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Da Abbatto i Muri:
Ve ne parlavo ieri. Il governo spagnolo ha reso l’aborto illegale salvo nei casi di stupro o di gravissimi problemi di salute. L’itinerario che dovranno seguire le donne è terribile ed è fatto di sovradeterminazione, soprattutto, da parte di chi impone una norma che riguarda il loro corpo. Come accade un po’ ovunque anche in Spagna si parla di “violenza di genere” e tutela delle donne quando quelle stesse donne diventano oggetto di Stato, carne non in grado di intendere e volere, senza alcun diritto di scelta, che legittima governi, istituzioni, partiti e polizie. Quelle stesse polizie che poi in piazza reprimono duramente le donne autodeterminate quando rivendicano i propri diritti.
Sono le donne costrette a compiere percorsi legalitari, ad agire entro confini istituzionali precisi, per mezzo di mediatori e mediatrici che sono al più regolatori e regolatrici sociali della violenza che infine risulta illegittima solo per alcuni e legittima per altri, titolati, in divisa, per quelli che le leggi le fanno e poi ti impongono di subirle.
Le donne autodeterminate sono sempre state ritenute sovversive, dentro e fuori casa, ché non ci si allea, non si media, con i poteri per ottenere “tutela”. Piuttosto si rivendica diritto alla libertà di scelta, la scelta di dire no, di gestire il proprio corpo, di fare quello che ci pare, e in quella rivendicazione non c’è alcuna fragilità dichiarata, nessuna vittimizzazione utile alle istituzioni che ci vogliono sempre e solo vittime a consegnare le chiavi della nostra libertà ai tutori, liberi poi di togliercela e restituircela solo se siamo sufficientemente obbedienti, allineate e fedeli al ruolo (di genere) che ci impongono.
Le donne autodeterminate compiono percorsi indipendenti, per acquisire coscienza della propria forza, potenza rivoluzionaria, capacità di ribellione, senza pietire alcunché alle istituzioni ma prendendo tutto quello che ci serve per esistere. Le donne autodeterminate si posizionano in favore di tutte le donne, le persone, autodeterminate e mai dalla parte dei tutori, di paternalisti, di gente che vuole “salvarci” anche se non ne abbiamo bisogno e che non ci lascia immaginare percorsi e soluzioni differenti per salvarci da sole.
Chi vuole lottare con le donne autodeterminate resta al nostro fianco, non si sostituisce a noi, non ci “tutela” perché che tu abbia una divisa visibile oppure no comunque sia quando decidi di assumere il ruolo di tutore invece che di compagno di lotte nel pieno rispetto della nostra autodeterminazione significa che non sei diverso da quelli che in Spagna, in piazza, alla fine della manifestazione contro la nuova legge che proibisce l’aborto, hanno deciso di reprimere, identificare, donne che stavano lì a parlare, autorappresentarsi, essere vive, consapevoli dei propri diritti, uno tra tutti: quello di dire basta alle ipocrisie sociali. Questa cosa qui, sotto qualunque forma si manifesti, quando le donne vengono usate come oggetto di legittimazione delle istituzioni da chi rafforza poteri repressivi e delle polizie, o quando vengono messe a tacere perché rivendicano i propri diritti e parlano una lingua diversa da quella dei tutori, si chiama violenza. E se combattiamo la violenza contro chi ci controlla, dirige, comanda in casa come si fa a non combattere quella che arriva da chi ci limita, controlla, dirige e comanda fuori casa?
Innanzitutto, perciò, ristabiliamo i confini del senso pieno che ha il concetto di violenza di genere: è la violenza che si riferisce a ruoli di genere imposti, incluso quello di riproduzione e cura. Se tu decidi per me cosa dovrò farne del mio corpo allora quella è violenza di genere. Se tu non hai rispetto della mia autodeterminazione perché decidi che io non debba avere voce, a qualunque titolo, incluso quello che mi impone di essere soltanto una vittima da “salvare” mio malgrado, anche se non te l’ho mai chiesto, se tu decidi di sostituirti a me, in nome di un qualunque bene superiore, se non mi riconosci il diritto di decidere per me, pensare, respirare, esistere, autorappresentarmi, in quanto che il mio ruolo (di genere) ti darebbe il diritto di pensare e respirare al posto mio, ebbene, quella è violenza di genere.
Dunque se hai votato una legge che mi toglie il diritto ad avere assistenza sanitaria in fase di interruzione di gravidanza, se non mi consenti di accedere ai contraccettivi di emergenza, se non fai in modo di mettermi a disposizione un servizio, a me che pago le tasse tanto quanto te, rispettando le tue idee ma esigendo che nessuno compia alcuna omissione di soccorso, se non fai queste cose, poi non venirmi a parlare di #femminicidio.
Perché quando una donna, una migrante, per esempio, che teme di presentarsi in ospedale perché non ha il permesso di soggiorno, e a maggior ragione non lo potrà fare se criminalizzata nella sua scelta di abortire, si infilzerà l’utero con un ferro da maglia, si autoindurrà sanguinamenti ed espulsioni con mezzi che le provocheranno anche la morte, quando una qualunque donna sarà ritrovata dentro un luogo chiuso, china su se stessa, sommersa dal suo stesso sangue, quello è violenza di genere. E violenza di genere è quella che hanno subito le compagne spagnole, offese, mutilate, nel loro diritto alla propria autodeterminazione. Eccole, a lottare e subire repressione. Eccole, con tanta solidarietà nei loro confronti.
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