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#Dlfemminicidio e #cyberstalking: donne sotto scorta sul web e repressione in rete!

Da Abbatto i Muri:

Oltre a tutte le cose che di questo decreto [testo] sono state dette vale la pena mettere a fuoco un altro “dettaglio” e approfondire affinché si possa meglio capire di cosa parliamo.

Articolo 612 cp, nella parte che riguarda lo stalking, minacce, molestie reiterate, atti e condotte persecutorie ai danni di qualcun@, al punto da causare stato d’ansia e indurre a modificare le abitudini di vita.

Articolo 1, comma 3, lettera a:

la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici

Dunque chi fa cyberstalking commette un reato assai più grave di chi fa stalking in altro modo. Lo stalking a mezzo web, social network, incluse le persecutorie diffamazioni online, è misurato per una pena pari a sei anni di carcere.

Da dire è che il cyberstalking era punibile anche prima e che i reati di minaccia, ingiuria, persecuzione molesta, diffamazione esistevano già. Perché dunque tirare fuori l’aggravante a fronte di una modalità di discussione in web che punta al linciaggio di per se’, nei confronti di tutti e tutte, di troppe persone, dove non esiste una sola discussione “politica” che non si trasformi in una caccia alle streghe, in una forma più o meno oppressiva di “militanza” che corrode l’esistenza di qualcun@ giusto perché non la pensa come te e pretende comunque di poter esprimere la propria opinione, dunque: perché tirare fuori l’aggravante stabilendo che di questo particolare reato, ancora, siano vittime le donne?

E che per di più lo siano per sola mano di uomini? Non c’è scritto ma così è interpretabile.

Il decreto stabilisce che le donne siano “soggetto debolenon solo nel mondo reale ma anche in quello virtuale. Si demonizza il mezzo attribuendovi un aggravio sostanziale del reato, non si fa cenno a regole minime di autodifesa, ad una responsabilizzazione collettiva dell’uso del web, ad una primaria alfabetizzazione di milioni e milioni di soggetti che usano internet a partire da un telefonino, un tablet o chissà cosa senza sapere nulla di netiquette, di correttezza degli scambi online, di rispetto per la privacy.

In rete vivono decine di migliaia di analfabeti digitali che non fanno altro che insultarsi tra di loro e insultare ancora di più te se glielo fai notare. Vivono branchi di persone moleste, oppressive, piene di problemi che sfogano frustrazione, depressione, manie varie su quello o su quell’altro oggetto della loro ossessione. E per difendersi da questa gente serve senza dubbio consapevolezza, serve un racconto delle relazioni in web che non disumanizzi e che esiga rispetto nei confronti di tutti e tutte.

Perché ci vuole davvero poco a trasformare la presunta “critica” in dileggio, squadrismo, insulto, minaccia, intimidazione morale, diffamazione, cyberbullismo, cyberstalking. E’ la cultura ancora che risolve questa cosa e non la galera e gli autoritarismi.

Aver stabilito una tale gravità di questo reato significa, così hanno detto, che c’è modo di attivare una intercettazione.

Quando si è passati dal considerare le offese e le molestie in rete urgenti perché genderizzabili? Dal punto di vista mediatico, in particolare, si può risalire al momento in cui la presidente alla Camera Boldrini ha parlato di hate speech e donne. Altri padri dello Stato e rappresentanti istituzionali accolsero la sua denuncia, dissero che bisognava fare qualcosa e di fatto a lei questo decreto piace.

Da quando lei è presidente della Camera ha ricevuto un tot di critiche e moltissime offese. Anch’io l’ho politicamente criticata, giacché lei parla anche in mio nome e non mi rappresenta. Le mie preoccupazioni non sono le sue né tantomeno simili sono le nostre reciproche soluzioni. Ma non l’ho mai insultata. Non l’ho inseguita su twitter, insulto alla mano. Non l’ho tampinata ovunque lei scrivesse. Non sono mai andata sulla sua pagina facebook, non ho mai scritto ogni giorno sulla mia pagina facebook insulti dedicati a lei perché ho chiaro il limite tra critica e persecuzione e di lei ho moltissimo rispetto.

