Dal blog di Loredana Lipperini:
In queste settimane è vivissima la polemica sulla proposta di legge francese, in discussione la settimana prossima, che prevede di punire i clienti di prostitute con un’ammenda di 1.500 euro, raddoppiata in caso di recidiva. Nel manifesto dei 343 “salauds”, che si oppongono alla legge, si dice fra l’altro “Pensiamo che ciascuno abbia il diritto di vendere liberamente le sue virtù, e persino di trovarlo appagante. Rifiutiamo che dei deputati emanino norme sui nostri desideri e sui nostri piaceri”. La maggior parte delle critiche di casa nostra riguarda la posizione della filosofa Elisabeth Badinter che ha criticato la riforma del governo: “lo Stato non deve legiferare sulla sessualità degli individui, decidendo cos’è bene o male” e “La proposta di legge mi sembra una dichiarazione di odio contro la sessualità maschile”.
La deviazione della polemica, naturalmente, riguarda la persona Badinter, “la femminista miliardaria”, come titola la 27ma ora, o peggio, come si legge altrove.
Sinceramente, la sua mi sembra una dichiarazione limpida: fatta salva la tutela di chi viene umiliato e sfruttato e subisce violenza, fatte salve le vittime di tratta, la prostituzione può essere una libera scelta. In secondo luogo: non credo che una legge possa cambiare la mentalità di un uomo che decide di comprare un rapporto sessuale. Ancora una volta, le leggi che reprimono non aiutano: aiutano le leggi che formano e incidono sulla cultura.
Detto questo, vi invito a leggere un vecchio articolo (24 settembre 1992) di Elena Guicciardi su un saggio di Badinter. Forse, così, le cose diventano più chiare.
“Donna non si nasce: lo si diventa”, dice Simone de Beauvoir nel Secondo sesso. In XY de l’ identité masculine (Editions Odile Jacob) Elisabeth Badinter rovescia tale affermazione applicandola all’ altro sesso, e dimostra come la conquista dell’ identità virile sia ben più difficile di quella dell’ identità femminile. Sociologa e femminista di tendenza moderata, che si è fatta un nome con L’ amour en plus: histoire de l’ amour maternel e L’ un et l’ autre: des relations entre hommes et femmes, l’ autrice si interessa pure di politica e di letteratura. Non solo ha compulsato innumerevoli statistiche e studi scientifici, ma ha letto ben trecento romanzi recenti prima di elaborare in questo saggio la propria analisi circa il malessere del maschio contemporaneo. Particolare curioso: ne ha riservato le primizie a un seminario destinato agli allievi dell’ Ecole Polytechnique – che in Francia è una scuola militare – suscitando notevoli perplessità fra questi aspiranti ufficiali. Se Eva non è nata dalla costola di Adamo, l’ uomo invece riceve un’ impronta femminile indelebile nel ventre materno, dove il famoso cromosomo Y della virilità interviene, accoppiandosi al cromosomo X della femminilità, solo al quarantesimo giorno del processo di gestazione. Contrariamente a un luogo comune, il maschio è anche fisicamente più vulnerabile della femmina. L’ embrione maschile è più fragile. Nell’ adolescenza il numero dei ragazzi affetti da disturbi psichici è quattro volte superiore a quello delle ragazze. Nelle società occidentali d’ oggi la donna è assai più longeva dell’ uomo. Dopo queste premesse di carattere genetico e biologico, l’ autrice analizza le complesse ragioni psicologiche e socioculturali che infirmano il sacrosanto dogma della società patriarcale circa la presunta superiorità del maschio anche sul terreno dell’ intelligenza e della creatività. Tale dogma comincia a essere contestato fra il Seicento e il Settecento, quando compaiono alla ribalta le prime femministe o “femmes savantes” – derise come “préciouses ridicules” – e nel contempo quei marchesini imparruccati, prototipi del maschio effeminato, che preferiscono ai campi di battaglia i “salons” e i “boudoirs” delle belle donne. Il fenomeno rimane però circoscritto alle sfere dell’ aristocrazia e dell’ alta borghesia, e sarà stroncato dalla Rivoluzione del 1789. Misoginia e angoscia La crisi d’ identità maschile riemerge a cavallo del nostro secolo, manifestandosi attraverso la misoginia e l’ angoscia espresse da molti filosofi e letterati (Schopenhauer, Nietzsche, Weininger, Musil per citarne alcuni) o al contrario sotto forma di una “protesta virile”, che contribuirà alla nascita dei fascismi europei. L’ avvento di Hitler restaura in apparenza il primato del sesso forte, ma in realtà dietro la maschera ipervirile degli eroi nazisti si nasconde un ego fragile, assillato da problemi sessuali. Le femministe, che a partire dalla fine del XIX secolo cominciano a battersi per la conquista della loro autonomia, hanno notevolmente contribuito a destabilizzare il maschio, o perlomeno a metterne in evidenza la crisi di identità. Al riguardo si possono distinguere tre tendenze. Negli anni Settanta il femminismo “universalista” milita per l’ equiparazione dei sessi. Il femminismo “differenzialista” preconizzerà invece la loro separazione, considerando che il mondo potrà esser salvato soltanto dalle madri, tema sviluppato oggi dalle “ecofemministe”, per le quali la donna incarna la natura e la vita. Infine il femminismo “costruttivista”, di cui l’ antropologa americana Margaret Mead fu l’ antesignana, sostiene la teoria della molteplicità dei modelli maschili, che si differenziano a seconda delle epoche, le classi sociali, le razze e le diverse età dell’ uomo. A quest’ ultima corrente si apparenta Elisabeth Badinter: per lei la mascolinità è qualcosa che bisogna “creare, costruire, e che quindi può cambiare”.
