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#Francia: analisi, punto per punto, della proposta di legge contro la prostituzione!

Da Abbatto i Muri:

Grazie a Lidia Donat potete leggere la traduzione in italiano di un documento siglato da varie associazioni di sex workers le quali si oppongono alla proposta di legge francese con la precisa analisi, articolo per articolo, della proposta di legge nel suo insieme. Nel testo trovate quotata la descrizione dell’articolo e a seguire il commento.

QUI trovate il documento originale in lingua francese.

QUI trovate un articolo della ricercatrice Laura Augustìn che commenta una lettera dell’attivista Thierry Shaffauser.

QUI un articolo di Pietro Saitta che dice molto sul lavoro della Augustìn ma dice anche dell’approccio imperialista e di “Stato” alla questione della prostituzione soprattutto in relazione ai/alle migranti. Buona lettura!

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I PROIBIZIONISTI LO SOGNAVANO, GLI “ABOLIZIONISTI” L’HANNO FATTO!

Analisi della proposta di legge depositata da Maud Olivier e Catherine Coutelle volta a “rafforzare la lotta contro il sistema prostitutivo [système prostitutionnel]”

noabolizionismo

SOMMARIO

Capitolo 1: Consolidamento dei mezzi di lotta contro il lenocinio e la tratta di esseri umani ai fini di sfruttamento sessuale.

L’articolo 1 consiste sostanzialmente nel privare le lavoratrici e i lavoratori del sesso del loro strumento di lavoro, adottando un approccio proibizionista.

Capitolo 2: Protezione delle vittime della prostituzione

L’articolo 2 mantiene il miscuglio tra prostituzione e vittime

L’articolo 3 rinforza lo stigma che già pesa sulle lavoratrici del sesso e sulle prostitute piuttosto che rinforzare la loro capacità di agire.

Le condizioni evocate nell’articolo 6 non favoriscono in nulla un qualsivoglia “percorso di uscita”.

Mettere le lavoratrici e i lavoratori del sesso sotto la tutela di una data associazione non fa che garantire l’esercizio di un controllo su di loro e che erigere in principio la loro incapacità

Inoltre, il rilascio di un permesso di soggiorno è sempre subordinato alla condanna degli sfruttatori

L’articolo 7 riesce nell’impresa di essere discriminatorio non solamente nei confronti delle vittime di sfruttamento della prostituzione, ma anche nei confronti delle vittime di altre forme di sfruttamento

L’articolo 8 ufficializza il monopolio di Stato delle associazioni abolizioniste

L’articolo 9 conferma ancora una volta l’idea che le lavoratrici e i lavoratori del sesso sono dei disadattati che è necessario reinserire

L’articolo 10 fa un miscuglio totale tra la prostituzione come attività e le violenze che possono circondarla

L’articolo 11 continua a non riconoscere alle associazioni il diritto di costituirsi parte civile nei confronti di tutte le altre forme di lavoro forzato, di servitù  o di schiavitù, che riguardino o meno il lavoro sessuale e che siano o meno accompagnate da episodi di tratta

L’articolo 13 abroga l’adescamento, ma per meglio incoraggiare la repressione delle lavoratrici e lavoratori del sesso

Capitolo 3: Prevenzione delle pratiche prostitutive e del ricorso alla prostituzione

L’articolo 15 pretende di lottare contro la prostituzione di studenti e studentesse senza nemmeno evocare possibili strade di lotta contro la loro precarietà

Capitolo 4: Responsabilizzazione del cliente della prostituzione

Le autrici del testo continuano a ignorare tutte le raccomandazioni in materia e si ostinano a proporre la penalizzazione dei clienti. Proteggere i più vulnerabili contro lo sfruttamento sessuale o lo sfruttamento della prostituzione non significa creare delle nuove misure destinate a restare lettera morta e a pregiudicare le lavoratrici del sesso, ma applicare in maniera effettiva ed efficace le misure già esistenti.

L’articolo 17 avalla l’idea che le non lavoratrici/lavoratori del sesso sono più adatte/i delle/dei lavoratrici/lavoratori del sesso a spiegare che cosa queste/i ultime/i vivono e sentono

L’articolo 18 è nel migliore dei casi una buona intenzione, nel peggiore una maniera di far accettare l’inaccettabile

article_photo_1206205351259-1-0Capitolo 5: Disposizioni finali

L’articolo 19 non propone che di rinforzare la stigmatizzazione della quale siamo già vittime.

In conclusione

Introduzione

Il testo della proposta di legge depositata da Maud Olivier e Catherine Coutelle, reso pubblico il 10 ottobre 2013, intende “rinforzare la lotta contro il sistema prostituivo” e contiene 21 articoli, ognuno dei quali dovrebbe lottare contro la prostituzione: dalla lotta su internet, all’educazione non sessista a scuola, passando per la penalizzazione del cliente.

Se il testo è ancor peggiore di quanto immaginassimo, ha però il merito di essere chiaro, già dall’intestazione: si tratta precisamente di “lottare contro il sistema prostituivo”, vale a dire di battersi contro la prostituzione nel suo complesso e in tutte le sue forme. Siamo lontani dalle manifestate velleità di “salvare le vittime dello sfruttamento sessuale”.

Pur essendo evidente e rivendicato l’approccio repressivo, pensavamo comunque che le autrici (e gli autori) della proposta di legge avrebbero imbellettato il loro progetto a colpi di promesse di natura sociale. Non vi è nulla: con il pretesto di “proteggere” le persone lavoratrici del sesso, questo testo mira unicamente a rendere le loro vite più difficili, mettendole sempre di più sotto la tutela dello Stato e di qualche associazione abolizionista che pretende salvarle da loro stesse, condizionando l’aiuto all’uscita dalla prostituzione.

Il testo è introdotto da questa celebre citazione tratta dal preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite del 1949: “la prostituzione e il male che la accompagna, cioè la tratta degli esseri umani con fine di prostituzione, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia e della comunità”. Scegliendo quest’apertura, Olivier e Coutelle si inscrivono direttamente nella scia di questa convenzione che, tanto per cambiare, mescola tratta, lavoro forzato e prostituzione, a detrimento delle realtà sul campo.

Sono poi ricordate le “constatazioni” che erano state fatte dalla “missione d’informazione sulla prostituzione in Francia” nel rapporto Geoffroy/Bousquet di aprile 2011. Queste constatazioni non sono tuttavia che una serie di affermazioni tanto perentorie quanto inesatte.

Le conclusioni di questo rapporto del 2011 si basano in particolare su delle cifre, sempre le stesse e sempre inverificabili[1], secondo le quali ci sarebbero “20.000 persone prostituite in Francia, delle quali l’85% sono donne”. Questa cifra di 20.000 è tratta da un rapporto di OCRTEH e si basa sull’attività di polizia, con tutte le storture che questo comporta (arresti maggioritari di lavoratrici e lavoratori del sesso che esercitano in strada, e in particolare migranti). Solo la prostituzione visibile viene così quantificata.

