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Telefonia divina e la “vera” felicità delle donne

Da Abbatto i Muri:

Costanza Miriano discute amabilmente del più e del meno (via blog) con Ritanna Armeni. La Armeni ha scritto un pezzo su Il Foglio per dire quanto il Papa sarebbe ultra moderno e la Miriano, sempre su Il Foglio, le ricorda, più o meno, che non servirebbe un Papa innovatore perché la Chiesa non sarebbe comunque affatto misogina.

Tentare di calarsi sul terreno che ragiona sui livelli di umanità di una istituzione patriarcale non mi sembra il caso. Da atea e laica ho la mia precisa idea in proposito ma ciascun@ è libera di praticare il proprio credo e io devo rispetto a questa esigenza. Quello su cui sono chiamata a intervenire è ciò che mi riguarda, in quanto donna, femminista, in quanto persona, sul corpo della quale viene imposto un ruolo quand’anche uno stigma nel bel mezzo delle disquisizioni su quanto c’è di bello nella chiesa per chi la chiesa la sceglie come punto di riferimento per se’.

Miriano elenca una serie di nomi di donne felicemente in sintonia con la Chiesa e poi scrive:

Sono donne in pace con la loro femminilità, che sanno che la loro grandezza è diversa da quella dei maschi (si può ancora dire? discrimino?), maschi che proprio a loro sono affidati, come l’umanità tutta – scriveva Giovanni Paolo II – in modo speciale da Dio.

È questo il potere delle donne, che è diverso da quello maschile: l’uomo sottomette, la donna seduce, cioè porta a sé, e sono due forme di potere che possono essere usate per il bene o per il male (spero che questa rozza ed elementare distinzione non offenda nessuno, ma si sa, noi cattolici siamo un po’ sempliciotti, al bene e al male ci crediamo ancora).

Conosco invece moltissime donne ingannate dalla vera misoginia, quella del femminismo, ma qui dovrei cominciare a srotolare un lunghissimo papiro, andando fuori tema.

Parto dalla fine: la vera misoginia sarebbe quella del femminismo, cioè la mia. E mi piacerebbe davvero leggere il papiro della scrittrice per fornire un papiro altrettanto lungo di motivazioni per cui io mi sento odiata a partire da affermazioni come questa.

Cara Costanza, io non sono in guerra con niente e con nessun@. Semplicemente non credo che le donne, gli uomini, i generi tutti, che sono tra l’altro più di due, includendo gay, lesbiche, trans, bisex, intersex, e tutto l’arcobaleno queer, siano stati destinati per natura ad alcunché. Quello di cui parli è cultura: la cultura messa in circolo da chi ci ha imposto ruoli di genere per disegnare una società a propria misura e secondo le proprie necessità.

Non credo nella diversità tra donne e uomini e non mi piace neppure sentirmi dire che sarei migliore giacché é davvero inutile la lusinga di chi alla fine sostiene che a me sarebbe affidata la “cura” di chiunque, “maschi” adulti compresi. Se questo è il dono di Dio, non volermene, grazie tante ma può tenerselo. E non mi serve sapere neppure di che potere sarebbe fatto il potere delle donne perché io quel genere di potere non lo voglio. Non mi serve leggere di stereotipi sessisti che immaginano l’uomo costantemente in preda a istinti che lo porterebbero a sottomettere (con la violenza?) le donne e le donne come ammaliatrici, manipolatrici e seduttrici intente ad ottenere il proprio obiettivo.

Se a fronte di queste generalizzazioni, questi stereotipi e queste presunte verità misoginia sarebbe quella del mio femminismo direi che non è un buon argomento. Proprio no.

E poi, Miriano scrive:

La donna – come scrive madre Cànopi – se vive autenticamente la sua vocazione si trova sempre e comunque al “primo posto”, cioè al posto centrale che spetta all’amore. E la notizia è che le donne così sono davvero contente, quando sono realizzate nelle relazioni, nel prendersi cura, quando sono materne, anche se non hanno figli di carne.

Poi a volte riescono a fare cose molto buone anche con il loro lavoro, pur se in modo auspicabilmente diverso dagli uomini, perché se vogliono essere presenti per quelli che amano devono potare qualche ramo, come spiega per esempio Ann Marie Slaughter (“Why women still can’t have it all”), che ha lasciato un incarico come consigliera di Obama per portare i figli alle partite e finire di lavorare prima della chiusura del lavasecco. D’altra parte, come dice l’economista Nuria Chinchilla, una donna che chieda gli stessi diritti degli uomini manca di ambizione, e di fantasia. Siamo diverse e ci piace così. Siamo, noi cattoliche, contro le gender theories, e a favore delle discriminazioni (se discriminare, a leggere il vocabolario, è distinguere una persona dall’altra): vogliamo cose diverse.

