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Non è il momento opportuno (prima le donne e poi la lotta di classe!)

Da Abbatto i Muri:

E’ la frase che mi sono sentita ripetere da sempre. La strategia alla Bush funziona anche per i femminismi, più o meno. C’è un nemico là fuori. Abbiamo le spie e i satelliti che certificano possesso di armi di distruzione di massa e dunque dobbiamo bombardare. E’ d’obbligo l’unità nazionale, l’amore per la bandiera, il rispetto per i tutori dell’ordine, i militari. E’ giusto che ciascuna delle persone in campo resti a svolgere i ruoli assegnati. I maschi combattono la guerra. Le femmine fanno le infermiere. Al massimo fanno delle gran manifestazioni di sostegno per dire ai “nostri ragazzi” che combattono per “salvarci” che sono degli eroi e che li aspettiamo destinando loro il giusto riposo del guerriero.

Che si tratti di Vietnam a nessuno viene in mente. Le guerre, le emergenze, sono fatte per lasciare fuori i conflitti, di modo che non sia mai il caso di discuterne. E’ shock strategy, come la shock economy, quando qualcuno ti dice che c’è un nemico e qualcun@ approfitta per realizzare un business sulla tua pelle.

Così per quello che ci riguarda il nemico è l’uomo e noi utero-dotate dobbiamo restare tutte unite senza mettere in evidenza le differenze perché il conflitto è il Male e perché dobbiamo essere alleate. Alleate. Alleate. Alleate. Basta che tu sollevi una obiezione, una critica e subito ti dicono che “non si fa una guerra tra donne” o che si tratta di una guerra sostenuta perché tu hai giusto voglia di guerreggiare. Che poi è la stessa dose di criminalizzazione che tocca a tutti/e quelli/e che fanno resistenza nei movimenti ché in realtà sono altre le persone che fanno guerra e che reprimono chiunque dissenta dalle posizioni della maggioranza, se è vero che di maggioranza si tratta.

La demonizzazione del soggetto confliggente, che mette in evidenza contraddizioni e sosterrà che l’unità a tutti i costi è veramente una iattura, è prassi di persone reazionarie e conservatrici, quelle che al limite vorrebbero l’unità con tutti/e meno che con te perché gli stai sulle ovaie.

Dici che con donne che normano la nostra vita dal punto di vista sessuale non si può essere unite. Non si può esserlo con fasciste, signore che mortificano la tua autodeterminazione e non si può esserlo con quelle che praticano e sostengono politiche neoliberiste che usano la tua rabbia e la tua paura per separarti dalle piazze in rivolta e obbligarti ad affidarti ad un tutore in divisa. Lo stesso che alla fine ti massacra con i manganelli se vai in piazza a rivendicare casa, diritti, lavoro.

La differenza di classe è tema di conflitto e se in Italia dici questa cosa di colpo ti ritrovi la compagna commmunista trasformata nella peggiore delle liberalcapitaliste, quella anarchica nella peggiore delle reazionarie, quella de sinisTra nella peggiore delle donne forcaiole, giustizialiste, autoritarie e di destra.

Siamo garantiste, antiautoritarie, siamo anticapitaliste e bla bla bla ma quando c’è da ragionare del nemico, l’uomo violento, infine trovi uno schieramento compatto che sostiene la differenza di genere in senso dicotomico, la femmina di colpo è sempre innocente, l’uomo sempre colpevole, la femmina ha istinto di cura, è madre e dunque vittima per antonomasia, egli è figlio di marte, del dio della guerra, è cromosomicamente stronzo e poi piscia adoperando l’uccello e già questa cosa è politicamente scorretta, senza dubbio.

Siamo antifasciste e rivoluzionarie e quando dobbiamo parlare di violenza sulle donne infine scopriamo che va bene allearci con le peggiori fasciste e rispolverare i miti dei mostri che fanno BAU! nel cuore della notte così possiamo tutte quante immaginare che obbedendo all’autorità saremo salve.

E’ una modalità schizofrenica, contraddittoria, totalmente dissociata, di quando si disse che la differenza di genere contava più della differenza di classe. Se dici che contano tanto quanto e che la differenza di genere declinata dalla signora ricca non c’entra niente con quella che declino io che mi ritrovo arpionata da ricatti che anche lei mi infligge, allora passo automaticamente dalla parte del nemico.

Di come la signora ricca, collaborando col signore ricco, sono riusciti negli anni a fare pensare che le persone che mettessero al primo posto nella vita la lotta contro la precarietà fossero il nemico. Di come nei revisionismi capitalisti si concluse che se dici che prima di ogni cosa viene la tua emancipazione economica, che ti solleva da ogni dipendenza, di modo che puoi vivere come e con chi vuoi, saresti una specie di reazionaria e nemica delle donne.

Ma se ci fate caso a dire questa cosa sono soprattutto donne ricche, che di precarietà non ne assaggiano neppure un grammo e che non vanno certo in giro a manifestare e a creare movimento d’opinione tentando di risolvere la povertà delle persone. Perché già parlare di quella sarebbe “populista” e dunque in definitiva di precarietà e lotta di classe non bisognerebbe parlarne proprio mai.

Provate a dire ad una delle signore che discutono di violenza sulle donne che vorreste andare in piazza per rivendicare la fine della vostra precarietà. Contro governo e ministri. Di colpo diventate sovversive, si evocano fantasmi di gruppi violenti del passato e quale modo migliore per delegittimarti che quello di dirti che in un momento storico in cui le donne subiscono violenza maschile tu pensi ad altro?

Come se “altro” fosse una cosa superflua. Come se in fondo quel che si immagina per il nostro futuro è la solita pappa fatta di schiavitù sociali ed economiche avendo come aguzzini soltanto quelli demandati al ruolo. Di fatto gli uomini violenti non vengono puniti perché violenti contro una persona, ma, come ci ha ricordato il viceministro per il lavoro con delega alle pari opportunità, il fatto è che colpire una schiava che compie il lavoro assegnato fa male all’economia in quanto che il violento azzoppa una risorsa.

Sono colpevoli di aguzzinaggio non autorizzato contro una proprietà dello Stato. La proprietà dello Stato saremmo noi. E se alla base di questo piano di gestione di corpi e persone da parte del mercato economico e dello Stato non c’è una questione di classe io vorrei tanto sapere di che diamine parliamo.

Di che parliamo, care? Di che parlate voi quando vi riunite in assemblea? Di che si parla nei tanti luoghi di studio in cui la questione di genere è scissa dalla questione di classe? Mi piacerebbe saperlo per davvero e un po’ lo so. Si parla di divisione delle donne in buone e cattive. Chiunque sollevi il problema è cattiva di per se’.

Per quel che mi riguarda c’è un punto rispetto al quale non posso incontrare tanti ragionamenti: le collaborazioniste volontarie o involontarie con il capitalismo dovrebbero pensarci. Inutili gli anestetici sociali, mediatici e virtuali che addomesticano le precarie per ordinarle in lotta in direzioni delle quali può non interessarci nulla.

Infine ci sarà un momento in cui lo Stato, violento contro le donne e contro tutti/e, e queste signore che parlano di unità a tutti i costi saranno esattamente dalla stessa parte. Perché tutrici sono le une, e tutori sono i rappresentanti dell’altro.

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Posted in AntiAutoritarismi, Critica femminista, Omicidi sociali, Precarietà, R-esistenze.