Secondo questo stesso rapporto, la proporzione di prostitute straniere sarebbe passata dal 20% al 90% in dieci anni[2], ciò che “dimostr[erebbe] la presa crescente delle reti di tratta con fine di prostituzione”, costruendo così di principio la coincidenza tra prostitute migranti e vittime di tratta, una coincidenza molto utile a giustificare la resistenza all’immigrazione e il rafforzamento della repressione dell’immigrazione irregolare. Nel 2010 un altro rapporto, quello pubblicato dalla Commissione nazionale consultiva dei diritti dell’uomo (CNCDH) sulla tratta e lo sfruttamento degli esseri umani in Francia, aveva pertanto messo in guardia contro una simile confusione: se le/i migranti in situazione irregolare costituiscono un gruppo particolarmente esposto alla tratta e allo sfruttamento (per ignoranza dei propri diritti, o di come farli valere, per isolamento, paura della polizia, etc.), “è molto probabile che la sovra rappresentazione di stranieri/e tra le vittime di tratta o di sfruttamento sia più il risultato degli sforzi compiuti al fine d’identificare le vittime straniere del fenomeno invece che l’esatto riflesso della realtà”[3]

article_photo_1370193816805-1-HDInfine, il rapporto del 2011 constata che delle violenze “particolarmente gravi” sono commesse sulle prostitute. Effettivamente le lavoratrici del sesso sono vittime di violenze, proprio come lo sono le donne nel loro insieme. Dunque i firmatari di questa proposta di legge compiono la scelta non di lottare contro queste violenze, che non li riguardano direttamente, ma d’incoraggiare, o addirittura imporre l’abbandono della prostituzione. Lottare contro le violenze sulle prostitute lottando contro la prostituzione significa punire delle donne penalizzandone l’attività, significa ratificare l’idea che le violenze subite sono colpa dell’attività delle vittime, e non degli autori delle violenze. Per di più questo sarà controproducente ponendo in una situazione di maggior vulnerabilità non solo le persone lavoratrici del sesso che vorrebbero continuare a esercitare l’attività, ma anche le vittime del lavoro forzato.

L’approccio adottato in questa proposta di legge è talmente incoerente che quando viene invocata la necessità di abrogare il delitto di “adescamento passivo” [racolage passif], lo è in nome della contraddizione che vi è nel penalizzare delle persone qualificate come vittime, della sua inefficacia nella lotta contro il lenocinio e la tratta, e delle difficoltà trovate dalle lavoratrici e lavoratori del sesso desiderose/i di “reinserirsi” e di cui la fedina penale registri delle condanne per adescamento. Nessun riferimento alle conseguenze disastrose in termini di salute e sicurezza[4].

Questa negazione delle disastrose conseguenze sanitarie del reato di adescamento, denunciate e provate da anni da numerose strutture[5], facilita l’introduzione di una nuova misura repressiva, la penalizzazione del cliente, che avrà sulla salute e sulla sicurezza delle persone lavoratrici del sesso esattamente gli stessi effetti[6].

Veniamo adesso agli articoli di questa proposta di legge, come sono presentati nella sezione “Esposizione dei motivi”.

Capitolo Primo: Consolidamento dei mezzi di lotta contro il lenocinio e la tratta di esseri umani ai fini di sfruttamento sessuale.

L’articolo primo della proposta di legge ha per obiettivo di far rispettare la nostra legislazione relativa al lenocinio. Così, il paragrafo I del primo articolo propone che nel momento in cui dei siti internet ospitati all’estero contravvengono alla legge francese contro il lenocinio e la tratta di esseri umani, i fornitori di accesso internet dovranno impedire l’accesso ai loro servizi. Le decisioni dell’autorità amministrativa possono essere contestate davanti al giudice amministrativo.

Questa disposizione è ispirata dalle due disposizioni già esistenti relative alla repressione delle attività illegali di gioco d’azzardo e alla lotta contro la diffusione di immagini o rappresentazioni di minori a carattere pornografico. Mira in particolare a evitare in Francia la diffusione di siti ospitati all’estero, in paesi che permettono legalmente la produzione e diffusione di tali contenuti.

L’articolo 6 sezione 7 della legge per l’economia digitale ricorda che i fornitori di accesso a internet non sono sottoposti all’obbligo generale di controllare le informazioni che trasmettono o raccolgono, né all’obbligo generale di ricercare fatti e circostanze rivelanti attività illecite. Tenuto conto dell’interesse generale legato alla repressione di certi delitti (apologia dei crimini contro l’umanità, incitamento all’odio razziale, pedopornografia…), essi devono comunque predisporre un dispositivo facilmente accessibile e visibile che permetta a chiunque di rendere loro noto questo tipo di dati. Hanno inoltre l’obbligo di informare immediatamente le autorità pubbliche competenti di ogni attività illecita che sia loro segnalata e che venga esercitata dagli utenti dei loro servizi. Il paragrafo II del primo articolo aggiunge il lenocinio alla lista dei crimini e delitti coinvolti.

article_prostitutionAllo stato attuale, gli amministratori di numerosi siti considerati come lenoni (poiché permettono alle lavoratrici e lavoratori del sesso di proporre servizi sessuali tariffati) non possono essere perseguiti in quanto i siti sono basati all’estero. Si tratta quindi di bloccare l’accesso ai siti tramite i quali le escort lavorano, che siano vittime o meno di lavoro forzato o di violenze.

Sebbene ufficialmente non si attacchino le lavoratrici e lavoratori del sesso viene loro tuttavia impedito di diffondere gli annunci necessari all’esercizio dell’attività. Non si tratta di altro che della privazione dei nostri strumenti di lavoro. Il tono è impostato: si tratta puramente e semplicemente di vietare l’esercizio di ogni forma di lavoro sessuale, adottando così un approccio proibizionista.

Capitolo 2: Protezione delle vittime della prostituzione

L’articolo 2 dispone, in seno ai consigli dipartimentali per la prevenzione della delinquenza, per l’aiuto alle vittime e per la lotta alla droga, per le derive settarie e la violenza contro le donne, un’istanza incaricata di organizzare e di coordinare l’azione in favore delle vittime della prostituzione, che riunisca il pubblico ministero, i servizi di polizia e di gendarmeria, la prefettura, gli eletti locali e le associazioni.

Quest’articolo propone la costituzione di un’istanza che già esiste in seno a certi dipartimenti e della quale già conosciamo le pecche.

In primo luogo, permane la mescolanza tra prostituzione e vittima, nonostante le raccomandazioni avanzate da numerose istituzioni, specialmente a livello internazionale[7]. La conseguenza è che le associazioni considerate qualificate sono le associazioni abolizioniste che percepiscono la prostituzione come una violenza di per sé indipendentemente dalle condizioni del suo esercizio. È molto difficile per le associazioni che non condividono questo punto di vista, e più specificamente per le associazioni di salute, parteciparvi. Allo stesso modo, le organizzazioni di lavoratrici e lavoratori del sesso non vengono mai considerate come interlocutori qualificati: ora, le lavoratrici e i lavoratori del sesso sono coloro che si trovano effettivamente sul campo e sono dunque i più adatti a identificare le vittime di sfruttamento.