Le donne che vivono nell’amore sarebbero contente? Quelle realizzate nelle relazioni, nel prendersi cura, nel fare da mamme e mogli, sarebbero felici? E’ possibile, certo. Essendo laica ammetto che ci siano donne che in maniera autodeterminata scelgano quel genere di vita e siano felicissime di averlo fatto. Nulla da dire. Buon per loro. Ma perché questa valutazione diventa moralista e normativa anche per me che quella vita non l’ho precisamente scelta? Cosa significa che “donne così sono davvero contente“? Che quelle che non sono “così” invece non lo sono? Posso dire sinceramente che ritengo la vita sia un tantino più complessa e io conosco tante donne, incluso quelle che hanno scelto una vita fatta di famiglia e figli, e come tutte le persone dubito che siano “davvero contente“. Dunque non dirò che io, invece, sono lì a fare perennemente festa, come se a casa mia fosse un sempiterno carnevale di Rio, così come non penso sia così per quella che non ha scelto di fare figli, di avere una famiglia, ha scelto di viversi una famiglia omogenitoriale, di non sostenere ruoli di cura perché semplicemente non ne ha voglia. Siamo persone, le une diverse dalle altre, e siamo felici, talvolta e talvolta invece no. Trovo questa categorizzazione, la scaletta dei modelli di vita per essere felici, una buona tecnica di marketing per rivendere ruoli preconfezionati ma direi che sarebbe meglio lasciare che le donne, le persone, scelgano sulla base di quello che è il loro sentire che di certo può non somigliare al tuo.

Le donne non sono tutte uguali. Non si può rappresentarle tutte e non si può di certo immaginare che se una donna non ti somiglia non sia felice tanto quanto te. Magari la ragione per cui non è felice è proprio un’altra. Forse non ha un lavoro. Forse non ha neppure modo di scrivere su un blog quali sarebbero i suoi obiettivi. Magari di quel che la renderebbe davvero felice nessun@ vuole davvero sapere niente perché in tante sono intente a ricucire sulla sua pelle desideri che neppure ha.

Dopodiché mi spiace che si parli di donne e lavoro in questi termini, mettendole a stretto servizio dei figli e ignorando che da parte di tanti uomini arrivano richieste di congedi parentali e realizzazione di paternità. I figli non stanno alle donne come il lavoro retribuito non sta agli uomini. Miriano può anche essere contro la gender theories ma donne e uomini, e non necessariamente femministi, hanno un’idea completamente differente della divisione di ruoli, responsabilità e possibilità di realizzazione professionale nell’abito dei generi.

E ancora Miriano scrive:

Le donne sono specialmente collegate alla fonte della vita – un dato biologico immutabile, questo – e perciò unificano l’uomo, lo mettono in contatto con il senso profondo del suo essere, che siano madri o meno (questo significa il “siate madri, non zitelle” detto da Francesco alle suore).

Per questo per le donne il potere ha un altro nome. Alle nozze di Cana la Madonna obbedisce a Gesù –(…)”.

Ecco: sono questi i momenti in cui davvero penso che gli uomini siano tanto discriminati esattamente come le donne sono obbligate in ruoli che non è detto ci piacciano. Le donne sarebbero collegate alla fonte della vita e gli uomini a quella della morte? E che significa che unificheremmo l’uomo mettendolo in contatto con il senso profondo del suo essere? Davvero mi sfugge questo passaggio. Non voglio assolutamente ridicolizzare i pensieri altrui ma cosa siamo noi? Un connettore? Delle medium? Telefoni? Ah no, quello non è il nostro ruolo. Aspirare ad essere telefoni per “noi donne” sarebbe troppo.

Concludendo Miriano scrive:

Dio invece è un numero di telefono, e se cambi una cifra, non c’è possibilità, chiami un altro.

Saranno felici le compagnie telefoniche che da ora in poi vedranno lievitare le bollette perché la gente d’improvviso comincia a telefonare a tutti i numeri possibili e immaginabili dicendo “Salve, parlo con Dio?“.

Ps: su ruoli di genere, maternità e affini scommetto che Miriano sia molto d’accordo con Terragni e viceversa. Voi che ne dite?

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Pensatoio, R-esistenze, Sessismo.