Di più: io so perfettamente quello di cui parla lei. E certo lo affronti parlandone, sensibilizzi in termini culturali, realizzi che la non conoscenza del fenomeno significa che quella cattiva modalità si diffonde e quindi fai cultura, condividi una esperienza. Ma chiedere i rinforzi alla Postale per intercettare tutto ciò che mi nomina mi sembra fuori luogo. Tra l’altro con il rischio di beccare un quindicenne a cui una pena insegnerà soltanto che esiste una madre brutta e cattiva che non le permette di sbagliare.

Ci sono giorni in cui la prima cosa che mi arriva è un insulto. Puro astio da parte di cyberstalkers e cyberbull* il cui limite della decenza è superato da tempo. Giorni in cui mi rovinano l’umore, in cui perfino le mie relazioni reali risentono del malessere che tanto provoca, perché il cyberbullismo è perfido, terribile, è puro veleno che scava dentro e ti corrode fino a dare fuoco a tutto quello che di creativo e positivo è in te. Ma prima di arrivare a una denuncia, a portare altri casini, spese, complicazioni legali, nella vita della gente che è già tanto incasinata, se mai ci penserò, se riterrò di non avere altra scelta, ho da rifletterci mille e mille volte. Rivolgermi al tutore per risolvere un problema mi sembra una sconfitta ed una resa e fino ad ora non mi sono mai arresa alla possibilità che le cose possano risolversi con un minimo di umanità e considerazione per l’altr@.

Però, ad esempio, il cyberstalking che ho vissuto io e che vivono anche altre non arriva da uomini ma da donne. Donne che dicono di fare una buona cosa in nome di altre donne. Perché se c’è un atteggiamento molesto che dimostra quanto la violenza sia perpetrabile da chiunque, avendone i mezzi e l’opportunità, è quello che viene mostrato nel mondo virtuale. Dove non serve la forza fisica. Dove l’aggressività e la violenza la dimostri in maniera diretta o indiretta ma comunque mietendo vittime con l’infamia, per esempio, l’insulto, la molestia reiterata, senza che questo debba necessariamente riguardare la sfera sessuale.

Poi c’è l’insulto sessista, come quello razzista, c’è la modalità machista di chi pensa che tu sei in rete e dunque sei a sua disposizione, ma lo stesso atteggiamento è tipico della donna del po-po-lo che ritiene, giacché può accedere alla bacheca facebook della donna che chiamerà “famosa”, di poter vomitare su lei o su chiunque altr@ tutte le prove di mediocrità culturale e di oppressione che è in grado di mettere in circolo.

Quello che insomma voglio dire è che sarebbe semplice utilizzare quel reato per “dare una lezione” a quell@ che ti perseguita da mesi. Ma è una scelta estrema, di chi non ha altre risorse, anche intellettuali, e non ha altre alternative.

Considero che la mia privacy sia più importante, non ci tengo ad affidarmi a tutori e a viaggiare sotto controllo e scorta virtuale, e considero che provare a innescare un cambiamento culturale sia una scelta che paghi di più. Ci sono casi in cui un ban è sufficiente, sperando che la stalker molesta si ravveda. Con tutta la comprensione per la brutta sensazione di assedio che vive una persona quando viene insultata e massacrata virtualmente. Il punto è che quel reato finisce per diventare un ulteriore pretesto per controllare persone che non molestano ma, per esempio, politicamente si oppongono al provvedimento o all’opinione tal dei tali.

Penso a persone serie che sul web tentano una forma di opposizione politica e che ad esempio nominano il giornalista o il parlamentare tal dei tali che diffonde falsità e criminalizza i movimenti (tipo i NoTav, per i quali la deriva repressiva oramai si arricchisce di pura propaganda mediatica). Quante volte questo “reato” sarà usato per avere una ulteriore scusa per intercettare e controllare chi fa opposizione politica e pratica di movimento?

In ogni caso: se contro il cyberstalking r-esistenza deve essere bisogna r-esistere ad un determinato tipo, diffusissimo, di atteggiamento in rete. Ma il punto, adesso, è: come è possibile che se uno ti perseguita, ti danneggia l’auto, ti incendia casa, ti massacra di telefonate, ti aspetta sotto casa tua e ti spaventa e minaccia sul posto di lavoro questo sarebbe meno grave che molestare e minacciare una persona virtualmente?

Ps: grazie a RadiAzione per avermi istigato a mettere a fuoco questo aspetto. 🙂

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