Lungi dall’aiutare le vittime di lavoro forzato, servitù, schiavismo e tratta, queste istanze favoriscono la collaborazione tra attori convinti della necessità di un approccio repressivo al lavoro sessuale, nonostante sia evidentemente controproducente e nonostante le raccomandazioni internazionali sul tema[8].

L’articolo 3 dà il diritto, a ogni persona vittima della prostituzione, di beneficiare di un sistema di protezione e di assistenza, assicurato e coordinato dall’amministrazione in collaborazione con i diversi servizi di inserimento sociale. Un percorso di uscita dalla prostituzione è proposto alle vittime di prostituzione che ne faranno richiesta presso un’associazione competente e autorizzata a tale scopo.

Quest’articolo procede ancora una volta alla confusione tra lavoro forzato, servitù, schiavitù, tratta e prostituzione. È evidente che noi desideriamo che le vittime siano protette e che beneficino di un’assistenza, ma non si è vittime della prostituzione, bensì di violenze che non sono ad essa consustanziali. Attribuendo lo status di vittima a tutte le persone che esercitano la prostituzione, questa disposizione rinforza lo stigma che già pesa sulle lavoratrici del sesso e prostitute piuttosto che rinforzare la loro capacità di agire.

L’articolo 4 crea, all’interno del budget di Stato, un fondo per la prevenzione della prostituzione e l’accompagnamento sociale e professionale delle persone prostituite. Le risorse di questo fondo sono costituite da titoli di Stato assegnati a queste azioni, da entrate provenienti dalla confisca di beni e prodotti derivati dal lenocinio, e da un prelievo sul prodotto delle multe previste per il ricorso alla prostituzione.

Nessun commento particolare.

L’articolo 5 dà diritto alle persone beneficianti del percorso di uscita dalla prostituzione a una remissione completa o parziale delle imposte dirette, delle sanzioni fiscali o delle spese giudiziarie. Questo articolo permette di evitare di nuocere a un processo di reiserimento nel quale si impegna una vittima della prostituzione.

putes-iconoQuesta disposizione, che comprende nella legge una pratica fiscale già esistente, può sembrare la benvenuta. Non possiamo tuttavia non biasimare il fatto che non sostenga una pratica identica rispetto ai contributi previdenziali[9]. Inoltre le lavoratrici e i lavoratori del sesso sono regolarmente verbalizzati o condannati a delle sanzioni penali nell’ambito della loro attività, che sia per arresti volti a impedire la sosta della loro camionetta o in seguito alla penalizzazione dell’adescamento. Non è previsto nulla per una restituzione totale o parziale delle sanzioni penali, che possono ugualmente costituire un ostacolo all’abbandono dell’attività.

L’articolo 6 modifica l’accesso a un permesso di soggiorno per le persone straniere vittime di tratta di esseri umani o di lenocinio. Il primo paragrafo prevede che un’autorizzazione provvisoria di soggiorno di una durata di 6 mesi possa essere rilasciata allo straniero vittima delle stesse infrazioni che, avendo cessato l’attività di prostituzione, è preso in carica da una associazione approvata con decreto del prefetto del dipartimento, a Parigi del prefetto di polizia, per l’accompagnamento delle persone sottoposte alla prostituzione. Questa autorizzazione di soggiorno dà diritto all’esercizio di un’attività professionale.

Questo dispositivo permetterà così di far prevalere il diritto delle vittime, indipendentemente dalla denuncia delle reti di tratta e di lenocinio, senza tuttavia permettere una diversione a favore delle reti di tratta e di lenocinio come può essere il caso per le domande d’asilo.

Questa disposizione di inscrive specificamente nella messa in conformità del nostro diritto con la Convenzione del Consiglio dell’Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica firmata a Istanbul l’11 maggio 2011, che impegna i paesi firmatari a non condizionare l’erogazione di servizi alla volontà delle vittime di intraprendere dei procedimenti giudiziari o di testimoniare contro qualsiasi colpevole. Si fondamenta inoltre sulla realtà conosciuta da numerose vittime di tratta di esseri umani che non sono in grado di denunciare le loro reti. Talune subiscono evidenti pressioni con minacce di gravi violenze contro di loro o contro le loro famiglie. Altre non sono semplicemente pronte a denunciare una rete che costituisce l’unico tessuto sociale dal loro arrivo in Francia e, qualunque siano le violenze che esse possono subire, sono spaventate dalle conseguenze di un tale atto. Il nostro obiettivo di incoraggiare l’uscita dalla prostituzione ci impone di proporre un’alternativa a delle persone che, evidentemente vittime di lenocinio o di tratta, desiderano uscirne.

Aiutare le vittime va bene, ma non troppo: sei mesi. E soprattutto si tratta di aiutare unicamente coloro che vengono ritenute meritevoli, secondo il capriccio di alcune associazioni selezionate con cura, che sorveglieranno che le vittime non si prostituiscano più.

Qualunque sia il contesto, i permessi di soggiorno [titres de séjour] qui evocati sono di durata davvero troppo corta per permettere l’accesso a un impiego stabile, a uno stipendio fisso e a un alloggio decente.

Queste condizioni non favoriscono per nulla un qualunque “percorso di uscita”. Il flagrante fallimento, sottolineato dalla CNCDH nel 2010[10],della procedura di rilascio di un permesso di soggiorno alle migranti vittime di tratta o lenocinio[11], lascia pensare che questa nuova misura sia destinata a rimanere lettera morta.

D’altra parte numerose persone che sono effettivamente vittime di sfruttamento o di tratta e che desiderano mettere fine a queste violenze, non desiderano per questo smettere di prostituirsi, o non possono riuscirci prima di vedere la loro situazione amministrativa regolarizzata. La domanda da farsi allora è: quali diritti per loro?

La contraddizione tra i discorsi dominanti che affermano che “la gran maggioranza delle persone vuole smettere di prostituirsi” e la trasposizione legislativa di questi discorsi è qui evidente. Non ci si può quindi non chiedere: se questa “larga maggioranza” non desidera altro che smettere di prostituirsi, che bisogno ci sarebbe di condizionare il rilascio del permesso di soggiorno alla sorveglianza di un’associazione?

Manifestation contre la penalisation des clients de la prostitutionTale disposizione conferma una pratica frequente delle prefetture consistente a esigere dalle vittime di sfruttamento sessuale che esse cessino di prostituirsi per ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno, pratica che non riposa su alcun fondamento legale e non prende in considerazione la realtà delle persone interessate.

L’oggetto di questa disposizione è presentato nei termini della possibilità offerta alle vittime di non dover denunciare gli sfruttatori per ottenere un permesso di soggiorno, ma la condizione è che esse smettano di prostituirsi. Le prostitute sfruttate dovranno dunque confrontarsi con il seguente dilemma se vogliono sbarazzarsi dei loro sfruttatori:

–       O denunciano i loro sfruttatori, nel qual caso potranno probabilmente ottenere un permesso di soggiorno sulla base dell’articolo L.136-1 del CESEDA [“codice di entrata e soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo”] e potranno continuare a prostituirsi se lo vorranno (capricci delle prefetture permettendo). In questo caso non è escluso che esse stesse, o le famiglie rimaste nei paesi d’origine, corrano dei gravi rischi per la propria vita;

–       O rifiutano di denunciare per timore di rappresaglie nei confronti loro e delle loro famiglie, ma dovranno allora abbandonare la prostituzione, e saranno sottoposte al controllo di qualche associazione anti-prostituzione che rifiuta di ammettere la distinzione tra prostituzione e sfruttamento.

