La Francia è attualmente attraversata da un forte dibattito sulla prostituzione che, sviluppatosi a seguito della proposta di legge di riforma del système prostitutionnel, ha oltrepassato i confini nazionali. L’articolo più controverso, quello che punisce i clienti con multe da 1500 euro fino a 3750 euro per i casi di recidiva, è già stato approvato, mentre l’intera legge verrà votata il 4 dicembre. Dalle aule dell’Assemblea generale la discussione è arrivata nelle piazze, dove accese sono state le contestazioni ad una legge che si inscrive nella tendenza abolizionista e reazionaria, espressione di una elitè di sinistra non incline ad ascoltare le ragioni delle prostitute, organizzate nel Syndacat du Travail Sexuel, Strass
L’articolo che segue è stato scritto da Morgane Merteul, sex worker e militante della Strass, e Rokhaya Diallo, giornalista e scrittrice, e pubblicato da Le Monde.
Traduzione di Cinzia Biscarini, Joe Equidad e Maroua
Una svolta reazionaria e nazionalista
Da qualche anno, stranamente in un Paese ancora dominato da un forte sessismo, la questione delle violenze perpetrate nei confronti delle donne è diventata oggetto di particolare attenzione; il loro corpo non ha mai fatto parlare tanto. Dalle varie leggi che proibiscono l’uso del velo da parte delle donne musulmane, alla volontà di abolire la prostituzione, raramente la necessità di proteggere la dignità delle donne ha monopolizzato tanto il dibattito pubblico.
Ma, se osserviamo più da vicino, notiamo che è solo la condizione di alcune donne ad attirare tutte queste attenzioni: donne generalmente non bianche e provenienti dagli strati più poveri della società.
UN SENTIMENTO DI SUPERIORITÀ
Tuttavia, la loro condizione non porta né a una riflessione globale sui meccanismi di sfruttamento di queste classi non privilegiate, né ad una denuncia generale delle industrie nelle quali lavorano molte donne straniere e/o non bianche, bensì ad un sentimento di superiorità da parte di una categoria privilegiata di donne, che si arroga il diritto di spiegar loro ciò che per loro è più giusto.
Sembra inconcepibile che ci siano donne che scelgono di abbracciare l’Islam e di manifestare questa loro appartenenza portando un foulard o un velo, o che altre decidano di guadagnarsi la vita prostituendosi. Quanto al rispetto della libertà di coscienza o del diritto di svolgere il proprio lavoro nelle migliori condizioni possibili, nessuna di queste femministe sembra pensare che ciò si applichi alle prostitute o alle musulmane velate.
Se l’oppressione dei lavoratori poveri e precari, i danni fisici e mentali inflitti dalla gravosità delle condizioni di lavoro e le violenze contro le donne devono essere combattuti, questo non si può fare senza il contributo dei/delle dirett* interessat*.
Le femministe, che hanno lottato per l’emancipazione delle donne, hanno permesso il riconoscimento di un diritto fondamentale che consente alle donne di disporre del proprio corpo. Forse alcune di loro non sono degne di far valere questo diritto essenziale?
Alle prostitute e alle donne velate trattate come minori, incapaci di capire la posta in gioco legata alla loro liberazione, non si lascia alcuna opzione: la loro scelta non può essere tale, poiché solo le donne privilegiate che non si trovano nella loro condizione sarebbero in grado di decidere per loro.
IL RAZZISMO ISTITUZIONALE
Come potrebbero esse valutare il proprio grado di sfruttamento senza le risorse intellettuali delle loro “salvatrici”, convinte di essere più capaci di decriptare la complessità del mondo e di denunciare i loro oppressori?
L’oppressore che ci si affretta a denunciare all’unisono quando si tratta dell’altro, lo straniero, che minaccia l’ordine repubblicano (reti di sfruttamento della prostituzione, reti terroristiche), ma che ci si affretta a rendere invisibile allorché si tratta della stessa Repubblica francese, attraverso il razzismo istituzionale e la violenza delle forze dell’ordine di cui sono vittime le fasce più deboli della popolazione.
Eterne vittime e al contempo decisamente colpevoli, queste donne non possono sviluppare un discorso su loro stesse, lottare per far riconoscere la legittimità della loro scelta, della loro strategia, senza essere immediatamente accusate di essere solamente strumenti dell’integralismo o dello sfruttamento della prostituzione. Relegando le prostitute e le donne velate in un’alterità insormontabile, questo femminismo condiscendente rifiuta di considerare queste donne come uguali a quelle bianche, non musulmane, non prostitute.
Poiché, invece di battersi per l’acquisizione di uguali diritti da parte delle donne rese vulnerabili da leggi discriminatorie, questo femminismo incoraggia la repressione, la precarizzazione e l’esclusione dallo spazio pubblico di donne per lo più non bianche e precarie con la scusa che sono troppo o non abbastanza vestite, esso si rivela solo funzionale ad una politica reazionaria e nazionalista, antitetica rispetto all’emancipazione collettiva che promette.
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