Vediamo ora il difficile percorso dell’ uomo per costruire la propria identità. Mentre per la bambina l’ identificazione con la madre è naturale e sarà alla base di quella col proprio sesso, il maschietto, per affermarsi come tale, deve sostenere una strenua lotta. Dovrà opporsi alla madre, con cui è vissuto in stretta simbiosi durante la gestazione e nei primi mesi di vita, opporsi alla sua condizione di bebè passivo e alla propria congenita componente femminile, per dimostrare di non essere né una donna, né un bebè, né un omosessuale. La separazione dalla madre La separazione dalla madre è necessaria, ma può avere conseguenze drammatiche: esser vissuta come un “tradimento”, generatore di un senso di colpa che si prolungherà poi nei rapporti dell’ uomo adulto con altre donne, oppure come una liberazione da un’ oppressione castratrice, sentimento che favorirà il fallocentrismo del soggetto. Due esempi estremi di questi traumi: quello di Hemingway, ossessionato da un profondo desiderio di femminilità, che per resistervi odierà sua madre tutta la vita, e quello di Gunter Grass, per il quale “l’ atto virile per eccellenza è il matricidio”. In molte società primitive, come ad esempio tuttora in certe tribù della Nuova Guinea, per favorire il distacco dalla madre la collettività organizza la segregazione totale degli adolescenti maschi, che sottopone a riti iniziatici feroci – umiliazioni pubbliche, sacrificazioni, flagellazione a sangue – allo scopo di farne dei guerrieri. Nelle società occidentali, il duro tirocinio a cui sono sottoposti i candidati alla Legione straniera, i marines americani, o ancora i ragazzi di famiglie tradizionali in certi severi collegi anglosassoni, risponde allo stesso proposito di iniziazione alla virilità, mediata da una pedagogia omosessuale, intesa come pratica transitoria, ma necessaria per accedere a una mascolinità eterosessuale. Per fortuna nella maggior parte delle società progredite il distacco del maschietto dalla madre si verifica oggi senza traumi, facilitato dal fatto che i bambini cominciano ad andare all’ asilo intorno ai tre anni, cioè alla fine del periodo preedipico. Tuttavia, perché tale separazione avvenga in modo armonioso, il ruolo del padre è primordiale. A questo punto Elisabeth Badinter abborda il capitolo dei “nuovi padri”, che preferisce chiamare i “padri-madri”. Nell’ euforia del post Sessantotto è apparsa una nuova generazione di padri, capaci di accudire i figli neonati con sollecitudine materna. Quando si tratta di cullarli, fasciarli, dar loro i biberon, si dimostrano altrettanto competenti e affettuosi delle loro compagne. Per altro sono più inclini a giocare col bebè maschio, che ha bisogno del contatto fisico col padre, e a stimolarne lo spirito d’ indipendenza. Così si instaura una relazione preedipica positiva, che aiuterà il maschietto a liberarsi dal rapporto esclusivo con la madre, vaccinandolo contro gli effetti drammatici del complesso di Edipo e l’ angoscia della castrazione. Nella famiglia ideale padre e madre dovrebbero ripartirsi equamente i compiti, trovando ognuno la “buona distanza” coi figli. Ma tale equilibrio suppone che, quando il bebè è cresciuto, il padre sappia passare dal ruolo di vice madre a quello di mentore. E qui cominciano le difficoltà. Appartenendo a una generazione che ha sofferto dell’ assenza del padre, il “nuovo padre” stenta spesso a trovare un modello di identificazione da trasmettere. A seconda che egli si dimostrerà troppo distante o troppo familiare, troppo duro o troppo tenero nei confronti del figlio, nel difficile periodo del passaggio all’ adolescenza rischia di farne un uomo “mutilato”: cioè un “macho” – che si identificherà agli idoli fasulli di tanti ragazzi d’ oggi, a un Rambo o a un Terminator, tutto muscoli, ma senza cuore né cervello – o al contrario un essere molle, ansioso e invertebrato, incapace di assumere la propria virilità. Ci vorrà del tempo per costruire la “doppia paternità”, condizione della “riconciliazione maschile”, conclude Elisabeth Badinter. Occorrerà più di una generazione per far uscire i maschi dal circolo vizioso”.
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