È fondamentale aiutare le persone che vogliono orientarsi verso un’altra attività, ma metterle sotto la tutela di una determinata associazione non fa che garantire l’esercizio di un controllo su di esse e stabilisce per principio l’incapacità delle lavoratrici sessuali così come l’idea che la loro attività dovrebbe essere retta da disposizioni specifiche.

Il secondo paragrafo prevede che il permesso di soggiorno rilasciato con fondamento nell’articolo L.316-1 del CESEDA alle vittime che testimoniano o denunciano i delitti di tratta o lenocinio sia rinnovato sino alla fine della procedura.

Mascherata da grande progresso, questa misura continua a riservare i benefici dell’articolo L.316-1 del CESEDA alle sole vittime utili per la condanna dei lenoni o trattanti, lasciando così in una situazione di soggiorno precaria le vittime che non possono o non vogliono, spesso per paura di rappresaglie, rilasciare dichiarazioni. Questa disposizione è contraria alle raccomandazioni 45 e 66 effettuate dalla CNCDH nel 2010, secondo le quali un permesso di soggiorno temporale deve essere rilasciato in pieno diritto e senza condizioni a ogni vittima di tratta e sfruttamento.

Stando così le cose, la riforma proposta non metterebbe fine all’arbitrarietà subita dalle migranti vittime di tratta o sfruttamento:

–       L’arbitrarietà della polizia, innanzitutto, che sceglie le vittime “meritevoli” di ricevere le informazioni relative ai benefici dell’articolo L.316-1 (secondo una valutazione totalmente soggettiva) e che può rifiutare di garantire il proprio appoggio (decisivo) alle domande di permesso di soggiorno inoltrate su questa base;

–       L’arbitrarietà del prefetto, che per vari motivi forniti dalla legge (mancanza di procedura penale, invocazione di rischio per l’ordine pubblico, etc.) o illegali (perseguimento dell’esercizio della prostituzione), ma soprattutto perché non desidera la permanenza di migranti nel proprio dipartimento, potrà continuare a rifiutare il rilascio di un permesso di soggiorno.

Certo, una volta rilasciato il permesso di soggiorno questo risulta in pieno diritto rinnovabile, ma unicamente sino alla fine della procedura penale (e non civile, il che esclude le procedure avviate presso la CIVI [“commissione per il risarcimento delle vittime di reati”]  o il tribunale del lavoro, come sottolineato nel 2010 dalla CNCDH). Il che implica dei permessi di soggiorno precari per un tempo indeterminato ma troppo corto, che non tengono conto né del rischio assuntosi dalle vittime che hanno fornito delle informazioni sui loro sfruttatori, né dell’accesso alla giustizia (non unicamente presso le giurisdizioni penali), né del recupero delle vittime stesse. Insomma, poco importa il rispetto del loro diritto di accedere alla giustizia o di ristabilirsi!

Infine, la consegna di una carta di residenza [carte de résident] è sempre subordinata alla condanna degli sfruttatori. Ora, come sottolineato dalla CNCDH nel 2010, il rilascio di un permesso di soggiorno non dovrebbe essere una ricompensa per essersi rivolti alla giustizia penale e aver visto gli autori condannati, ma piuttosto la condizione preliminare indispensabile all’esercizio da parte delle vittime del loro diritto di accedere alla giustizia e di ristabilirsi. Le autrici della proposta di legge continuano quindi a considerare le cose al contrario…

L’articolo 7 concerne la concessione di un sostegno finanziario transitorio per le vittime di sfruttamento sessuale che decidono di abbandonare l’attività di prostituzione.

Concede il beneficio all’“indennità temporanea di attesa” (ATA, allocation temporaire d’attente) alle straniere che abbiano abbandonato l’attività di prostituzione, impegnandosi in un percorso di uscita dalla prostituzione e prese a carico da un’associazione autorizzata da un ordine del prefetto del dipartimento e, a Parigi, dal prefetto di polizia, per l’accompagnamento delle persone sottoposte alla prostituzione.

Questa disposizione s’inscrive ugualmente nella messa in conformità del nostro diritto con la Convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica firmata a Istanbul l’11 maggio 2011, che impegna i paesi firmatari a non condizionare l’erogazione di servizi alla volontà delle vittime di impegnarsi in procedimenti giudiziari o di testimoniare contro qualsivoglia crimine.

Gli stranieri beneficianti di un permesso di soggiorno sulla base dell’articolo L.316-1 del CESEDA che volessero impegnarsi in un simile percorso sono già ammessi al beneficio dell’ATA per una durata limitata di tempo.

La proposta di legge nel suo complesso è stata presentata come capace di lottare efficacemente contro la prostituzione tramite grandi interventi di natura sociale. Le riforme del diritto comune proposte sono in effetti innovative per la loro dimensione discriminatoria!

È notevole che la grande misura sociale che dovrebbe permettere alle vittime di sfruttamento di abbandonare la prostituzione sia la sola Allocation Temporaire d’Attente (336 euro al mese quando la soglia di povertà è a 964 euro), somma decisamente insufficiente per vivere, nutrire la propria famiglia, ricostruirsi una vita, prendere in considerazione di riorientarsi professionalmente).

Il riferimento alla Convenzione europea di Varsavia è tra l’altro dei più fuori luogo poiché quest’ultima, se incoraggia gli Stati a regolarizzare la situazione dei e delle migranti indipendentemente dalla loro partecipazione a una procedura penale, impone analogamente di riconoscere gli stessi diritti a tutte le vittime della tratta, senza distinzione. Ora, le autrici di questa proposta di legge non prendono minimamente in considerazione la possibilità di elargire l’ATA alle vittime di sfruttamento in altri settori di attività, vittime dalle quali sarebbe insensato esigere l’abbandono della prostituzione… Allo stesso modo, ricordiamo che è possibile ottenere legalmente l’ATA anche lavorando, nella misura in cui si rispettino le condizioni relative al livello di reddito. Imporre l’abbandono della prostituzione non va quindi a favore delle lavoratrici del sesso, ma a loro sfavore. Questo fa sì che inoltre si trattino in maniera diversa le lavoratrici e i lavoratori migranti, che esercitino il lavoro sessuale o meno, poiché sono le/gli uniche/i a dover abbandonare l’attività per beneficiare dell’ATA. La proposta di legge riesce così nell’impresa di essere discriminatoria non solamente nei confronti delle vittime di sfruttamento della prostituzione, ma anche nei confronti delle vittime di altre forme di sfruttamento.

L’articolo 8 riguarda l’autorizzazione per le associazioni costituite per l’aiuto e l’accompagnamento delle persone prostituite, abilitate dall’autorità amministrativa, a concludere una convenzione con lo Stato per beneficiare di un aiuto per ospitare, a titolo transitorio, le persone prostituite che beneficiano del loro accompagnamento.

