esibizioni di quel tronfio prostituto di serie televisive di quart’ordine convinto, chissà perché, di poter lasciare una traccia nella storia mentre lei va a guadagnare con orgoglio il proprio stipendio .
La Linda Lovelace del film invece è normalizzante. Rimette tutto a posto. Restituisce la visione delle cose così come ad alcun* piace sentirla, affinché tutte si convincano che le donne siano identiche e che non c’è nessuna che non si senta vittima facendo quel mestiere. Quella che gira film porno e non si sente violentata dovrà per forza essere considerata una anomalia di sistema. Perché se così non fosse come farebbe a sopravvivere quell’altra pornografia emotivo/sentimentale/televisiva/culturale che nutre il nostro immaginario ogni giorno?
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