I budgets delle associazioni di salute comunitaria sono da qualche tempo in diminuzione a vantaggio di alcune associazioni abolizioniste. Una volta “abilitate” queste associazioni, il monopolio di Stato sarà ufficializzato, e solamente le associazioni portavoce di un discorso abolizionista potranno aiutare le lavoratrici sessuali a trovare alloggio.

L’articolo 9 integra le vittime del lenocinio e della prostituzione tra le persone che possono beneficiare, in condizioni di sicurezza, dei posti nei centri di accoglienza e di reinserimento sociale.

Anche qui, a prima vista, l’allargamento della possibilità di essere accolte in condizioni di sicurezza in centri di accoglienza e di reinserimento sociale sembra essere una buona cosa. Il problema però è che questa disposizione riguarda non solamente le vittime di lenocinio, ma anche le “vittime della prostituzione”. Come abbiamo già sottolineato, non si è “vittime della prostituzione”, ma delle condizioni deleterie del suo esercizio, delle violenze a queste legate e favorite dalle disposizioni repressive riguardanti il lavoro sessuale. Ancora una volta le lavoratrici e i lavoratori del sesso e prostitute non solo vengono considerate come vittime, qualunque sia la loro situazione, ma come persone da reinserire, dunque come dei disadatti sociali, anche se lottano da parecchi anni contro questo stigma e questa percezione della loro attività. Ma piuttosto che lottare contro la violenza simbolica, con delle conseguenze ben reali, costituita dalla negazione della loro parola, quest’articolo convalida ancora una volta l’idea che le lavoratrici del sesso sono delle incapaci che bisogna reinserire.

L’articolo 10 dà alle vittime di lenocinio il diritto, già garantito alle vittime della tratta di esseri umani, alla riparazione integrale dei danni subiti a causa di questi delitti, senza che sia necessaria la prova di un’incapacità permanente o di un’incapacità totale di lavoro personale uguale o superiore a un mese. I danni fisici e psicologici di quest’attività sono descritti e noti, di modo che non è necessario che siano quantificati tramite l’ITT (“incapacità totale al lavoro”).

Se è chiaramente lodevole aprire l’accesso alla CIVI alle vittime di lenocinio, quest’articolo non ha nessun senso nella misura in cui descrive dei danni fisici “descritti e conosciuti”: descritti da chi? Conosciuti da chi? Quali sono questi famosi danni? Non si capisce bene se i danni sono quelli del lenocinio o quelli della prostituzione. Il testo che cita “i danni…di questa attività” manca quanto meno di chiarezza. L’attività fa riferimento alle “vittime di lenocinio”? Ma sarebbe alquanto sorprendente che essere “vittima di lenocinio” fosse considerata un’attività! L’attività fa riferimento alla prostituzione? In tal caso, da chi sono descritti questi danni? Come sono diventati noti? Quali sono?

Consciamente o meno, le autrici di questa proposta di legge fanno un miscuglio totale tra la prostituzione come attività e le violenze che possono circondarla. Per fare questo si fondano su qualche rapporto notoriamente di parte e non si interessano minimamente al parere esperto delle persone direttamente interessate[12], né a quello delle numerose istituzioni che al contrario attestano come siano le condizioni di esercizio della prostituzione a generare la violenza[13].

D’altra parte, se in realtà si sta parlando unicamente dei danni del lenocinio, risulta poco pertinente se si considera la definizione onnicomprensiva che di quest’ultimo viene data nella legislazione francese[14]: qual è il rapporto tra i danni subiti da una persona costretta al lavoro sessuale da un’altra e chi è considerato vittima di lenocinio perché ha condiviso il suo luogo di lavoro con una/un collega?

L’articolo 11 riguarda la procedura penale negli affari di tratta e di lenocinio. Il primo paragrafo estende la possibilità per le associazioni il cui fine è la lotta contro questo tipo di crimini e l’azione sociale in favore delle persone prostituite di costituirsi parte civile: queste associazioni potranno costituirsi parte civile anche negli affari di tratta. Procede dunque all’attualizzazione della redazione tenendo conto del nuovo delitto di tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento sessuale creato dalla legge del 18 marzo 2003. Il secondo paragrafo abroga in conseguenza l’articolo unico della legge n°75-229 del 9 aprile 1975, rimpiazzata dalla nuova disposizione più completa.

Se anche qui è lodevole garantire alle associazioni che difendono i diritti delle vittime di tratta o di lenocinio la possibilità di costituirsi parte civile al loro fianco, senza esigere da loro che prendano posizione contro la prostituzione, sarebbe stato più pertinente riconoscergli questo diritto rispetto a ogni forma di lavoro forzato, di servitù  o di schiavitù, che riguardi o meno il lavoro sessuale e che sia accompagnata o meno da episodi di tratta.

L’articolo 12 prevede che le porte chiuse al processo siano di diritto nel momento in cui la vittima di tratta o lenocinio aggravato lo domandi.

L’articolo 12 ci sembra assolutamente pertinente.

L’articolo 13 traspone le disposizioni della direttiva 2011/36/UE del Parlamento  europeo relativa alla tratta che non sono state introdotto sino ad oggi nel nostro diritto e chiede la soppressione di ogni vittimizzazione supplementare delle vittime di tratta e di prostituzione. Abroga quindi il delitto di adescamento previsto dall’articolo 225-10-1 del codice penale che sanziona le persone prostituite, che è necessario proteggere e non chiamate in causa. Come indica la direttiva firmata dalla Francia nel 2011 e ratificata nel 2013, le vittime dovrebbero essere protette dalle incriminazioni o sanzioni concernenti i reati della prostituzione, essendo l’obiettivo quello di garantire alle vittime i benefici dei diritti dell’uomo, di evitare loro una nuova vittimizzazione, un trauma supplementare, e di incitarle a intervenire come testimoni nel quadro delle procedure penali intraprese contro i responsabili dei crimini.

La soppressione di questo reato non crea un vuoto giuridico: l’articolo 222-32 del codice penale punisce l’esibizione sessuale imposta all’altrui vista in un luogo accessibile agli sguardi del pubblico; gli articoli 225-5 e seguenti reprimono il lenocinio; l’articolo L.2212-1 del codice generale delle collettività territoriali permette alla polizia municipale di reprimere le violazioni della tranquillità pubblica; i poteri di polizia generale del sindaco, infine, gli permettono di emanare delle ordinanze municipali al fine di interdire o di restringere la presenza di persone prostituite sulla via pubblica.

Il carattere utile della “custodia cautelare” della persona prostituita accusata di adescamento, con l’obiettivo di raccogliere informazioni nel quadro della lotta contro il lenocinio, se è vero in taluni casi, è comunque lontano dall’essere sempre constatato. La persona prostituita potrà comunque essere ascoltata come testimone per dei fatti di lenocinio di cui sarebbe vittima.

Le condanne per questo delitto saranno meccanicamente soppresse dai precedenti penali delle persone interessate. Questa menzione costituisce in effetti un ostacolo notevole al loro reinserimento sociale e professionale.

È sorprendente che in un articolo che ricorda come “è necessario proteggere piuttosto che accusare” le lavoratrici del sesso le autrici di questa proposta di legge ci tengano tanto a ricordare i differenti mezzi grazie ai quali sarà comunque possibile penalizzarle. Constatiamo peraltro la scioccante ignoranza che porta Olivier e Coutelle a credere che un sindaco abbia i poteri “di vietare o di limitare la presenza di persone prostituite sulla via pubblica”. Speriamo non gli dispiaccia, ma il solo fatto di essere lavoratrici del sesso non giustifica la nostra esclusione dalla via pubblica: un sindaco non ha il potere di pronunciare un’interdizione a carattere generale e assoluto[15], e anche una misura di interdizione circoscritta geograficamente e nel tempo deve essere giustificata dalla protezione dell’ordine pubblico e proporzionata nel momento in cui mina la libertà[16]. Il rischio di disturbo della quiete pubblica deve essere talmente grave che il sindaco non può impedirlo altrimenti che vietando l’attività. I sindaci fanno spesso ricorso a delle ordinanze anti-sosta per cacciarci, certo, ma quelle riguardano comunque i nostri veicoli. Comprendiamo la frustrazione che può provocare per qualcuno, ma (per il momento) non è possibile in Francia vietare lo spazio pubblico a qualcuno a causa della sua professione, del colore della pelle, delle preferenze sessuali, o per qualsiasi alto motivo. La libertà di andare e venire è una libertà fondamentale in Francia. Immaginare di ridurla perché delle persone sono lavoratrici del sesso è evidentemente discriminatorio.

Condividendo con le autrici il gusto per la litote, non siamo insoddisfatte/i che abbiano alla fine scoperto come i numerosi arresti quotidiani di lavoratrici e lavoratori del sesso, spesso accompagnati da violenze da parte della polizia, umiliazioni, etc[17], abbiano “un carattere utile non accertato”.

L’articolo 14 procede ai coordinamenti resi necessari dal precedente.

Siamo lieti per la sparizione di ogni traccia nel diritto francese del crimine di adescamento in risposta alla mobilitazione, che dura da più di dieci anni, delle lavoratrici e lavoratori del sesso, degli ambienti associazionisti e delle istituzioni per la difesa dei diritti umani.

Capitolo 3 : Prevenzione delle pratiche prostitutive e del ricorso alla prostituzione

Il capitolo III concerne l’azione di prevenzione e di informazione che incombe ai poteri pubblici per ridurre nel futuro il ricorso alla prostituzione, in particolare per la prevenzione destinata agli allievi dell’insegnamento secondario, più specificamente delle scuole superiori.

Vari pregiudizi circondano la prostituzione. Il fatto che sia un male necessario legato a pulsioni sessuali irreprimibili, che le persone prostituite sono consenzienti, o addirittura amano la loro attività, che è del denaro facilmente guadagnato. Inoltre, come hanno testimoniato gli ispettori dell’IGAS ascoltati dal gruppo di lavoro della nostra Delegazione, constatiamo a partire dalla scuola secondaria delle relazioni sessuali tariffate in cambio di denaro o di regali. Infine, uno studio sulla prostituzione studentesca condotto in Essonne dimostra come i giovani che scambiano servizi sessuali con una remunerazione non hanno la coscienza che si tratti di prostituzione.

Delle misure di sensibilizzazione e di educazione sono necessarie per decostruire queste rappresentazioni e prevenire le pratiche prostitutive, occasionali o regolari.

L’articolo 15 inserisce a questo scopo, nella sezione del codice dell’educazione relativa all’educazione alla salute e alla sessualità, la lotta contro la mercificazione dei corpi come uno dei temi da far divenire oggetto di informazione durante l’epoca scolastica.

Dopo 15 articoli il progetto di legge sembra finalmente interessarsi alle cause della prostituzione. Leggendo il testo risulta che se un gran numero di studentesse e studenti si prostituiscono non è perché sono precari/ie ma perché, non avendo ricevuto alle scuole inferiori dei corsi sulla mercificazione del corpo, sono troppo ignoranti per rendersi conto che nel momento in cui offrono servizi sessuali in cambio di denaro si stanno prostituendo.

Questo desolate postulato non è nemmeno accompagnato da vere misure per lottare contro la precarietà degli studenti. Olivier ci ha altrove assicurati che Fioraso aveva a cuore quest’aspetto, ci piacerebbe crederle, ma quest’ultima non brilla per la sua volontà di tornare sulle riforme di privatizzazione dell’università, di aumentare (tanto in valore che in numero) le borse, o ancora di proporre una vera politica di aiuto per l’alloggio degli studenti/esse.

Più in generale, questa proposta di stigmatizzare la prostituzione come un’attività a parte, senza mettere in discussione l’insieme del sistema degli scambi sessuo-economici nel contesto del patriarcato non fa che aumentare la confusione nelle menti dei giovani, quando sappiamo oggi che la maggior parte delle violenze subite dalle donne avviene all’interno della famiglia e dei rapporti eterosessuali gratuiti. Questa divisione promossa sin dalla più giovane età tra le lavoratrici del sesso e il resto delle donne non fa così che rinforzare il sessismo.

Capitolo 4: Responsabilizzazione del cliente della prostituzione

Il capitolo IV instaura l’interdizione dell’acquisto di un atto sessuale creando una contravvenzione che sanziona il ricorso alla prostituzione.

L’interdizione dell’acquisto di un atto sessuale ci permette di rendere coerente il nostro diritto con la nostra concezione della prostituzione. La Francia ha ratificato i trattati internazionali che riconoscono la prostituzione come una violenza. Dal 2002 il ricorso alla prostituzione minorile o di una persona che presenta una particolare vulnerabilità è un delitto. Sanzionare l’atto di ricorrere alla prostituzione significa posizionarsi nella continuità della legislazione che ha criminalizzato lo stupro e reso le molestie sessuali un reato correzionale: l’obiettivo è sempre quello di sottrarre la sessualità alla violenza e al dominio maschile.

L’interdizione dell’acquisto di un atto sessuale è ad oggi la misura più efficace per ridurre la prostituzione, e per dissuadere le reti di tratta e lenocinio a radicarsi nei territori. È il bilancio che la Svezia trae dall’applicazione di una legislazione simile sin dal 1999. La Finlandia, la Norvegia e l’Islanda hanno seguito questa stessa via. L’interdizione dell’acquisto di un atti sessuali permette anche di far evolvere le rappresentazioni e i comportamenti.

L’interdizione dell’acquisto di un atto sessuale è anche la soluzione che maggiormente tutela le persone che rimarranno nella prostituzione. Rovesciando il rapporto di forza esistente con i clienti della prostituzione, l’interdizione dell’acquisto di un atto sessuale permetterà alle persone prostituite di denunciare le violenze o i rischi sanitari (atti sessuali senza preservativo, etc.) che possono essere loro imposti.

La penalizzazione dei clienti NON si posiziona in continuità con la criminalizzazione dello stupro e delle molestie sessuali, poiché in questi due casi è tenuta in considerazione la parola della vittima. È su richiesta di quest’ultima che lo Stato indaga affinché alla fine la giustizia determini se in effetti vi siano stati un crimine o un reato. Nel caso della penalizzazione dei clienti non si tiene in considerazione la parola della presunta vittima, il che è del tutto contrario, quindi, allo spirito delle leggi prese ad esempio.

Sul “successo” del modello svedese sono state condotte diverse ricerche indipendenti, vale a dire slegate dalla valutazione realizzata per conto di quelli e quelle stesse che l’hanno promosso, e sono molto meno ottimiste rispetto alle conseguenze della penalizzazione dei clienti, in particolare Vincent Clausen, “Une valutazione del rapporto della politica sulla prostituzione in Svezia di Gunilla Ekberg”[18], Suzanne Dodillet e Petra Ostrergren, “La legge svedese contro l’acquisto di atti sessuali: successo affermato ed effetti documentati”[19], Jay Levy “Impatto della criminalizzazione svedese dell’acquisto di servizi sessuali sulle lavoratrici del sesso”[20], Ann Jordan “Una legge che criminalizza i clienti in Svezia: un fiasco in ingegneria sociale”[21].

Olivier e Coutelle ammettono comunque che, lungi dal permetterci di meglio imporre le nostre condizioni al cliente[22], il solo vantaggio per noi sarebbe di poter più facilmente denunciare i clienti che non rispetteranno le nostre condizioni.

Se oggi ci è per esempio molto difficile poter denunciare per stupro, è in particolare perché gli ufficiali di polizia pensano, come le stesse autrici, che ad ogni modo “farci violentare, è il nostro mestiere”, e la polizia è nella sua grande maggioranza puttanofobica [putophobe], razzista, sessista, transfobica[23].

Dobbiamo poi davvero ricordargli l’effetto nefasto del loro discorso che rinforza la nostra stigmatizzazione poiché, presentandoci come degli esseri senza difesa che non saprebbero essere che delle vittime mute, ci designano direttamente come bersaglio per gli aggressori effettivi o potenziali? Dobbiamo ricordargli come le leggi sul “lenocinio di sostegno”[24], che difendono con tanto ardore, costringendoci a lavorare isolate le une dalle altre, ci rendono particolarmente vulnerabili agli abusi e alle violenze di tutti i tipi?

Inoltre la penalizzazione dei clienti non avrebbe solo delle conseguenze drammatiche sulla nostra sicurezza, ma anche sulla nostra salute. Le raccomandazioni di istituzioni quali l’OMS[25], il PNUD[26], l’ONUSIDA[27], il Consiglio nazionale dell’AIDS[28], che non posso in alcun modo venire sospettate di essere di parte, riconoscono tutte le rivendicazioni delle lavoratrici e lavoratori del sesso e associazioni di salute e di lotta contro l’AIDS che denunciano questa misura[29].

Il CNS fa riferimento in particolare alle azioni condotte dalle associazioni di salute e di salute comunitaria[30] e allo squilibrio dei finanziamenti pubblici in favore di queste strutture e a favore delle associazioni tradizionali di reinserimento, e auspica un sostegno alle iniziative comunitarie.

Anche il parere del PNUD è senz’appello: le politiche repressive condotte da numerosi paesi, compreso il modello svedese di penalizzazione del cliente, fanno il gioco dell’epidemia di HIV-AIDS e mettono in pericolo le lavoratrici e i lavoratori del sesso.

Le autrici di questa proposta di legge non sanno assolutamente di che cosa parlano nel momento in cui evocano le violenze sulle lavoratrici del sesso: non contente di parteciparvi rifiutando di ascoltare le nostre voci, propongono addirittura delle misure che le aggravano[31].

L’articolo 16 procede alla creazione di una contravvenzione di quinta classe che sanziona il ricorso alla prostituzione di una persona adulta. Questi fatti saranno puniti con un’ammenda di 1500 euro. Il testo prevede l’aumento della contravvenzione in seguito a recidiva, che salirà allora a 3000 euro.

L’infrazione già esistente in questo ambito, che concerne il fatto di essere ricorsi alla prostituzione di un minore e/o di una persona che presenti una particolare vulnerabilità, è mantenuta divenendo circostanti aggravanti del crimine di ricorso alla prostituzione. La progressività di questo dispositivo penale intende accompagnare un cambiamento importante nella società francese vietando la violenza costituita dall’acquisto di un atto sessuale.

Il 3° e il 4°, così come il II paragrafo, procedono alle coordinazioni necessarie.

Le autrici della proposta di legge sembrano voler dimenticare quanto la protezione dalla prostituzione delle persone minori o particolarmente vulnerabili sia un evidentemente fallimento. Nel 2006 si contavano meno di 50 condanne per ricorso ai servizi sessuali di minorenni o particolarmente vulnerabili, e una ventina unicamente nel 2007 e 2008 (cf. Rapport CNCDH, p. 111).

Le autrici della proposta di legge dimenticano anche che coloro i quali ricorrono ai servizi di una lavoratrice o lavoratore del sesso che sanno essere vittima di tratta o di lenocinio possono già adesso essere incriminati per ricettazione, andando incontro a una sanzione ben più severa di quella qui proposta.

Proteggere i più vulnerabili contro lo sfruttamento sessuale o lo sfruttamento della prostituzione non dovrebbe quindi implicare la creazione di nuove misure destinate a restare lettera morta e ad arrecare un grave pregiudizio alle lavoratrici e lavoratori del sesso (come a più riprese spiegato in questo stesso dossier), quanto piuttosto l’applicazione effettiva ed efficace delle misure già esistenti.

L’articolo 17, I crea una pena complementare volta a sanzionare il ricorso alla prostituzione. È creato uno stage di sensibilizzazione alle condizioni di esercizio della prostituzione, sul modello degli stages si sensibilizzazione alla sicurezza stradale o ai pericoli dell’utilizzo di prodotti stupefacenti. Questo stage potrà avere luogo presso associazioni approvate, e avrà come obiettivo di far conoscere ai clienti della prostituzione le condizioni di vita e di esercizio della prostituzione, così come la realtà del fenomeno della tratta di esseri umani ai fini dello sfruttamento sessuale e del lenocinio.

Il II paragrafo fa di questa nuova pena una misura suscettibile di costituire un’alternativa ai procedimenti giudiziari e di essere pronunciata nell’ambito di un componimento extragiudiziale.

Sono quindi le “associazioni approvate” (abolizioniste e non dirette dalle lavoratici e dai lavoratori del sesso) che organizzano questi stages. È aberrante che le associazioni delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso o le associazioni di salute comunitaria, che sono composte da lavoratrici e lavoratori del sesso, non possano educare i clienti su ciò che è la prostituzione, ma che invece le associazioni che non sono dirette né costituite da lavoratrice e lavoratori del sesso siano le uniche che avranno il compito di spiegare loro ciò che provano e vivono le lavoratrici e i lavoratori del sesso.

L’articolo 18 obbliga il Governo a presentare, entro due anni dall’entrata in vigore della legge, un rapporto che verta sulla valutazione dell’estensione del reato di ricorso alla prostituzione, e che esamini la situazione sanitaria e sociale delle persone prostituite.

Questo articolo promette un evento fantasma. La legge per la sicurezza interna del 2003 prometteva una valutazione annuale dell’efficacia del reato di adescamento: nessuno l’ha mai vista redigere.

Come potremmo allora prendere sul serio quello che nel migliore dei casi è un buon proposito, nel peggiore una maniera di far accettare l’inaccettabile?

Capitolo 5: Disposizioni finali

L’articolo 19 prevede un’entrata in vigore differita di sei mesi per gli articoli 14 e 15 della proposta di legge. Questo periodo che precede l’entrata in vigore del reato di ricorso alla prostituzione dovrà essere l’occasione per condurre una campagna di sensibilizzazione senza precedenti presso la società francese e in particolare presso i clienti, e di esplicitare, in occasione delle campagne di comunicazione destinate al pubblico, gli obiettivi ricercati dalla creazione di questa infrazione e i principi fondamentali sui quali questa si fonda.

Se questo articolo potrebbe farci sperare in una tregua nella criminalizzazione che ci prende indirettamente di mira, non possiamo non constatare che questo ritardo verrà utilizzato per rinforzare la stigmatizzazione di cui già siamo vittime favorendo il miscuglio tra lavoro forzato, servitù, schiavitù, tratta e prostituzione, designandoci tutte e tutti come vittime incapaci di consenso.

L’articolo 20 permette l’applicazione della proposta di leggi nei territori d’oltremare.

L’articolo 21 compensa le spese che possono risultare per lo Stato, le collettività territoriali e i Fondi di garanzia delle vittime degli atti di terrorismo e di altri reati dall’applicazione di certe disposizioni della proposta di legge.

Nessun commento su questi ultimi due articoli.

In conclusione

Questi 21 articoli per una legge di “lotta contro il sistema prostitutivo” sono 21 articoli di lotta contro le puttane. Se ci fossero rimasti sin qui dei dubbi rispetto alle reali intenzioni di questa proposta di legge “abolizionista”, sono oramai sciolti. Lungi dal voler operare per una società più giusta, si tratta di stigmatizzare sempre di più, di reprimere sempre di più coloro che danno fastidio e che non vogliono piegarsi al punto di vista abolizionista; di privare sempre più di diritti coloro che già fanno tanta fatica a farli rispettare, in nome di un’ideologia che non vuole avere nulla a che fare con le realtà sul campo e le analisi e testimonianze dei diretti interessati.

Le misure sociali tanto attese si limitano all’ottenimento, per le persone identificate come vittime di sfruttamento sessuale e scelte per beneficiare dell’articolo L.316-1 del CESEDA, di precari permessi di soggiorno o di una ATA, ottenimento condizionato all’abbandono del lavoro sessuale. Praticamente nessuna delle 94 raccomandazioni della CNCDH per lottare più efficacemente contro la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani in Francia ha avuto qualche eco. Nulla sui diritti delle migranti e dei migranti in generale (e questo quando molte/i esercitano il lavoro sessuale proprio perché non posso lavorare legalmente in Francia). Nulla sui diritti dei transessuali (e anche questo quando molti esercitano il lavoro sessuale per non riuscire a trovare un impiego altrove, in particolare in ragione delle difficoltà che affrontano nell’effettuare la loro transizione e cambiare di stato civile). Niente sulla lotta contro la precarietà, in particolare delle donne, delle minoranze sessuali e degli studenti. Nulla sulla salute, che si tratti della prevenzione dell’AIDS o di altre malattie sessualmente trasmissibili, o della salute in termini generali, fisici e psicologici, delle lavoratrici e lavoratori del sesso, quando si conoscono le conseguenze che le cattive condizioni di lavoro possono avere su di loro. Nulla sul finanziamento a formazioni professionali che potrebbero facilitare il riorientamento delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso. Nulla sull’aiuto alle persone anziane, in particolare lavoratrici del sesso che, non potendo toccare pensione, continuano a esercitare ben al di là dell’età prevista.

Nessuna misura sociale, dunque, ma sempre più repressione, che si tratti di (cyber)poliziotti pronti a dare la caccia alle puttane su tutti i terreni, o delle “associazioni approvate” con il compito di verificare che non continuiamo a esercitare il nostro lavoro.

I proibizionisti lo sognavano, gli abolizionisti l’hanno fatto!


[1] A tal proposito si veda in particolare IGAS, Prostitution : les enjeux sanitaires, Dicembre 2012, pp. 18 e seguenti

[2] È sempre affascinante leggere delle percentuali basate su cifre errate all’origine.

[3] J. Vernier, La traite et l’exploitation des être humaines en France, Les Études de la CNCDH, La Documentation français, 2010, p. 25

[4] Si veda : « Enquête de Médecins du Monde auprès des personnes se prostituant : Violences et accès aux soins, les effets néfastes de la Loi de sécurité intérieure », http://www.medecinsdumonde.org/mdm/prostitution18mars/

[7] Si veda in particolare la nota sul lavoro sessuale, lo sfruttamento sessuale e la tratta emessa dall’ONU-Donne il 9 ottobre 2013: « The conflation of consensual sex work and sex trafficking leads to inappropriate responses that fail to assist sex workers and victims of trafficking in realizing their rights. Furthermore, failing to distinguish between these groups infringes on sex workers’ right to health and self-determination and can impede efforts to prevent and prosecute trafficking” (http://www.nswp.org/sites/nswp.org/files/UN%20Women’s%20note%20on%20sex%20work%20sexual%20exploitation%20and%20trafficking.pdf).

[9] Oltre che alle imposte, le lavoratrici del sesso sono anche assoggettate alle ritenute fiscali (URSSAF) e possono essere sottoposte a un recupero dei contributi nel corso degli ultimi quattro anni, come per le imposte. Si veda in particolare la Lettre collective du Directeur de la réglementation et des orientations de recouvrement aux URSSAF del 26 marzo 1999, n° 1999-032.

[10] CNCDH, La traite et l’exploitation en France, La Documentation française, 2010.

[11] Art. L. 316-1 CESEDA.

[15] CE, 4 mai 1984, Préfet de police ¢ Guez

[16] CE, 19 mai 1933, Benjamin

[22] Poiché avere meno clienti significa vedere ridotto il nostro potere di rifiutare e dunque di rifiutare anche talune pratiche e condizioni.

[23] A questo proposito nulla è previsto in questa proposta di legge per migliorare una simile situazione, nonostante fosse una delle raccomandazioni (la numero 13) del rapporto informativo di Olivier: http://www.assemblee-nationale.fr/14/rap-info/i1360.asp#P1700_352264

[24] Il lenocinio è penalizzato agli articoli 225 e successivi del Codice penale. Si distingue tra il « lenocinio di costrizione »  [proxénétisme de contrainte] che consiste nel forzare una persona a prostituirsi, e il « lenocinio di sostegno » [proxénétisme de soutien] che consiste nel semplice fatto di aiutare, assistere o sostenere in qualsiasi maniera una persona che si dedica liberamente alla prostituzione, e questo indipendentemente da una remunerazione in cambio dell’aiuto, dell’assistenza o del sostegno.

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